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L'abitato sannitico di Fonte del Romito



Nell'estate del 1979, in occasione dell'avvio della prima campagna di scavo alla Fonte del Romito, il Prof. B. d'Agostino, a quei tempi Soprintendente archeologo pro tempore, incaricò l'Ing. R.E. Linington, direttore della Fondazione Lerici, di eseguire, per conto della Soprintendenza, una serie di prospezioni archeologiche su tutta l'area prescelta per le esplorazioni, e su una parte dei terreni circostanti, in base ad un progetto di sondaggio capillare di un esteso settore della contrada Macchia, così ricca, come si è dimostrato nel capitolo precedente, di tracce di frequentazione antica.

L'indagine è stata condotta utilizzando il metodo di prospezione geofisica basato sulla misurazione delle variazioni, o anomalie, esistenti fra le proprietà fisiche del materiale di cui è composta una formazione archeologica, e quelle degli strati circostanti.

Nel caso specifico, è stato necessario scartare, tranne in un paio di zone dove le condizioni del terreno lo consentivano, l'applicazione della prospezione elettrica: infatti, essendo questa basata sul rilevamento delle differenze di resistività delle strutture murarie e del terreno dentro il quale sono sepolte in rapporto al diverso contenuto di umidità, si sarebbe incorsi in gravi rischi di erronee interpretazioni dei dati a causa della vicinanza della sorgente e delle moderne opere di canalizzazione che, assieme alla presenza di banchi rocciosi in superficie, avrebbero senz'altro potuto influenzare negativamente l'esito dell'indagine.

Si è preferito, perciò, utilizzare il metodo magnetico grazie al quale è possibile determinare la gamma dei mutamenti nel campo magnetico terrestre causati dalle diverse proprietà dei vari strati vicini al punto di misura. Gli aumenti più consistenti della suscettività magnetica, cioè del grado in cui un corpo è in condizione di polarizzarsi, vengono normalmente prodotti sia dai complessi cambiamenti negli ossidi di ferro contenuti nel terreno in presenza di materiale organico, sia da forti azioni di riscaldamento, delle quali rimane traccia, soprattutto, nell'argilla. Pertanto, strutture in mattoni, o anche in pietra che hanno subìto incendi, ed ancor più fornaci antiche, producono vistose anomalie magnetiche i cui valori, registrati dagli strumenti e tradotti successivamente in simboli differenziati a seconda delle variazioni di intensità, riescono a tracciare una mappa del giacimento archeologico, indicandone, oltre alla esatta collocazione, anche lo sviluppo ed un approssimativo orientamento.

Nel corso delle prospezioni geofisiche alla Fonte del Romito, sono stati utilizzati un magnetometro a protoni di tipo differenziale ed uno del tipo Elsec, in grado di eliminare particolari disturbi durante le operazioni di misurazione, ciascuno collegato via cavo allo strumento rilevatore costituito da una sonda montata, ad un metro di altezza, in cima ad un'asta appoggiata sul terreno, per mantenere costante la quota di misura, che veniva spostata di un metro ad ogni rilevamento. In questo modo tutta la zona è stata rigorosamente scandagliata, ad esclusione di un'area molto periferica della contrada nella quale le indagini sono state svolte successivamente, durante una seconda breve campagna che ha avuto luogo dopo la fienagione, attraverso sondaggi più diradati con misurazioni ogni due metri.

I dati raccolti si sono dimostrati soddisfacentemente attendibili, collimando con i primi ritrovamenti avvenuti quando ancora le prospezioni erano in corso di svolgimento, e decisamente utili, indirizzando nella giusta direzione le esplorazioni successive.


Ivan Rainini

 

Fonte: I. Rainini, Capracotta. L'abitato sannitico di Fonte del Romito, Gangemi, Roma 1996.

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