Nonna Margaret diceva che sognare le antilopi in primavera porta fortuna e io oggi di fortuna vorrei averne proprio tanta, vista la missione particolarmente pericolosa che tra un po' devo affrontare. Prima di svegliarmi ne ho sognata una che saltava allegramente nella savana. In Italia è pieno autunno, ma le giornate particolarmente miti mi ricordano che adesso nel mio Sud Africa è primavera.
Mi chiamo Donald James Campbell, sono un pilota di caccia e combatto per gli Alleati, contro l'esercito tedesco sulla linea Gustav. Oggi è l'8 novembre 1943 e devo andare in missione con uno dei dodici Spitfire MkVc sudafricani del 4th Squadron SAAF di stanza a Palata, un piccolo paese del Molise, dove gli alleati hanno realizzato un aeroporto avanzato per i caccia, dotato di una lunga spianata resa scorrevole da pannelli in metallo lamellato.
Il briefing di ieri sera ci ha messi di fronte a una missione particolarmente pericolosa. In Abruzzo dobbiamo distruggere alcuni ponti ferroviari sul tratto che va dalla galleria Tre Croci prima di Roccaraso a quella di Rivisondoli. Ce n'è uno, in particolare, denominato "Dieci Ponti" per via di dieci archi che lo compongono, è il più grande, ma il più pericoloso da colpire, perché è dominato da due batterie antiaeree Flak che incrociano il tiro sui voli che attraversano proprio in quel punto il valico chiuso ad imbuto sotto il paese di Roccaraso, una nota località sciistica degli Appennini. Questo paese si trova al centro della linea Gustav. Su una serie di fotografie aeree scattate qualche giorno fa dai nostri ricognitori, abbiamo individuato i quattro ponti più piccoli che sono stati assegnati ad altrettanti aerei, mentre gli altri otto aerei dovranno distruggere i Dieci Ponti.
L'arrivo degli aerei avrà questa sequenza: i primi sei giungeranno con qualche minuto di anticipo aggirando il Monte Arazecca per dividersi all'imbocco del Piano dell'Aremogna; due si dirigeranno immediatamente sulla cima di Monte Maiuri che sovrasta il valico e scenderanno in picchiata alla sua base per mitragliare e annientare le due postazioni contraeree Flak che incrociano l'ingresso degli aerei sull'altopiano sotto Roccaraso e poste una su un piccolo spiazzo alla base del monte, l'altra di fronte sul lato opposto del valico; mentre gli altri quattro aerei proseguiranno sotto la cima di Monte Zurrone per scendere progressivamente di quota dall'altra parte dell'altopiano e con un'ampia virata sorvolando Rivisondoli si allineeranno alla linea ferroviaria per colpire in sequenza i ponti più piccoli. Gli altri sei aerei arriveranno direttamente a raso all'imbocco dell'altopiano e in sequenza sganceranno una bomba ognuno sul grande ponte posto sotto il paese di Roccaraso. È una operazione complicata, perché deve essere eseguita in maniera coordinata e in maniera tale che, provenendo gli aerei da più parti il nemico rimarrà disorientato.
Tutti gli aerei sono caricati con bombe da 227 libbre e con le spolette preparate affinché esplodano solo toccando terra, in maniera che i ponti vengano distrutti alle fondamenta.
Attualmente in quel tratto della Gustav sono attestati i Paracadutisti tedeschi della 1ª Divisione Heidrich e ci hanno ricordato che sono tra i migliori reparti della Wehrmacht. Che Dio ce la mandi buona, perché temiamo che qualche altra postazione contraerea sia stata collocata in punti sconosciuti. L'intelligence e le rilevazioni aeree hanno compiuto un buon lavoro di ricerca, ma le montagne coperte da una fitta vegetazione ben si prestano a nascondere ogni cosa e i tedeschi in quel tratto sono stati molto bravi a fortificarle in maniera adeguata.
Sono le 7:30 e nella baracca adibita a mensa alcuni civili del posto, reclutati a far servizi, ci stanno servendo la colazione: uova strapazzate, pane tostato, biscotti con marmellata di fichi preparati dal forno di Palata; tè a volontà. Noi piloti siamo privilegiati, sappiamo che per chi si trova in prima linea la vita è ben diversa, ma volare non è cosa semplice e di poco conto.
Ci apprestiamo ad alzarci da tavola e dalla saletta ufficiali sopraggiunge il maggiore Waderg, già pronto, che ci richiama ai suoi ordini e velocemente ribadisce ad ogni pilota la sequenza di volo degli aerei, e lo schema di attacco concordato. Io faccio parte del gruppo di quattro aerei che dovrà abbattere i ponti più piccoli e volo in quarta posizione per colpire il ponte prima della galleria che immette verso la stazione di Rivisondoli.
