Quando ero una ragazzina passavo buona parte della mia estate in un piccolo paesino di montagna, Capracotta, luogo d'origine di mia madre. Non saprei spiegare, se non con le immagini suggerite dalla nostalgia, quei mesi caldi passati lontano dal mare. C'è una villa comunale a Capracotta, piccola come è piccolo quasi tutto, ma il cielo no, quello è davvero immenso. Mi stendevo sull'erba, nessun palazzone all'orizzonte - non ne esistono - attenta che l'occhio non incontrasse altro che l'azzurro, davanti, dietro e intorno a me. In quei momenti ero niente e tutto, cielo infinito e nuvole, mi annullavo nell'impressione che tutto mi appartenesse e che io stessa non appartenessi a niente. Potevo avvertire una sola emozione: la malinconia.
Credo non esista uno stato d'animo più appropriato all'adolescenza della malinconia, quel magone di cui è difficile spiegare l'origine, ma che afferra la bocca dello stomaco: nessuno è più tormentato e provato come chi alla vita si è da poco affacciato.
In questo suo esordio letterario, Giuliana Altamura dipinge con tratti sicuri emozioni impalpabili, stati d’animo evanescenti eppure scuri e forti, perché a vent'anni ogni cosa è enorme, tranne forse la morte. "Corpi di Gloria" è un lungo racconto: Gloria e Andrea sono due fratelli riunitisi in vacanza dopo un periodo di separazione, attorno a loro amici, amanti, genitori, ognuno con la propria vertigine, il proprio senso d'impotenza, le potenzialità che non riescono ad esprimersi. Non solo le persone fanno da cornice, ma anche una Puglia amica e nemica, e Riva Marina, luogo della villeggiatura di Gloria e della sua famiglia, pare usuale e ignota nello stesso identico momento. L'indolenza d'agosto lascia spazio solo ai tormenti interiori fino a che la vita non decide di squarciare il caldo con la sua manifestazione più violenta e naturale: la morte.
Eppure "il cielo sulle spalle di Gloria è immenso", così come il suo amore per il fratello e il vuoto dentro di lei: un buco nero che la fagocita. E Gloria ama, e lotta con il cibo e con se stessa. E in fin dei conti in una storia che parla di ventenni come poteva non rivelarsi forte, distruttivo, tracimante, enorme e fugace l'amore? Morboso, torbido, gentile, ingenuo, l'amore fraterno, quello carnale, quello materno. Tutto è amore, proprio perché ognuno dei protagonisti di questa storia crede di non meritarlo, lo insegue e non lo avverte, lo cerca nelle ferite e nelle pieghe nel grembo materno, nel frigorifero, in un corpo morto che galleggia sull'acqua.
È una lettura incalzante e scorrevole insieme quella di questo breve testo, che mercoledì arriverà in libreria, in cui per forza di cose si finisce per riconoscersi, ricordare la propria giovinezza nel senso più vero del termine, un'immedesimazione che toglie il velo della nostalgia per restituire quello crudo della realtà all'età più feroce dell'esistenza. Non si è mai così grandi, e soli, e disperati, e capaci di tutto come quando si è inesperti e nuovi al mondo. Dialoghi riuscitissimi, un ritmo sostenuto che non permette distrazioni ed esige un finale; uno spaccato tanto breve eppure capace di donare identità completa ad ogni personaggio e a lasciarci intravedere il futuro possibile di ognuno, quasi si trattasse di conoscenti o amici del passato: noi stessi e quelli che erano con noi, nella nostra villeggiatura.
Quante volte vi siete chiesti come sarebbe tornare indietro? Io molte, e molte volte avrei voluto la possibilità di ripetere daccapo tutto, per cambiare e trovarmi oggi diversa. Ma dopotutto, non vi pare già un miracolo essere sopravvissuti all'adolescenza?
Marina Vitale
Fonte: https://www.letteratu.it/, 27 gennaio 2014.
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