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Poemetto a Capracotta


Panorama di Capracotta con una bella vista sul Tiro a Segno.

Proemio

Capracotta è un ridente paese; ma d'inverno abbonda la neve e talvolta per tale causa si è costretti ad uscire non dagli usci ma dalle finestre delle case. Lo stemma del comune è rappresentato da una capra che salta su un fuoco ardente.

È la più antica stazione climatica e turistica: si pensi che il Masciotta riporta che nel 1903 a Capracotta già esistevano tre alberghi costruiti su pianta, il Cimalte, Montecampo e Vittoria.

Fu visitato nel 1824 anche da Sua Altezza Reale Don Francesco di Borbone che rimase affascinato dal panorama che si godeva alla località Prato Gentile.

Il popolo lottò molto contro i prepotenti per la conservazione degli usi civici ed innalzò un monumento all'avvocato Gianturco che sposò la sua causa.

Il popolo è dedito alla pastorizia ed alla coltivazione dei campi: rinomate sono per i buongustai le lenticchie di Capracotta.

Ogni tre anni si fa una processione il dì 8 settembre e tutti gli emigranti ritornano per l'occasione.

Quivi si trova la così detta Tavola Osca. Trattasi di una antichissima tavola di bronzo ove sono riportate le antiche divinità del Sannio. Ha importanza internazionale perché fu essenziale per decifrare l'alfabeto sannita.

Durante una gita fatta con una brigata di amici in questa cittadina, in luoghi vicini alle sorgenti del Verrino e al tempio di Cerere, ove fu trovata la detta Tavola Osca, il poeta fu ispirato da queste piccole e grandi cose e scrisse di getto il poemetto che segue, ove c'è un passo originale: la traduzione in versi della Tavola Osca. È una primizia: essa ci riporta nel mondo dei Sanniti antichi, fatto di sensibilità, fantasia e poesia, e ci fa dimenticare per un attimo la civiltà moderna, ove predominano i computer: spero che i miei ascoltatori non ne siano annoiati.

Negli ultimi quattro versi, alla fine, c'è un accenno ad un certo Michele: è il notaio Michele Conti, che fu l'organizzatore della gita e propiziò questo carme che altrimenti non sarebbe nato.

 

A Capracotta

Della provincia il paese più alto,

fatto su roccia viva e non su asfalto.


D'inverno a uscire c'è impedimento,

si copre l'uscio con la neve e il vento;


chi vuol uscire a parte manca o destra

fuor venir deve sol dalla finestra.


Io beato respiro aria tua tersa,

è dolce e fresca dall'altre diversa:


perciò richiama, affascina e conquista,

il villeggiante, il gitante e il turista.


Tuo cittadin fu l'onorevol Mosca,

su te trovaron la Tavola Osca:


via fu portata dal solito inglese;

per pochi spiccoli o gratis la prese.


Popol inglese, che sei assai potente,

ridai la tavola alla nostra gente;


documento è di civiltà antica,

per decifrarlo ci vuole fatica;


un contadino la trovò mentre arava,

famoso Mommsen la glorificava;


divinità riporta e sacrifici,

dovuti a dèi benevoli ed amici;


è sublime, ripiena d'umiltà,

simbolo pieno di sincerità;


sgorga dal cuore dei nostri pastori,

assai più vale di mille tesori;


aiutami o musa per tradurla in versi,

sperando ch'essi non vadan dispersi:


"Affido il cuore a dea Primavera,

al dio Sole, a dea Terra ferace e nera,

al dio che vuole la Generazione,

al gran dio della Purificazione,

inoltre affido tutta vita mia,

a dea Luna che indica la via,

alla gran dea della Maternità,

alla gran dea della Prosperità".


"Mia mente affido alla dea dei Fiori

al dio dei Boschi, dai tanti colori.

Al grande Giove del mondo rettore,

e dei giovani gran protettore;

alla dea Pale tanto generosa

a Ercole forte più d'ogni altra cosa.

Abbrustolisco in loro onor mio grano,

lor protezione chieggo non invano".


O Capracotta, questa fu preghiera

dei tuoi pastori, devota ed austera.


In me desta viva suggestione,

e ne traggo sovrana ispirazione:


per celebrare tuoi greggi e tuoi armenti,

ed i tuoi pascoli verdi e ridenti,


per cantare i nitriti dei cavalli

che maestosi rimbomban nelle valli,


a pregar Cerer, che grandine scampi,

crescer faccia le biade nei campi.


C'è un posto magico e incantato:

tutto lo chiamano Gentil Prato.


Principe pure attratto dalla fama,

venne a veder da lì il panorama;


della Pezzata qui si fa la festa:

popol felice letizia manifesta.


Sul tuo stemma veloce una capretta

passa sul fuoco correndo di fretta;


qual quella capra, tu sii coraggioso,

veder non farti timido e pauroso;


con il coraggio e senza avere paura,

la battaglia si vince e la sventura.


Semplici versi ai fratelli Fiadino,

i tanto bravi Alberto e Gasperino.


Furon vittime dell'odio nazista,

un traditor li mise su lor pista;


li fucilaron lì, Sotto al Monte, fratelli caddero, l'uno all'altro di fronte.


Sulla lor lapide, con grande amore,

depositiamo, se passiamo, un fiore.


Nella tua piazza vedo monumento,

fatto a Gianturco per ringraziamento.


Difese strenuo i noti civici usi

ai prepotenti togliendo gli abusi.


Per ogni tre anni si fa processione;

ritornan tutti, con grande affezione;


se cittadin manca o non è venuto,

vuol dire ch'è morto o s'è perduto.


Caro Michele, busso alla tua porta,

ti dico mogio una frasetta corta:


fammi gustare con l'olio e col pane,

di Capracotta lenticchie nostrane!


Giuseppe Gamberale

 

Fonte: G. Gamberale, Iserniade, Agnone 2004.

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