Doveva essere una tranquilla domenica col vestito nuovo e le scarpe lucide, quando decisi di andare alla "casa a conclusione". Ma invece delle scarpe, lucidi ebbi gli occhi per le lacrime dovute ai tanti ricordi.
Sto parlando del cimitero (cuambesànde), introdotto da Napoleone Bonaparte con un apposito editto del 1804. Prima di allora i defunti venivano fatti riposare, per la maggiore, nell'ipogeo della Chiesa Madre, nei pressi della stessa, «extra oppidum» (fuori paese) oppure in «divo agro» (sepolcro all'aperto). Si pensi che la peste che colpì Capracotta nel 1656, in appena 42 giorni uccise 1.126 persone su poco più di 2.000. Il nostro cimitero venne quindi inaugurato il 1° luglio 1879.
Si nasce, si cresce, c'è la parabola discendente e infine si riposa. Tra nascita e riposo intercorre un certo periodo di tempo, a volte breve, altre più lungo, se non lunghissimo, oltre i 100 anni. La vita è come una corsa ad ostacoli dove bisogna schivare la mortalità infantile, gli incidenti d'ogni genere, le guerre, le carestie, le malattie e le calamità naturali.
La morte esiste da quando esiste la vita, da milioni di anni, seconda in ordine di tempo ma prima in ordine di grandezza, ancor di più a Capracotta, dove in un anno solare le morti medie oscillano tra 40 e 50. Lo scorso anno ci sono stati 44 morti, un numero che annovera tanto i residenti quanto coloro che vengono da fuori per riposare nel nostro cimitero. Le nascite sono pochissime e si possono contare sulle dita di una mano.
Attualmente riposano al cimitero circa 2.500-3.000 concittadini, oltre a quelli che stanno nell'ossario, un luogo riservato ai defunti che hanno oltrepassato i 50 anni di riposo.
Esistono diversi episodi legati al cimitero del nostro paese.
A metà settembre del 1943 giunse a Capracotta un reparto del corpo tedesco di Sanità che adibì ad ospedale/infermeria l'edificio scolastico, dove furono ricoverati molti feriti, anche molto gravi. Tra questi ultimi ne morirono tre e furono sepolti nel nostro cimitero, sotto la terra che si trova a sinistra scendendo la scalinata. I resti dei tre soldati tedeschi rimasero lì per 30 anni, finché una commissione militare, dopo aver parlato con le autorità locali, li disseppellì e li riportò in patria.
Un altro episodio narra di quattro militari polacchi sepolti in cima alle Croci, che una commissione militare non ritrovò, forse perché nel frattempo i punti di riferimento erano stati spostati. Un giorno Seppenecòla, padre di Seppandògne Colaìzze, mentre arava il suo campo, ritrovò dei resti umani ed avvertì i carabinieri. Fu però Sebastiano Venditti (1899-1978), il camposantaro dell'epoca, a procedere, con un bidente, all'esumazione dei corpi.
A tal proposito, tra i custodi del cimitero ricordo gli ultimi cinque:
Sebastiano Venditti, detto Cianòtte, e prima di lui sua madre;
Francesco Di Lorenzo, detto Angóramàgna;
Nicola Sozio, detto Ciafèrre, e la moglie dopo la sua morte;
Domenico Fiadino, detto Mengariéglie, per appena 3-4 mesi;
Giuseppe Santilli, detto Peppóne, dal 3 gennaio 2003, anno in cui si registrarono ben 55 morti.
Si dice che quando muore una persona anziana è come se bruciasse una biblioteca; questo perché tutti hanno una storia da raccontare, fatta di tanti sacrifici. Pensando a loro mi viene da scorrere i nomignoli storpiati dal dialetto:
Sebastiano, sicuramente il più gettonato, diventa Ciàne, Cianòtte, Cianèlla, Cianùcce, Pacciàne, Paccianiéglie o Pepìtte;
Vincenzo diventa Cenzìtte, al femminile Cenzélla o Cenzìna;
Carmela diventa Mèla o Melùccia;
Francesco diventa Ciccio, Cicciòtte o Ceccàne;
Floride diventa Felréna;
Annunziata diventa Nunziatìna;
Domenico diventa Mìnghe, Mengùcce o Mengariéglie;
Chiara diventa Chiarìna o Chiarùccia;
Fortunata diventa Nàta;
Filomena diventa Felména;
Concetta diventa Ètta,
Antonia diventa Fenì;
Raffaele diventa Felùcce o Raffailùcce;
Giuseppe diventa Pèppe, Pìno, Peppóne o Peppìno;
Ermiranda diventa Merùccia;
Rosolina diventa Ruslìna;
Maria Leondina diventa Seconda;
Filoteo diventa Feldè.
Per quando riguarda poi la diffusione dei nomi, alcuni nomi presenti sulle tombe sono davvero insoliti. Eccone un elenco: Amico, Balinda, Bambina, Berenice, Bimba, Carvinia, Celestino, Cesarina, Cleope, Dalia, Diomira, Elda, Ercole, Ermelinda, Fibiana, Fortunata, Fulco, Gelsomino, Giacobbe, Incoronato, Isolina, Italia, Leo, Olindo, Ottorino, Pavone, Penelope, Pia, Polìzia, Preziosa, Quinto, Rosina, Rosolina, Sesto, Solana, Tito, Tonina, Urrico ecc.
Un giorno chiesi a mia suocera Vittoria Di Nucci:
– Ma le lapidi di quei parenti, tutte nere di sporco e di polvere all'entrata del cimitero a sinistra, perché nessuno le pulisce?
La risposta fu la seguente:
– Mén male ca tenévane chéle sétra, altrimenti come molti altri andavano a finire sottoterra.
Il nero della fuliggine era dovuto al fatto che, durante l'ultimo conflitto mondiale, i Tedeschi non distrussero né le chiese né tantomeno il cimitero, dove in molti si rifugiarono e dove accesero i fuochi per scaldarsi. Specialmente nella cappella dell'ossario, quella che non ha subito ristrutturazioni di sorta, il nero del fumo è particolarmente visibile, meno nelle altre cappelle a cui è stato rifatto il tetto (una in basso a destra, scendendo le scale, è stata pure demolita).
Tutto questo mi fa pensare che chi era ricco si comprava il loculo o si costruiva una cappella privata mentre tutti gli altri venivano messi a riposare nella nuda terra.
Appena si entra al cimitero, a destra, c'è poi una scala che porta al primo piano; si tratta dell'appartamento che spetterebbe al custode del cimitero, munito di un bel camino. Tra i tanti oggetti è presente anche un tavolo anatomico, forse utilizzato occasionalmente per adagiarvi qualche defunto prima della definitiva messa a riposo.
Agli "ospiti" del cimitero Totò ha dedicato una bellissima poesia, "La livella", mentre la Chiesa cattolica ha dedicato loro la preghiera de "L'eterno riposo".
Ci tengo però a concludere questo mio piccolo scritto con una semplice frase: «Quando muore un padre si piange, quando muore una mamma è finita una famiglia».
Lucio Carnevale
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