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Canzone in lode di Giovanna Caracciolo (I)



Principessa di S. Buono; Duchessa di Castel di Sangro; Marchesa di Bucchianico; Contessa di Schiavi, di S. Vito, di Capracotta, & c.


Si sovra il basso stil tento inalzarmi

Ne' miei pensieri, e di sì bei colori

Mandarli adorni a le future genti,

Che d'alta Donna i più riposti onori,

Accolti in guardia di ben degni carmi,

Per volger d'anni non rimangan spenti.

Voi che movete il Ciel superne menti,

E i vaghi lumi per gl'immensi giri

Reggete il mio pensier, che senza oltraggio

Per sicuro viaggio

A questo nuovo Sol d'intorno giri,

E da' begli atti, e dal divin sembiante

Tragga forme immortali, e lume prenda,

Onde poi scorto ascenda

E sovra Olimpo, e sovra il mauro Atlante,

Lasciando dietro a se le nubi, e 'l gielo,

Ed oltre passi poi di Cielo in Cielo;

Così mio dir per lui fatto sublime

Basti a portare i suoi gran pregi in rime;

Che ben s'affida a brievi, e tarde piume,

Per far d'illustre nome adorni i mari,

Chi senza diva scorta a volar prende

La vè tutto di raggi ardenti, e chiari

Sfavilla intorno il bel celeste lume.

Ei, ch'ogni voglia a vera gloria accende,

Soverchia il capir nostro, e infermo il rende;

Come raggio divino occhio mortale.

Ben talor vacillando ivi s'affisa

Mente audace, e s'avvisa

Mirar sceso dal Cielo spirto immortale,

Che d'un candido vel manto si face;

Ond'in bel foco di desire accesa

S'attenta a l'alta impresa,

E 'l volo scioglie oltre il costume audace;

Ma poi delusa il van pensier disperde,

E de l'altezza ogni speranza perde;

Ch'anzi di fornir l'opra il vol si stanca,

E spesso rompe a mezo il corso, e manca.

Ma io per Voi con piena aura seconda

Già lieve fatto, ecco m'inalzo, ed ergo;

E qual'Aquila fermo in quel bel Sole

Altero il guardo, onde m'affino, e tergo.

Così miro, com'ei virtù n'infonda,

Virtù, che da' bei rai discender suole,

E veggio quai pensieri, atti, e parole

Crea, e com'ogni cor torne gentile.

Il bel seren, che da sua vista muove

Tal dolcezza in noi piove,

Che ben sembra tutt'altro infermo, e vile.

Ne così nebbia d'arto umor terreno

Al Sol dinanzi si dilegua, e fugge,

Come si sperde, e strugge

Al raggiar del suo vago, e bel sereno

Ogni turbato, ond'è 'l pensiero oppresso.

L'aria, l'acqua, la terra, e 'l Cielo istesso

S'allegra da' suoi rai, ch'un più lucente

Aprono al mondo, e più chiaro oriente.

Io più m'interno, e 'l ben conforme corso

Scorgo del nuovo Sole, e 'l carro ornato,

U' son gli eccelsi suoi atti dipinti,

Sol d'onor veggio, e di virtù formato;

E con destrier non mai ristrosi al morso

Scorrere il miro sovra i mostri estinti,

E trionfando altri menarne avvinti;

Pur come invitto, e glorioso Duce.

Talché Lui, che ne spiega il chiaro giorno,

Invidia preme, e scorno,

E par chiuda nel duol l'alma sua luce;

Ch'altro Sole, altro corso, e d'altro intesto

Che d'ostro, e d'oro scorge un più bel carro.

Ma dove son? che narro?

Già paventa il pensier, ch'era si desto,

E si conturba in se stesso discorde;

Dunque nuovo furor deste, e concorde,

E molcia, e tempre le mie parti interne;

Date nuov'aure al vol virtù superne.

Quest'almo Sol, ch'in tanta gloria siede

In sì bel carro, e fuor d'errore, e d'ira

Per vie sublimi, e non segnate ancora

Lo muove, e regge, ed a sua voglia gira;

Ben sovr'ogn'altro n'apre eterna fede

De l'increato ben, che 'l mondo adora;

Che più chiaro, o simil non tornò fuora

Giammai altro splendor da l'alta, e pura,

Eterna luca, ond'ogni bel deriva,

E s'informa, ed avviva

L'alma che fora tenebrosa, e impura.

Però a qual mente il Ciel grazia comparte

Fissarsi oltre nostr'uso al bel splendore,

Non pur d'alto stupore

Carco, e di gioja indi il pensier si parte;

Ma più leggiadra, e nobil forma veste;

Anzi in quel, ch'ivi appar del ben celeste,

Ogni vaghezza sua ferma, ed acqueta,

Ned altro objetto mai di se l'asseta.

Dappoi che 'l Fabbro eterno a formar tolse

Si bel lavoro, in ch'Ei segnato scopre

De l'infinita sua mente superna

Il gran concetto, e sue mirabil'opre,

Tra le forme, che varie in se raccolse,

Ebbe egli eletta, a dar lui vita interna,

La più sublime, e l'alta imago eterna

Quasi più chiara, e viva in lei scolpio;

Indi l'accose in sì leggiadro manto,

Che già più vago, o tanto

Non sà, né può bramar nostro disio.


Giovanni Battista Palma


 

Fonte: G. B. Palma, Canzone in lode dell'Ill. ed Eccellentiss. Signora Giovanna Caracciolo, Roselli, Napoli 1693.

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