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Don Lorenzo Milani a cento anni dalla nascita


Don Lorenzo Milani (1923-1967) tra i suoi allievi.

A cento anni dalla nascita e cinquantasei dalla morte, l'originalità del messaggio di don Lorenzo Milani e il fascino della sua persona, restano ancora vivi, scuotono le coscienze, rivelano l'ansia profonda della sua ricerca umana, religiosa, educativa e pastorale. Il suo insegnamento, le sue intuizioni, la viva eredità contenuta nelle sue opere ancora contagiano. Percorrendo i luoghi della sua esperienza pastorale ed educativa si avverte l'atmosfera di austerità ed essenzialità che avvolge quel luogo sperduto nell'Appennino. Dio aveva scovato e trovato in Barbiana (piccola frazione di Vicchio in provincia di Firenze) un testimone straordinario, capace di saldare cielo e terra, Vangelo e giustizia sociale, l'essere cristiani e cittadini del mondo.

Don Lorenzo Milani ancora insegna. Le sue lezioni di vita hanno lasciato segni di vivo interesse, di profonda riflessione e di stima.

La grandezza di una vita non si misura dalla grandezza del luogo in cui si è svolta, ma da tutt'altre cose. Anche le possibilità di fare del bene non si misurano dal numero dei parrocchiani. Sai bene che non ho bisogno di andare a cercare nessuno, sono loro che mi cercano.

Sono le parole profetiche scritte alla mamma, Alice Weiss. «Ho la superba convinzione che le cariche di esplosivo che ho ammonticchiato negli anni di San Donato, non smetteranno di scoppiettare per almeno cinquanta anni sotto il sedere dei miei vincitori», continua con perfetta e cosciente sicumera.

Quell'esplosivo continua a scoppiettare, quei rumori richiamano a Barbiana tutti coloro che hanno condiviso e condividono ciò che ha detto e fatto negli anni del suo servizio di parroco e di maestro.

A Barbiana ha praticato una scuola di vita, di condivisione, di educazione: educazione alla pari, educando educatore, circolarità di pensiero. Alla sua scuola prima di acculturare si cercava di umanizzare, di cooperare, di dialogare per formarsi una coscienza critica e liberatrice, che prepara alla vita. Vero maestro, per far crescere i suoi ragazzi, partiva dalla realtà, dalla verità con lezioni vere e interessanti, tanto da far vivere la scuola con gioia, nonostante le lezioni andassero dall'alba al tramonto e senza vacanze estive. La sua singolarità stava nell'impegno al risveglio delle coscienze, per rendere liberi, cittadini sovrani, rispettosi delle leggi, quando sono giuste e pronti a lottare per cambiarle, quando danneggiano il povero.

La sua grandezza sta nell'essere diventato prete senza cessare di essere uomo. «Mi onoro di essere prete, munito di regolare cuore umano, con regolari affetti». Un uomo affidabile, umanamente maturo, adulto e responsabile, con un cuore aperto alla fede, speranza, amore e alla ineffabile partecipazione alla intimità trinitaria. Ha avuto il dono dell'intelligenza, che nasce dalla sapienza del cuore.

«Uomo tanto tenero quanto feroce, tanto obbediente quanto libero, tanto assetato di grazia, quanto divorato dal peccato del mondo» (D. M. Turoldo). In lotta per il povero perché diventi un uomo libero. Come Cristo fu tanto umano da rivelarsi Dio, così don Milani raggiunse una tale pienezza di umanità da rendere trasparente il volto di Dio e rendere visibile lo spirito di Cristo. Ha integrato i valori umani e cristiani, convinto che solo la realtà e la verità possono educare e fare crescere la persona su solide basi di giustizia.

Vi dirò sempre la verità di ogni cosa, sia che faccia comodo alla mia ditta sia che le faccia disonore... Questa scuola la faccio soltanto per darvi l'istruzione... La scuola mi è cara come l'ottavo sacramento. Da lei mi attendo non la chiave della conversione, perché quella è opera di Dio, ma certo dell'evangelizzazione di questo popolo.

