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Storia di un corpo



Vorrei fare un esperimento, potreste provarci anche voi: raccontare tre cose di me, dal punto di vista "del corpo". La prima che mi viene in mente è che ho una cicatrice sul sopracciglio destro, proprio parallela all'arcata, rosea come una smagliatura; ci sarebbero voluti dei punti ma la guardia medica di Capracotta, piccolo paese di montagna di cui è originaria mia madre, non aveva filo di sutura, e il solerte medico optò per una farfalla, con mio grandissimo sollievo. Me la sono fatta nel tentativo di impilare delle sedie nel magazzino del bar in cui lavoravo, senza curarmi del fatto che su di esse era posizionata una gigantesca cassa audio che, ovviamente, mi è precipitata dritta in faccia. Voi avete idea di quanto sangue fuoriesca da una ferita di questo genere? La risposta è "troppo". Da qui la seconda cosa, non si sviene perché ti esce molto sangue, certo a meno che non si tratti di una grossa perdita, si sviene perché persone attorno a te decidono sia il caso di farti notare "quanto sangue stai perdendo". Ecco, lì arriva lo svenimento da panico.

Come in occasione di un'altra cicatrice, dito medio mano destra, che mi sono procurata cadendo con una bottiglia vuota in mano nel ristorante in cui facevo la cameriera, stessa scena: sangue, niente punti, coraggio non è nulla, svenimento per via delle considerazioni dell'idiota di turno. Risultato: il medio non si piega più. L'ultima cosa che vi racconterò è che non sopporto il dolore, abuso spesso di antidolorifici, la mia soglia di sopportazione è inesistente. Sono goffa, non mi spaventa il sangue ma l'idea di perderne molto, non ci penso da sola ma solo se me lo fanno notare, mia madre è di un paesino di mille anime, mi ferisco sempre a destra etc, etc.

Tutte queste cose le racconta il mio corpo, come se interrogandolo, esaminandolo, studiandolo con attenzione potesse rivelare tutto ciò che è stato nella mia vita, chi sono e come sono, perché lui cambia e io con lui, anche se, a furia di non prestargli attenzione, spesse volte riconoscersi diventa difficile. L'odierna società, lungi dal fare del corpo un tempio, ne impone l'esposizione senza conoscenza, come se convenisse mostrare le natiche ma non interrogarsi sui propri odori e sapori. Viviamo in perenne contraddizione, tra l'idea che riflettere sulla carne sia immorale e superficiale, ma non tralasciando poi mai però di fare del nostro corpo una macelleria, ricordandoci di lui solo per offrirlo ad altri o quando è malato, nel mentre il nulla.

E se la sede dell'anima negli uomini fosse nei "testicoli"? si chiede il protagonista di "Storia di un corpo" di Pennac. Dopotutto gli avvizziscono quando un ciclista fa un volo pauroso davanti a lui, o quando sua moglie Mona si avvicina troppo ad un parapetto. La trama è una vita, tutto qui. Quella vita è raccontata in un diario che non è intimo ma nemmeno scientifico, è il racconto delle scoperte, degli interrogativi, della storia di un corpo e dei corpi che gli stanno intorno. Diario che è un lascito strano alla figlia Lison. Eppure le mestruazioni raccontano l'universo femminile e quello maschile affascinato e impaurito dall'oscuro sortilegio che vede le donne rigenerarsi in una perdita; l'ansia che è una stretta, un cattivo sapore, una mancanza d'energia, condiziona giorni e incontri; l'esile corpo del bambino che il protagonista fu è il suo tentativo di essere un fantasma per essere più vicino al padre morente e più lontano dalla madre imperiosa e anaffettiva. Il diario del corpo racconta più di quel che farebbe un diario di segreti, racconta la verità perché una ruga, un callo, un setto nasale tormentato dai polipi sono reali e tangibili e non in contraddizione con le emozioni.

In questa prova letteraria, di nuovo in forma diaristica, Pennac si cimenta in un tentativo di ridare sostanza vitale, soffio di vita, alla carne, alle ossa al sangue, gli dà voce e loro parlano attraverso il protagonista, più che lui attraverso loro. Il linguaggio ironico e realistico consente una immedesimazione totale, ancor più di quel che potrebbe una storia d'amore. Chi non ha mai amato? Tutti, certo, ognuno a modo suo. Ma cosa c'è di più universale d'uno starnuto o d'uno sbadiglio.

Ho avuto la fortuna di assistere a teatro ad una lettura del signor Pennac di alcuni brani tratti da questo romanzo e, sebbene nulla a parte le sue labbra si muovesse, l'ho visto vivere, essere, esistere. Ho riso e mi sono commossa, al punto che la gola mi si è serrata e, visto che non ho i testicoli, forse è lì, sotto la trachea, che ho l'anima.


Marina Vitale

 

Fonte: https://www.letteratu.it/, 7 gennaio 2013.

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