Non potrò mai dimenticare l'espressione tra il fiero e l'ammirato che compariva sul viso di mio nonno, Francesco "Cicciotto" Di Nardo quando, raccontandomi del suo grande valore umano, pronunciava il nome di Albert Schweitzer. La mia fantasia di bambino e poi la passione di ragazzo vagavano tra la medicina, la missione e la ricerca di Dio ma non sapevo ancora che più avanti il cerchio si sarebbe chiuso con l'arte organistica!
Albert Schweitzer nacque il 14 gennaio 1875 a Kaysersberg, in Alsazia, terra contesa tra Francia e Germania. Il padre, pastore luterano, prestava la sua opera a Gunsbach, la cui chiesa era contemporaneamente attiva anche per la cittadina di Griesbach-au-Val, dedicata sia al credo cattolico che alla confessione protestante, e per le questioni di confine le celebrazioni avvenivano sia in tedesco che in francese. Questo incredibile dualismo di fondo influenzò sicuramente la mente del giovane Albert e il suo pensiero, portandolo al superamento delle differenze confessionali ed alla elaborazione di un diverso concetto di etica e di solidarietà.
Che discendesse da una famiglia particolare lo desumiamo anche dal fatto che la cugina, Anne Marie Schweitzer, fu la madre di Jean-Paul Sartre.
Non fu un brillante scolaro: di salute cagionevole, lento nell'apprendimento e nella lettura, mostrò però una straordinaria predisposizione per la musica. A sette anni compose un inno e a otto suonava l'organo, mentre a nove sostituì un organista impossibilitato a prestare il servizio richiesto. Contemporaneamente, sviluppava uno spiccato amore per il prossimo e per gli animali, che raccomandava in tutte le sue preghiere quotidiane.
Trasferitosi per gli studi liceali a Mulhouse, fu quasi obbligato da sua zia, che lo ospitava (tradizione che abbiamo anche conosciuto alle nostre latitudini), allo studio sistematico del pianoforte e, nel liceo, ebbe come insegnante Ernst Münch, organista della Chiesa di S. Stefano. In occasione di un viaggio a Parigi conobbe Charles-Marie Widor, che ne ammirò lo straordinario talento all'organo, spingendolo, insieme a Münch, allo studio sistematico di questo strumento, cosa che Albert fece con Marie Jaëll. Durante gli studi teologici e filosofici a Strasburgo sviluppò la bruciante passione per la musica di Johann Sebastian Bach. Conseguita la laurea, divenne vicario della Chiesa di S. Nicola e, nel 1902, docente di Teologia a Strasburgo: in quegli anni cominciano le sue pubblicazioni teologiche ma anche su Bach.
Tuttavia, il desiderio di portare sollievo ai sofferenti lo spinse a conseguire anche la laurea in Medicina con specializzazione in malattie tropicali nel 1913. Maturò così l'intenzione di partire per l'Africa nella missione di Lambaréné, in Gabon, insieme alla moglie Helene Bresslau, una valente pianista, sposata nel 1912, che aveva conseguito il diploma di infermiera per coadiuvarlo nella sua opera. La battaglia quotidiana si svolse contro la tubercolosi, le malattie tropicali, la chirurgia, mettendo in gioco la sua stessa vita per conquistare la benemerenza delle popolazioni locali e il consenso degli stessi sciamani. Arrivò così, nel 1952, il premio Nobel per la Pace, i cui proventi servirono a fondare Villa Lumière, un lebbrosario.
Ma se di giorno era il "Dottore Bianco", di notte tornava ad essere organista studiando su un pianoforte con pedaliera, dono della Società Bachiana, e costruito appositamente per l'occasione per evitare danni da tarli e parassiti. Tedesco in terra coloniale francese, con lo scoppio della Grande Guerra, fu imprigionato nel 1914 e, insieme alla consorte, trasferito in un campo di prigionia in Francia. L'intercessione degli amici e dello stesso Widor fece ottenere per entrambi gli arresti domiciliari. Con la libertà, giunta nel 1918, arrivò anche la ripresa degli studi medici, teologici e della carriera concertistica, tesa alla raccolta di fondi per la Missione di Lambaréné, dove poté tornare nel 1924, rimboccandosi un'altra volta le maniche per ricostruire l'ospedale ormai andato distrutto.
