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Amore e gelosia (XLII)



XLII

"Però... Non mi deve trovare che lo aspetto qua fuori al buffet... Ci faccio una brutta figura... ora mi allontano, anzi vado a fare il biglietto per Napoli e rientro in stazione. Lui sarà uscito dal bar e penserà che io sto appena giungendo... sì, meglio così"...

Ed Elisa si avviò verso la biglietteria, vi giunse e fece un biglietto per Napoli, poi rientrò verso la partenza dei treni.

Una piccola folla si era formata sulla banchina e la giovane dovette farsi largo quasi a spinta: il diretto era in arrivo e tutti si accalcavano per non perderlo.

Non era più possibile vedere o farsi vedere: non era stata una buona idea quella di allontanarsi.

A peggiorare le cose, ecco che un sibilo prolungato si diffuse nell'aria, seguito da uno sbuffo inconfondibile: il treno stava entrando in stazione e il vapore liberato nell'aria stava inondando tutta la banchina.

Non c'era molto da poter fare: o tornare indietro o salire sul treno, doveva decidere, adesso e subito...

Salvatore udì il sibilo e si riscosse: stava ascoltando il professor Califano che si era rivelato un vero affabulatore: gli stava parlando della canzone napoletana e in proposito aveva grandi idee...

– Il treno! È giunto, devo prenderlo... Professore scusatemi, nun me dite niente, ma mò me ne devo andare, parlamme meglio n'ata vota... grazie per il caffè e la sfugliatella...

– Iate, iate, maestro! È stato un onore per me, un grande onore! E quanne venite a Nocera a trovare la bella donna Elisa, se ci incontriamo posso...

– Ma certo, professore, certo... ma ora devo... – e senza aggiungere altro il poeta uscì dal buffet e si ritrovò tra la calca in attesa come lui di salire sul treno.

Il convoglio entrò finalmente in stazione rallentando tra stridii di freni e continui sbuffi di vapore che uscivano dalla locomotiva.

La gente si tirò indietro per non essere investita dai getti caldi e le varie vetture di prima, seconda e di terza classe sfilarono sempre più lentamente fino a fermarsi definitivamente con un sussulto.

Le porte si aprirono e i viaggiatori provenienti da Salerno e Cava diretti a Nocera presero a scendere: la ressa allora aumentò ancor più tramutandosi quasi in una vera e propria massa confusa.

Ma era solo apparenza, l'ordine c'era e quando la folla si diradò rimasero solo i nuovi viaggiatori diretti verso Napoli o qualche stazione intermedia: ora bisognava salire. E don Salvatore così fece: dopo aver dato la precedenza alle donne, come era buona educazione fare a quei tempi, si inerpicò anche lui su per i gradini del vagone di seconda classe e infine si sedette.

Pochi minuti e si udì un trillo sibilante: era il fischietto del capostazione che autorizzava il treno a partire...

Lentamente, quasi con dispiacere e con fatica, il convoglio si rimise in moto, tutte le vetture seguirono la locomotiva che tirava, tirava ed emetteva vapore a tutta forza.

Uscirono finalmente dalla stazione e anche il diretto, libero ormai dalla forza di inerzia che prima voleva trattenerlo, iniziò ora allegramente a prendere velocità.

"Un'oretta al massimo e sono a Napoli", pensò don Salvatore, mentre si accomodava in una delle poltrone a tre posti della seconda classe.

Si guardò intorno: il vagone era pieno, era stato fortunato a trovare posto, e nel corridoio c'era anche qualcuno in piedi.

"Bene, mi farò una piccola dormitina e il tempo passerà più velocemente... Però, la sfogliata era davvero buona, e anche il caffè! 'A prossima vota faccio nu cartoccio pe mammà"...


Francesco Caso



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