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Capracotta 1943: guerra ai civili


Capracotta 1943
Capracotta distrutta dai tedeschi nel 1943.

Come si comprende già dal titolo dell'articolo, intendo soffermarmi sul ruolo svolto dai civili durante la Seconda guerra mondiale. Negli ultimi anni infatti la storiografia italiana, ma anche quella internazionale, ha un po' messo da parte le vicende belliche per concentrare la propria attenzione su questioni considerate negli anni precedenti marginali, come appunto il coinvolgimento massiccio dei civili nelle operazioni di guerra.

Una delle principali caratteristiche della Seconda guerra mondiale è il massiccio coinvolgimento dei civili nelle operazioni belliche. Nella Prima guerra mondiale il 5% delle vittime erano civili, tale quota salì al 66% nel secondo conflitto e, nello stesso tempo, si verificò l'annullamento di ogni distinzione tra campo di battaglia e fronte interno. Riproponendo un confronto tra la Prima guerra mondiale e la Seconda, mentre nel conflitto del 15-18 è possibile identificare una linea del fronte ben precisa, nel caso della seconda guerra tale situazione è impossibile in quanto, ad esempio, anche le città diventarono degli obiettivi militari di primo piano. Quella di coinvolgere i civili nelle operazioni belliche fu una pratica che utilizzarono tutte le forze in campo. Iniziarono i tedeschi bombardando le città britanniche con il preciso intento di fiaccare il morale dei britannici; quando poterono, gli inglesi utilizzarono le stesse tecniche contro i tedeschi bombardando massicciamente le città tedesche, gli americani agirono allo stesso modo. Si pensi alle bombe atomiche sganciate sul Giappone e, caso a noi vicino, al bombardamento di Isernia. Detto questo, è indubbio che le truppe naziste furono quelle che coinvolsero maggiormente i civili nelle operazioni belliche. Alla base di questo modo di procedere c'era sicuramente un fine strategico in quanto si voleva rallentare il più possibile l'avanzata alleata in Italia e fare terra bruciata intorno alle truppe alleate. In questo senso si inseriscono, quindi, le direttive emanate dal comandante in capo delle truppe tedesche in Italia, Kesselring, che prevedevano la rappresaglia di uno a dieci per ogni soldato tedesco ucciso, la fucilazione di chiunque avesse ospitato soldati nemici, come appunto i fratelli Fiadino, oppure la fucilazione delle popolazioni civili che si rifiutavano di essere evacuate, come nel caso di Pietransieri. Non fu quindi un caso che Kesselring invitò i propri ufficiali a condurre sul territorio italiano distruzioni di ogni tipo da realizzare con sadica fantasia.

Credo che vada sottolineato, che quella di fucilare i civili, distruggere interi paesi fu una scelta consapevole e non casuale, come spesso si tende a spiegare, utilizzando criteri quasi razziali, tendenti ad assegnare ai tedeschi una maggiore predisposizione alla violenza rispetto ad altri popoli. In realtà le motivazioni che spinsero i tedeschi a comportarsi senza alcun rispetto per i civili italiani erano diverse. A una motivazione strategica, quella di fare terra bruciata agli alleati, ne vanno affiancate almeno altre due. La prima deriva direttamente dall'analisi delle direttive di guerra emanate dai comandi tedeschi, che ricalcavano, quasi interamente, quelle relative all'Unione Sovietica. Si tratta di un elemento importante visto che il modo in cui i tedeschi condussero la guerra contro la Russia fu poi utilizzato anche in Italia. Infatti nelle operazioni contro i sovietici il coinvolgimento dei civili era legato alla visione fortemente razzista che i tedeschi avevano delle popolazioni dell'est Europa, considerate razze inferiori. La seconda viene fuori poi dall'aggravante ideologica e dal fatto che in Russia si sviluppò nelle retrovie un forte movimento resistenziale. Mi sono soffermato sul caso della guerra sul fonte orientale perché, in seguito al crollo del fascismo, e alla conseguente occupazione tedesca dell'Italia, le direttive emanate dagli alti comandi tedeschi ai propri soldati, ricalcavano in pieno lo schema di quelle adottate nella guerra contro l'URSS. Va poi tenuto in considerazione che molte delle truppe che operavano in Italia provenivano dal fronte orientale e avevano quindi ampiamente sperimentato la guerra contro i civili.

Se nel caso dell'Unione Sovietica pesavano le concezioni razziste e il forte scontro ideologico, nel caso degli italiani i tedeschi facevano ricadere sulla popolazione, e in generale sul territorio nazionale, le scelte fatte dal re e da Badoglio. In altre parole l'obiettivo era quello di punire gli italiani per aver firmato l'armistizio ed essere passati dalla parte degli alleati, tanto da essere considerati traditori. Questo aspetto del tradimento, che è centrale per capire la strategia bellica tedesca in Italia, ritorna in maniera decisiva anche nel caso di Paolo Potena, ucciso a guerra quasi conclusa proprio per l'odio che i tedeschi provavano per gli italiani.

L'ultimo punto da evidenziare è quello dei criminali di guerra, e della loro punizione a guerra finita. Uno dei principali responsabili delle distruzioni, e degli eccidi compiuti dai tedeschi in Italia, fu sicuramente il generale Kesselring in qualità di comandante in capo di tutto il settore tedesco. Kesselring, a guerra finita, fu condannato a morte, ma subito dopo la condanna fu commutata in ergastolo. In realtà il generale tedesco fu rilasciato dopo pochi anni di carcere e, non solo, non fu punito adeguatamente ma nelle sue memorie rivendicò tutte le azioni compiute, senza mai mostrare un minimo di senso di colpa. Negli anni Cinquanta, in una intervista rilasciata a un giornale tedesco, si permise di affermare che gli italiani avrebbero dovuto costruirgli un monumento in quanto aveva fatto di tutto per evitare ulteriori lutti agli italiani. L'uomo che, come detto, parlava di portare avanti la politica di distruzione del territorio nazionale con «sadica fantasia» pretendeva dagli italiani un monumento. Piero Calamandrei, uno dei più importanti giuristi italiani, antifascista, tra i fondatori del Partito d'Azione, dedicò al generale tedesco questo breve componimento che è stato poi scolpito sul muro del comune di Cuneo, dal titolo "Lapide ad ignominia", in ricordo delle stragi naziste compiute in quel territorio.


Lo avrai

camerata Kesselring

il monumento che pretendi da noi italiani

ma con che pietra si costruirà

a deciderlo tocca a noi.


Non coi sassi affumicati

dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio,

non colla terra dei cimiteri

dove i nostri compagni giovinetti

riposano in serenità,

non colla neve inviolata delle montagne

che per due inverni ti sfidarono,

non colla primavera di queste valli

che ti videro fuggire.


Ma soltanto col silenzio del torturati

più duro d'ogni macigno,

soltanto con la roccia di questo patto

giurato fra uomini liberi

che volontari si adunarono

per dignità e non per odio

decisi a riscattare

la vergogna e il terrore del mondo.


Su queste strade se vorrai tornare

ai nostri posti ci ritroverai

morti e vivi collo stesso impegno

popolo serrato intorno al monumento

che si chiama

ora e sempre

Resistenza.


Achille Conti

 

Fonte: Comune di Capracotta (a cura di), 70° anniversario distruzione di Capracotta, Proforma, Isernia 2013.

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