Per don Milani la fede non doveva essere un punto di partenza, ma di arrivo. Non voleva credenti per imposizione, per appartenenza o per acquisita abitudine, ma fedeli impegnati per scelta e volontà propria. «Siate buoni cittadini e sarete buoni cristiani», soleva ripetere con insistenza. Sotto la guida del Vangelo e della carta costituzionale, senza devianze, ha saputo trasmettere l'impegno del vivere e togliere la timidezza e la ritrosia ai montanari. L'attenzione al suo vissuto umano, religioso, politico-sociale lo portò subito a condividere le problematiche della Chiesa, della scuola e del paese.

Prete fuori dal coro, non è di nessuno, entra in tutti i contesti, ma esce da tutti, appartiene solo a se stesso, vola più in alto. Non ha speso le sue energie per buonismo o per ideologie, ma solo in nome della sua missione pastorale e del suo compito di educatore. È una persona poliedrica, pur misurabile in più parti, che mantiene la sua totalità indivisibile. Bibbia, teologia, filosofia, sociologia, storia, pedagogia si intrecciano nel suo insegnamento per scuotere le coscienze, richiamare alla coerenza, trasmettere fede. Pur nella sua intransigente sete di giustizia ha svolto la sua opera missionaria tra credenti e atei con ampiezza e ricchezza di orizzanti e senza risparmi. La sua integrità umana e sacerdotale è rimasta saldamente intatta.

Prete scomodo che ha vissuto per il Vangelo, per la verità, per la parola che si fa carne, prete uomo-maestro con le idee chiare per trametterle con tutta l'anima. Barbiana è «il terzo mondo a mezz'ora di macchina dalla civilissima Firenze» (E. Balducci), eppure vanno a Barbiana vari visitatori, attratti dalla sua opera umana e cristiana e dalle sue lezioni di vita. Don Milani ancora educa e fa scuola, ancora parla, neppure l'isolamento e la morte sono riusciti a far cadere il silenzio sulla sua persona. La concretezza del suo magistero ha suscitato speranza e dato valore alla vita di tante persone. Ad attrarre i visitatori è l’esempio, la fede, la forza d'animo di don Milani e... «quell'immacolato silenzio che parla più del tumulto della città».

Il maggior numero delle presenze viene dal mondo della scuola. Molti educatori hanno capito che dalla "Lettera a una professoressa" viene un pungolo, un invito, una carica, a portar avanti il non facile impegno dell’educatore con professionalità e coscienza. È un testamento per insegnanti e genitori e per tutti coloro che in nome della verità vogliono trasformare, rivoluzionare e migliorare la scuola. Il concetto di verità per don Milani ha valore assoluto. «Il dovere di dire la verità dovrebbe diventare compito di ogni educatore, a costo di scandalizzare tutti». Convinto che per avere sintonia tra fede, verità e azione il compito di ogni educatore fosse di informare, criticare, lottare contro l'ingiustizia e la menzogna. «L'arma del prete per evangelizzare non è solo la parola, ma l'esempio, la coerenza, la povertà, la testimonianza».

Le leggi di Dio e il primato della coscienza hanno la preminenza sulle leggi degli uomini. Don Milani è il Maritain italiano: cercare l'equilibrio tra le dimensioni dell'uomo, intelligenza/fede/storia fuori dalle ideologie e dai miti del potere. La colpa di dire la verità, la fede nell'uomo e nella giustizia, furono le ragioni che lo portarono all'esilio di Barbiana in quel particolare momento storico.

Se io prete mi interesso della tua istruzione, è perché ho la certezza che allargando la tua mente a qualsiasi cosa bella, vera e buona, farò cosa grata a te ed anche a Dio che te l'ha data per questo.

