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Trianon


Prato Gentile in una cartolina d'epoca.

14 agosto.

Ieri siamo stati a Prato Gentile. Questo nome da osteria fu dato dagli abitanti di Rocca Luparella al posto più bello del mondo: un prato verde in piano, sfiorato da mandrie di cavalli allo stato semibrado con gli zoccoli anteriori ferrati, e circondato da fitti boschi di faggio. Nell'area bassa del quadrilatero archi naturali d'alberi sotto cui sedersi. Abbiamo avuto con noi le figlie di don Prospero, «l'uomo più ricco di Rocca Luparella», dicono gli abitanti del luogo che, impressionabili e smaliziati come molti italiani, non nascondono la loro ammirazione per la ricchezza. Don Prospero, ex sindaco di questo Comune, d'inverno vive a Roma. Somiglia a un sacrestano e pare che indossi la parrucca; fa pure collezione di orologi moderni. Le figlie, infagottate ma rachitiche, hanno però l'espressione della povertà; una delle due ha diciott'anni ma sembra aver superato a malapena i dodici. Un vescovo, che fa il consueto giro per il paese, ha portato con sé un senatore - indossa una piccola vecchia cravatta bianca in stile 1860 - che ha l'aria d'un capufficio, ma in realtà è presidente della Corte dei Conti, e si dice che sia molto influente sulla contabilità del Regno. Completano il nostro corteo la madre di Trianon, la sorella, i suoi quattro fratelli, una ragazza il cui padre si stabilì in una splendida pineta qui vicino e che poi ha fatto disboscare, entrambi i nipoti dell'ultimo duca - giacché Rocca Luparella ha un duca, i cui antenati ne erano i proprietari -, alcune zie ed infine i muli carichi di provviste. In breve, l'inevitabile picnic.

L'ascesa rocciosa, su sentieri a letto di fiume, è piuttosto piacevole. Io cammino accanto alla madre di Trianon. Ma trascorrere un'intera giornata in questo prato, che ho goduto appieno quand'ero solo, ho paura che possa provocarmi qualche imbarazzo. Sicuramente starei meglio nella mia stanza, allo scrittoio, ad aggiustare le mie memorie su "L'eredità e l'imitazione dei centopiedi nel gruppo degli artropodi". Se la natura e il prendere in considerazione l'idea di aspettare il suo fiume lento e patetico mi danno piacere, sento comunque la necessità di far qualcosa. Ma ho vissuto due settimane pensando a lei ogni minuto, e ora non dovrei essere ovunque sia Trianon?

Tra l'altro, perché la chiamo così? Questo soprannome, di cui è all'oscuro, è semplicemente ridicolo. E ridicolo lo sarebbe, se fosse ricercato. Invece scaturì in modo così naturale dalla sua grazia che non potevo lasciarmelo sfuggire. Lo ripeto tra me e me, e sembra che ci sia una sorta di pudore nel non pronunciare il vero nome di lei. Persino la famiglia e i conoscenti la chiamano con un nome diverso dal suo. Quel potere che non sa di esercitare sulla mia persona mi appare ancora fragile e formidabile a un tempo. Non posso vivere senza la sua considerazione, come se fosse sempre qui davanti a me. In sua presenza, sono convinto di non riuscire a pronunciarne il nome come fosse una semplice parola, senza che l'anima crolli e poi muoia prima di riemergere e alfine risorgere: è come squarciare un velo, abbandonarsi alla preghiera o arrendersi alla furia radiosa d'una tempesta. Perché la preghiera è violenza: «i cieli subiscono violenza e i violenti se ne impadroniscono».

Ahimé! La mia ultima violenza è morta. Non sarò mai un lupo solitario, men che meno un lupo violento.

Per un lupo gentiluomo, la giornata a Prato Gentile, tuttavia, non è stata così male.

Ho subito notato che è divertente stare con tutte queste donne, a parte Trianon e sua sorella, una ragazza piuttosto sciocchina. Al gioco della medaglia, spassoso di suo, dove si salta con entrambi i piedi, questi ragazzi, la cui formazione montanara dovrebbe averli forniti - com'è prevedibile - d'un che di selvatico, non sanno saltare bene. D'altronde, Trianon, che tanta cortesia riserva anche ai suoi nuovi amici, ha preso molto male un principio di conversazione, forse troppo diretto. Non so cosa m'abbia spinto a chiederle se non pensava di essere come tutti o come un celebre pittore di cui aveva appena parlato, ma presumo che, sopra ogni cosa, prediligesse - Dio mio! - la pittura. Fatto sta che ha troncato questo imprudente tentativo di flirt rispondendo secca che «lei non è così». Bene! Perlomeno, mentre m'addentro nel bosco, mi dico che la sua indifferenza è unanime e generale. È egoista con imparzialità!

Giovanni m'accompagna, siamo andati a cavallo. È stato divertente abbassarsi appena in tempo per evitare i rami e poi infilarsi negli spazi stretti. Si ha l'impressione di giocare a roverino con la testa.


Christian Beck

(trad. di Francesco Mendozzi)

 

Fonte: F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. II, Youcanprint, Tricase 2017.

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