Gli aerei del campo sono una trentina e i nostri Spitfire sono schierati per primi, carichi già di carburante. Il mio ha la sigla KJ-R e come gli altri reca disegnata sullo stabilizzatore verticale l'antilope, simbolo del reparto. Mi accorgo che per uno strano gioco della luce mattutina è l'unica già illuminata dai primi e bassi raggi di sole. Che sia un buon segno. Lo spero proprio.
La partenza dei primi sei aerei è fissata per le 9:30, mentre gli altri sei li seguiranno con tre minuti di ritardo. Ci fermiamo ancora un po' sulla pista vicino agli aerei per continuare mettere a punto le varie fasi dell'attacco, ripercorrendo le manovre che ognuno dovrà compiere appena sorvolato il fiume Sangro che segna la linea di combattimento principale dividendo i due eserciti in guerra. La discussione è minuziosa e il momento della partenza arriva in un batter d'occhio. Io prima di salire guardo, senza volerlo, ancora una volta l'antilope. Mi rendo conto che è diventata quasi una piacevole ossessione. Vorrà dire che mia nonna mi sta pensando.
Siamo in volo da una decina di minuti dopo aver preso una leggera quota verso il mare Adriatico con una repentina virata che ci consente incanalarci dentro la valle del Trigno fino a girare verso destra per sorvolare l'abitato di Agnone e poi quello di Capracotta, in quel punto inizierà la missione vera e propria essendo arrivati sull'altra riva del Fiume Sangro. Superata Capracotta, quasi a toccare il campanile della chiesa, aumentiamo al massimo la velocità e il primo pilota dei sei aerei che precedono, informa il comandante, sul primo aereo del secondo gruppo, che ci stiamo dirigendo verso ovest per aggirare il Monte Arazecca. L'esecuzione della manovra di sorvolo della montagna è così repentina che dalle postazioni poste sulla cima i primi colpi di mitragliatrici raggiungono il cielo quando ormai siamo già passati.
Da quel punto i primi due aerei raggiungono la cima di Monte Maiuri e scendono in picchiata e li perdiamo immediatamente di vista. Noi quattro passiamo quasi a raso al fianco nord della cima di Monte Zurrone e all'improvviso sentiamo il crepitio sinistro di un quadrinato Flak posto in una radura appena sotto di noi. I primi tre aerei passano indenni scendendo repentinamente di quota e mentre io mi accingo a seguirli vivo una sensazione duplice e allucinante. In rapidissima sequenza mi appare l'antilope disegnata sul timone di coda dell'aereo che mi precede e sento il crepitare di diversi proiettili che colpiscono un ala, si conficcano nel motore smorzando all'improvviso il suo movimento e facendo virare l'aereo verso sinistra. È la fine, il pensiero vola a mia nonna e ad alta voce mi rivolgo a lei dicendo che si sbagliava, quando affermava che sognare le antilopi di in primavera porta fortuna. Sento un brivido di freddo che scorre dietro la schiena. Poi con sorpresa mi rendo conto che la stabilità dell'aereo non è compromessa e mi rendo conto che accorgendomi di ciò una scarica di adrenalina avvolge il mio corpo e soprattutto la mia testa rendendomi vigile come non mi era mai capitato e ponendomi avanti agli occhi tutte le manovre che mi erano state insegnate nel caso mi fossi trovato in una situazione simile. Devo atterrare planando dolcemente. Devo sganciare la bomba da 227 libbre più o meno all'altezza di 750 piedi, in maniera tale che il percorso finale sia dolce e privo di pericoli. Se tutto andrà per il verso giusto, purtroppo sarò prigioniero dei soldati tedeschi.
Tra i primi quattro aerei, che devono colpire i ponti più piccoli, mi trovo in posizione avanzata e perciò mantengo l'aereo leggermente a sinistra perché il ponte prima della galleria di Rivisondoli è posizionato verso nord. In prossimità del Piano dell'Aremogna, seguendo gli ordini ricevuti abbasso la quota di volo fino a toccare quasi gli alberi della cima dell'ultimo contrafforte da dove individuo immediatamente il ponte a nord che ha una sola arcata. Per essere sicuro di colpirlo scenderò fino a 75 piedi. Appena il tempo di pensarlo e con la mano schiaccio il pulsante per liberare una grossa bomba che lo colpisce in pieno. Faccio un'ampia virata e mi accorgo che nei paraggi un gruppo di tedeschi, peraltro ben mimetizzati nel terreno, che non avrei potuto vedere se avessi volato appena più alto, stanno compiendo delle operazioni lungo la strada che sale a fianco della ferrovia. Non lascio sfuggirmi l'occasione e mi preparo a mitragliare lungo tutto l'asse stradale per poi risalire in quota ripercorrendo lo stesso percorso di arrivo.