Nonostante il carattere timido e schivo, e sofferente per una fama non voluta, Schweitzer era diventato l'ispirazione ed il punto di riferimento di medici e missionari. L'amicizia con Albert Einstein gli valse una migliore conoscenza della fisica delle radiazioni, l'avversione per esperimenti nucleari e il timore di una terza guerra mondiale. Non volle più far ritorno nella sua Alsazia, restando a Lambaréné, dove si spense il 4 settembre 1965. "Oganga" (ossia "Dottore Bianco") Schweitzer fu sepolto nei pressi di un'ansa del fiume accanto al suo ormai celebre ospedale.
La sua etica, basata su un assoluto rispetto della vita, si pone sulla convinzione che essa derivi dai sentimenti innati dell'Uomo e non dalla ragione, ricercata da ognuno tramite un atteggiamento introspettivo teso ad un pensiero autonomo, con un amore esteso a tutto il Creato fino al superamento di ogni confessione ed arrivando ad una Chiesa Cristiana Universale. Esattamente come Bach, nella maturità supera nelle melodie sacre la differenza tra il Cattolicesimo e la Riforma.
Come in Bach, la maturità non portò a "tirare i remi in barca", così Schweitzer non si rassegna nel tentativo di creare un mondo ed una morale nuovi, derivati dalla conoscenza alimentata dal cuore e dallo studio, da cui scaturiscono pensiero ed azione. Un mondo in cui il colonialismo deve soccombere alla civilizzazione ottenuta tramite il lavoro. Chi ha conosciuto la sofferenza ha l'obbligo di indicare la strada al prossimo, altrimenti sarà solo sofferenza sprecata. Come Bach componeva spingendo alla conoscenza di Dio, così Schweitzer, nell'amore per il creato, trova energia per rispettare e promuovere la vita.
Pochi invece conoscono il valore dello Schweitzer organista: grandissimo concertista e tra i massimi conoscitori e studiosi dell'opera di Bach. Nel 1905, con il testo "Bach, il musicista poeta", presente ancor oggi in tutte le case degli organisti e dei musicisti in generale, apre la strada ad un'interpretazione innovativa dell'opera del Maestro di Lipsia. Sua anche un'edizione dell'opera omnia di Bach per organo. Carattere fondamentale è la "scoperta" dei valori simbolici della musica barocca, fino ad allora quasi negletta, specialmente nelle cantate e nei corali per organo di Bach. Schweitzer osserva come nelle armonie di accompagnamento siano presenti figure melodiche ed armoniche, cioè "motivi" tesi ad esaltare ed evidenziare il momento che l'autore sta esprimendo. Ecco allora il "motivo della gioia", il "motivo del terrore" o il "motivo dell'attesa", ed altri ancora nel rispetto dell'armonia e degli schemi compositivi, pur superandoli: l'ascoltatore, come in un risveglio, si accorge di trovarsi in una dimensione nuova pur nello stesso posto di partenza. Alcuni concetti interpretativi verranno superati ma il valore di fondo rimane vivo.
Come anche la necessità di un uso o di un ripristino filologico degli strumenti per una corretta esecuzione: lo stesso Schweitzer sostiene che gli organi a lui contemporanei non sono adatti alla freschezza e nitidezza richieste dalla musica di Bach che in essi appare invece «come un disegno tirato a carboncino». Quindi il dualismo che ritorna: musica e simbolo, percepiti insieme ed inconsciamente dall'ascoltatore. Giungiamo così ad "Ascoltare il mistero", parafrasando il titolo di un testo di Timothy Verdon riferito all'arte sacra visiva.
Per concludere, in esaltazione del dualismo, base fertile del pensiero dall'antico Egitto fino ai nostri giorni, ricordo come la melodia di un corale festoso, "Nun lob, meine Seel, den Herren" (Loda il Signore, anima mia) è la stessa del corale "Gott, Man lobet dich in der Stille" (Dio, l'uomo ti loda nel silenzio)...
Francesco Di Nardo