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Diario di guerra (I)


Il Colle dopo la distruzione nazista.

6 novembre 1943.

È l'alba. È cominciato, ad opera delle SS, giunte sicuramente nella notte, il rastrellamento degli uomini validi. È fatto a tappeto casa per casa; la gente viene sorpresa ancora a letto. Grida strazianti di donne si odono da tutte le parti del paese. Le strade cominciano ad affollarsi di uomini rastrellati, condotti da soldati SS verso l'edificio scolastico nel quale vengono ammassati. Mio padre Ercole, già sceso in bottega con il camice bianco, riesce a fuggire attraverso l'uscita posteriore della casa e attraverso l'orto guadagna la campagna e si dilegua. Io, Fiore, zio Oreste e zio Amedeo, non avendo fatto in tempo a guadagnare la stessa uscita, ci nascondiamo dietro una catasta di legna nel locale della legnaia a piano terra della casa. Prevedendo che un giorno sarebbero arrivati al rastrellamento, sono stato proprio io a consigliare di spostare quella catasta di legna dal muro in modo da poter lasciare uno spazio che avesse potuto consentirci un nascondiglio. La previsione si è avverata e il nascondiglio ci ha salvati dal rastrellamento. Le SS sono venute a casa e hanno trovato solo le donne, le quali hanno detto che gli uomini erano già stati rastrellati da loro colleghi passati prima...

 

7 novembre.

All'alba ci riferiscono che sembra tutto calmo. I rastrellati hanno trascorso la notte nell'edificio scolastico. Decidiamo di uscire dal nostro scomodo nascondiglio e cercare di fuggire per conquistare la campagna. Infatti anche se le membra sono rattrappite per le lunghe ore trascorse dietro la catasta di legna, attraverso l'orto scappiamo giù per Coccia Muzzo e facciamo in tempo a guadagnare il fosso prima che una scarica di mitra ci raggiunga ma che nel fosso sentiamo passare sopra le nostre teste. Sappiamo dopo che era stata sparata da una sentinella tedesca appostata davanti a casa di Giovanni Mendozzi. Riusciamo a raggiungere la Fonte del Mulo e quindi, attraversando il torrente Molinaro, ci dirigiamo verso la masseria di Maone dove troviamo altra gente scappata da Capracotta. Una buona scorpacciata di patate cotte al cotturo e diamo inizio alla vita alla macchia.

Nel pomeriggio, dalle varie postazioni, con lo sguardo rivolto verso Capracotta, sentiamo urla strazianti di donne che provengono dal paese e poi vediamo una colonna di camion che lascia il paese dalla parte di S. Giovanni per la strada che porta a Castel del Giudice. Sono i rastrellati che vengono portati verso la deportazione. Durante la mattina, però, le donne, nell'edificio scolastico, durante gli incontri per i saluti, hanno creato tanta di quella confusione che alla fine molti di quei compaesani rastrellati sono riusciti a guadagnare le finestre e a darsi alla fuga attraverso le [...].

 

8 novembre.

Dopo una notte trascorsa nel fienile della masseria, il nuovo giorno si presenta con i primi fiocchi di neve. Fuori dalla masseria, gli sguardi verso Capracotta nella speranza di vedere qualche movimento o qualcuno che venisse a darci qualche notizia.

Prima di scappare abbiamo dato incarico a mia cugina Elvira di attaccare un panno rosso alla finestra dell'ultimo piano in caso di pericolo. Questo segnale ci farà desistere dal tentativo di rientrare, per cui decido di raggiungere un posto alla contrada Contra, non molto distante dalla masseria, da cui poter vedere se il segnale c'era o se la via era libera.

Il panno rosso è ancora attaccato alla finestra. Torno alla masseria e riferisco agli zii e agli altri. Non passa molto tempo che dalle strade mulattiere che da Capracotta scendono verso quella valle dove siamo noi, vediamo scendere colonne di persone che in un primo momento ci fanno pensare a truppe tedesche a piedi dirette ai rastrellamenti. Man mano che scendono e si avvicinano, ci accorgiamo che si tratta di civili. Un forte boato e una enorme nuvola di fumo alla prima casa dei Grilli, di proprietà di Giovannantonio Di Tanna, il guardaboschi, ci fa rimanere allibiti. Dopo quel primo boato si susseguono altri e alte lingue di fuoco e di fumo si vedono lungo la cresta dei Ritagli nella zona della Terra Vecchia.

È iniziata la distruzione del paese. Ce lo confermano al loro arrivo le donne che sono rimaste nel paese. Le uniche perché gli uomini sono stati o deportati o datisi alla macchia.

Sono state buttate fuori dalle case senza pietà e sotto la neve.

Vado alla ricerca di quelle di casa mia (la nonna di 76 anni, mia madre, una zia, una sorellina di 9 anni e un fratellino di 5).

Li trovo in una masseria vicino, addolorati e piangenti. Di mio padre non sanno niente. Sono, però, sicure di essere alla macchia ma non sanno dove. Un altro fratello, Filuccio, con mio cugino Vincenzo, entrambi di 14 anni, e uno zio, Serafino, di 60 anni, sono rimasti a Capracotta nella speranza di portare in salvo qualche cosa dalla casa in fiamme.