Effettuata una virata completa allineo l'aereo all'asse stradale e guardando sulla sinistra mi rendo conto che anche gli altri ponti più piccoli sono stati abbattuti, l'ultimo è a ridosso del paese. Più in la lo scontro aereo per distruggere i Dieci Ponti è in pieno corso e si notano grandi nuvole di polvere alzarsi nell'aria. La missione è andata a buon fine. Apro il fuoco lungo tutto il tratto stradale trovandomi immediatamente di fronte alla montagna, quindi prendo quota, ma nel frattempo da una spianata sul fianco della cima più alta inizia a sparare una contraerea. Porca miseria! Ecco la sorpresa. Doveva capitare proprio a me. Non faccio in tempo a rendermene conto che, alzando ancor più velocemente l'aereo, sento lo schianto di due colpi che si infilano da qualche parte. Immediatamente le lancette di alcuni strumenti impazziscono e vedo uscire carburante a fiumi da un'ala, l'altimetro funziona. La prima fortuna: non c'è traccia di incendio. Ma l'aereo incomincia a vibrare maledettamente e perdo quota. Mi rendo conto che l'unica possibilità di salvezza è di atterrare con tanta altra fortuna proprio in mezzo a quel grande prato. Così compio un'ampia virata con il motore che continua a singhiozzare maledettamente. Riesco gradualmente e con grande difficoltà ad allinearlo al manto erboso. La contraerea non spara più, hanno visto che sto tentando l'atterraggio. Così facendo mi accorgo che il cuore batte forte e sembra voglia uscire dal petto. Sono operazioni compiute in brevi secondi, ma all'improvviso mi torna in mente lo sguardo lanciato verso il timone sulla pista dell'aeroporto: l'antilope! Altro che fortuna. Io, l'uomo che ha sognato l'antilope nella primavera del Sud Africa sto precipitando. Porca miseria! In un attimo ritorno alla realtà più diretta della guida dell'aereo. Incomincio ad urlare: devo salvarmi! Devo salvarmi! E mi torna davanti agli occhi il primo istruttore di volo, il buon Halker che spiegandoci come tentare di atterrare in situazioni del genere ci urlava ogni operazione da eseguire. Le ho eseguite tutte.
Ecco, ecco, sono riuscito a stabilizzarlo questo benedetto aereo, lo sto portando giù come un aliante, sembra un aliante. Mi meraviglio di me stesso. Urlo per farmi coraggio. Cavolo Donald James! Ma ti rendi conto con quale sangue freddo stai compiendo manovre semplici ed efficaci? Bravo! Forza, continua così, solo trenta piedi e tocchi terra.
I soldati che avevano tentato di ripararsi in qualche maniera vedendo gli altri aerei allontanarsi, sono scesi lungo la china del colle che stavano minando e vengono incontro all'aereo che si abbassa ancora. Gli passo sulla testa e sembra di toccarli, non li vedo più sono dietro, l'aereo è a dieci piedi e parallelo al suolo del grande piano. Ce l'ho fatta. E incomincio a gridare ancora più forte: ce l'ho fatta! Sono salvo! Mi balza davanti agli occhi quasi accecandomi i raggi del sole, sto contro il sole e mi appaiono sfocati i contorni dell'antilope. L'antilope di nonna Margaret. Nonna Margaret aveva ragione. L'antilope a primavera. Ma no è autunno, un maledetto autunno di montagna.
E mentre l'antilope svanisce sull'erba sento un rumore quasi dolce, un fruscio. È l'erba. Il morbido fondo del Prato mi ha accolto dolcemente come la savana riceve morbidi, che quasi non la toccano, gli zoccoli dell'antilope che salta. È fatta, maledetta contraerea. Che sia maledetta la guerra! Raus! Raus! Raus! Fuori! Fuori! Fuori!
Furono queste parole a ricollocarmi nella realtà, dopo che mi ero abbandonato sul seggiolino con gli occhi sbarrati guardando il cielo e cercando non più la sagoma dell'antilope ma il volto umano e paterno del Signore. Invece apparvero all'improvviso due volti sovrastati dall'elmetto. L'elmetto dei paracadutisti tedeschi. I quali con la pistola in mano aprirono il tettuccio e mi invitarono a saltare giù. Mentre giungevano e svanivano inesorabilmente i flebili rumori degli undici aerei che tornavano a Palata.
Ugo Del Castello
Fonte: https://roccarasozoom.it/, 24 gennaio 2019.