Da questa scuola e da quel maestro gli allievi hanno ricevuto un'educazione austera, votata all'altruismo e al sacrificio. Don Milani ha interpretato il cristianesimo non in maniera facile e superficiale, ma nella maniera più difficile: sentiva l'obbligo della verità ad ogni costo. Ardente testimone, il suo impegno si fa denunzia e protesta. Era e resta scomodo: nel servire l'uomo compiva un dovere verso Dio. La gente non smetterà di andare a Barbiana a rinnovare lo spirito e il senso della vita. Quella scuola è sempre aperta. Quel maestro ancora vive e ancora insegna.

Barbiana non è la meta di un pellegrinaggio, ma il punto di partenza, il luogo da cui attingere il coraggio e la forza per tradurre i libri e la conoscenza in esperienza, partecipazione, vita. I care (mi sta a cuore) diventa la ragione e lo scopo delle proprie scelte, piccole e grandi, spendendo la propria vita al servizio degli altri. I care diviene quasi una parola d'ordine. Don Milani compare come esempio, testimone, maestro, al limite profeta, raramente come un santino, come idolo, come mito. Il ricordo sempre fresco, l'atmosfera austera, l'essenzialità della canonica e della tomba sono un chiaro ammonimento che dissuade dall'abbandonarsi a lacrimevoli rimpianti. Personalmente ho pregato e pianto tanto nella mia ultima visita nel 2015, in una pausa del convegno ecclesiale di Firenze.

Anche papa Francesco, il 24 aprile 2017, si è recato in visita privata alla tomba di don Milani per rendergli omaggio e riconoscere il suo servizio di prete e maestro prestato con la coscienza limpida di chi ha radicato le proprie scelte nel messaggio evangelico. Ha riconosciuto l'eredità della sua parola e del suo esempio e la testimonianza della sua vita spirituale. Vita singolare e ardua, che rimane intatta, pur nella complessa, luminosa e profetica drammaticità di chi ha saputo scrutare i "segni dei tempi". Nella sua opera educativa ha scoperto la tensione a condividere con i suoi ragazzi quanto aveva ricevuto dalla famiglia e dagli ambienti culturali di riferimento. Il suo insegnamento era basato sulla parola, come mezzo per esprimersi con correttezza ed efficacia nel difendere i propri diritti, ma anche per incontrare gli altri e comunicare con loro una dimensione di solidarietà.

La visita di papa Francesco ha inteso riabilitare don Milani e dare il giusto riconoscimento di un profeta che la Chiesa locale a sua tempo non ha saputo apprezzare.

Sono venuto a Barbiana per rendere omaggio alla memoria di un sacerdote che ha testimoniato come nel dono di sé a Cristo, si incontrano i fratelli nelle loro necessità e li si serve, perché sia difesa e promossa la loro dignità di persone, con la stessa donazione di sé che Gesù ci ha mostrato fino alla croce.

Voglio ricordare a tutti che la dimensione sacerdotale di don Lorenzo è alla radice di tutto quello che ha fatto. Tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito. Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità, fra fermezza e comprensione. Il prete Lorenzo è «trasparente e duro come un diamante», ha scritto don Bensi, suo direttore di spirito.

Una eloquente pagina con due fotografie, presente in "Esperienze Pastorali", riporta una processione con una lunga didascalia: «"Passa il Signore. Serenata di fiori, veli bianchi, festa di paese. Trionfo della fede". I parrocchiani guardano il corteo senza parteciparvi. Il parroco dice: "Perdonali Signore, perché non sono qui con noi". Il cappellano [cioè don Milani, n.d.A.] afferma: "Perdonaci, Signore, perché non siamo là con loro"». La preghiera illumina il suo animo. Egli non mirava al proselitismo, ma al primato di Dio, che si traduce nel servizio ai fratelli. E il servizio ai fratelli è sempre attrattivo, irradiante, contagioso: si trasmette nel contatto sereno e nella relazione sincera, con tutti, dovunque, sempre, animato da un grande amore.