La notte la trascorriamo nella masseria di Antonio Masciotra su giacigli di fortuna e il camino acceso. In alto, proprio di fronte alla masseria, vediamo le prime case del guado del Cutturiello e fino a quelle della costa dei Grilli è una immensa [...] di fiamme e fumo.

 

9 novembre.

Decidiamo di tornare al paese. Lasciamo alla masseria le donne e i bambini. Scoppi di mine continuano ancora: continua quindi la sistematica distruzione.

Alla finestra della nostra casa campeggia sempre il panno rosso. È segno che non è crollata.

Raggiungiamo il paese dalla parte degli orti da dove eravamo scappati e ci si presenta uno spettacolo terrificante. La casa di mamma, nella quale praticamente vivevamo, è stata distrutta dal fuoco e tutta crollata. Insieme ad essa bruciata tutta la biancheria e gli indumenti di tutti noi che, per essere salvati dalle razzie dei tedeschi, erano stati nascosti nella soffitta di casa. In pratica, siamo rimasti con le sole cose che abbiamo addosso.

Casa Trotta si salva dal fuoco anche se le fiamme si erano propagate attraverso la porta di comunicazione con la casa di mamma. Filuccio e Vittorio sono riuscite a spegnerle. Per altri due giorni continua la distruzione, alla quale i pochi decisi a tornare in paese per recuperare qualcosa dalle macerie o dalle fiamme delle loro case, assistono impotenti.

Le chiese e il cimitero, risparmiati dalla distruzione, diventano rifugio di persone anziane, di bambini e di invalidi impossibilitati ad allontanarsi. Altari e loculi vuoti diventano così giacigli di emergenza.

Finalmente i tedeschi decidono di abbandonare Capracotta, lasciandosi dietro un paese distrutto per oltre i tre quarti e la sua popolazione atterrita e disperata di circa 5.000 anime sperduta nelle campagne adiacenti e in completo abbandono.

Ponte di Ferro viene fatto saltare dalla soldataglia in ritirata: era rimasto l'unico punto di comunicazione con il paese e la sua distruzione ci dà la certezza della completa ritirata delle truppe tedesche. Cessa così un incubo ma inizia il calvario della sopravvivenza della povera gente.

Comincia l'esodo di buona parte di essa verso paesi limitrofi non coinvolti nel piano di distruzione: Agnone, Castiglione Messer Marino, Belmonte e, da qui, verso i paesi del chietino e verso paesi del basso Molise per raggiungere poi le Puglie.

In paese restano coloro che, in qualche modo, hanno possibilità di ricovero nelle poche case rimaste in piedi. La mia famiglia rientra a Capracotta dalla masseria di Sotto la Terra. Ci sistemiamo tutti nella casa Trotta, rimasta in piedi essendo stato estinto il fuoco che aveva iniziato ad incendiarla. Siamo in totale 19 tra adulti e bambini (famiglia mia: la nonna, zia Rosa, zio Serafino, mamma, papà e cinque figli, io, Fiore, Filuccio, Carmela e Sebastiano; famiglia di zio Amedeo cinque persone; famiglia di zio Oreste quattro persone).

Siamo in attesa delle truppe alleate e dopo qualche giorno assistiamo all'arrivo della prima pattuglia canadese comandata da un tenente. Una trentina di soldati in tutto. Sono accolti con molto entusiasmo e restano allibiti dinanzi a uno spettacolo tanto triste. Sul loro cammino avevano sì trovato distruzioni dovute a bombardamenti aerei o cannoneggiamenti ma non avevano trovato un paese così sistematicamente distrutto. Infatti, Capracotta è stato il primo a subire la ferocia delle truppe tedesche.

Era nel loro piano diabolico far trovare terra bruciata alle truppe alleate per ritardare l'avanzata con l'arrivo dell'inverno. La pattuglia si sistema nelle scuole che non sono state distrutte, avendo i tedeschi in esse allestito un ospedale da guerra. Il giorno dopo l'arrivo, il comandante della pattuglia, venuto a conoscenza dei due fratelli Fiadino, vuole dare loro degna sepoltura al cimitero. Con alcuni suoi uomini e con l'aiuto di alcuni ci si reca sul posto della fucilazione dove i due corpi erano stati sepolti. Si procede alla loro esumazione e, deposti in due bare approntate alla meglio dai falegnami del paese, un mesto corteo li accompagna al cimitero, e tumulati in due loculi messi a disposizione dal Comune. Giornalmente giungono interi reparti facenti parte della 8ª Armata inglese. Saranno quelli destinati a mantenere il fronte. Ci sono, tra di essi, anche reparti di spedizione polacca e reparti di salumerie con muli per i rifornimenti formati da tunisini, algerini e marocchini dei reparti di spedizione francese.

Una batteria inglese, con parecchi cannoni, si sistema lungo il costone del prato di Conti e inizia i cannoneggiamenti contro le postazioni tedesche appostate sull'altro versante del Sangro.

Il continuo afflusso di truppe, automezzi e materiali mette in condizione il Comando alleato di avere a disposizione le poche abitazioni rimaste in piedi, per cui viene ordinato lo sfollamento dei civili.

Data stabilita: 8 dicembre. Partenza dalla chiesetta della Madonna, a mezzo autocarri messi a disposizione dal comando militare. Destinazione ignota.


Giuseppe Trotta

(a cura di Enza Trotta)



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