Aveva afferrato in maniera vivissima il primato del gesto e della parola nel suo significato umano, biblico e teologico. C'è tutta la dottrina biblica sulla forza creativa, formativa, forgiativa della parola. L'uomo è ciò che è per la sua parola. Don Milani scrive Parola con la "p" maiuscola, per porre l'accento sulla necessità della forza evocativa della parola che comunica e arricchisce chi la pronuncia e chi l'ascolta. Non una parola riempitiva del tempo. Ha colto fortemente la potenza della parola, la sua universalità, il suo valore pedagogico. Chi insegna a parlare, insegna ad essere sovrano, insegna a vivere, insegna tutto.

A chi si meravigliava che uno come lui potesse rimanere nella Chiesa, rispondeva che lui, nella Chiesa, non c'era nato, ma «c'era arrivato con la forza del suo credo e la sicurezza di chi ha scoperto qualcosa», non di difendere, agli occhi degli altri e di se stesso quello che ha ricevuto in eredità. Questo legame con la Chiesa attraversa tutta la sua vicenda sacerdotale, diventando realmente la croce della sua vita.

«Ho passato i miei 17 anni di sacerdozio tutto teso verso le anime che il Vescovo mi aveva affidato». Il servizio reso non è un fatto privato, senza consistenza, ma ha bisogno di essere sostenuto e riconosciuto visibilmente dalla Chiesa. Chiede al vescovo di assumere l'eredità del suo servizio, di accogliere l'amore dei poveri. Chiede con insistenza un segno pubblico, perché il suo sacerdozio richiede che il vescovo pubblicamente lo avalli, riallacciando il filo che lega la Chiesa fiorentina ai poveri attraverso il suo prete. Solo così il Vangelo può arrivare senza inciampi. Questo sta ad indicare il legame inscindibile con i suoi parrocchiani e il primato che rivestono nella sua vita, ma anche un'attenzione alla storia, agli eventi che in essa toccano la condizione degli ultimi della terra.

«Datore dei sacramenti e di Dottrina»: questa è l'immagine che aveva del prete. Poi scuola per tutta la vita, esercitando il ministero sacerdotale con la dignità di "sacerdote del Dio Altissimo", insegnando la lingua ai giovani operai di Calenzano e ai montanari di Barbiana. «Quando saranno miei fratelli non per retorico senso di solidarietà umana, ma per una reale comunanza di interessi e di linguaggio, allora smetterò di fare scuola e darò loro solo Dottrina e Sacramenti», così spiegava le ragioni di questa scelta, con lucida chiarezza, in "Esperienze Pastorali".

L'appassionato investimento educativo è il grande contributo per la crescita, la rinascita e il futuro di tutti e di ciascuno. Dalla scuola si attendeva la chiave, non della conversione, perché questa è segreto di Dio, ma certo dell'evangelizzazione, senza ipocrisie e strumentalizzazioni di sorta. «La verità si fa strada con la forza stessa del suo essere, con la forza dell'autenticità di chi la testimonia». L'educazione è in se stessa umanizzante, è essa stessa eminente forma di evangelizzazione, perché spinge sempre ad appropriarsi responsabilmente della propria vita, della propria dignità e della propria libertà.

La memoria di don Milani e la storia che ha continuato con lui è sempre viva e sorprendente. Una raccolta di testimonianze, di nomi e di frasi di tanti visitatori, che hanno lasciato liberamente sul quaderno del cimitero di Barbiana, è stata curata da Liana Fiorani nel libro "Dediche a Don Milani", un lavoro accurato, amoroso, competente, che conferma la testimonianza della sua vita, più dei suoi scritti. «È una corda viva del cuore che vibra altissimo. Nessuno dorme, nessuno resta indietro, ognuno ha la sua opinione personale», scrive il card. Silvano Piovanelli nella presentazione del libro. Risuonano profetiche le parole scritte alla mamma: «Non c'è motivo di considerarmi tarpato se sono quassù... non ho bisogno di andare a cercare nessuno, sono loro che mi cercano». In modo eloquente lo dimostra questo appassionato e rigoroso lavoro di Liana Fiorani. Far conoscere don Milani ed invitare tutti ad interrogarsi sul fenomeno che il mondo di dediche rappresenta. Le dediche sono l'infinitesima parte dell'immenso fiume di firme che ogni anno viene depositato, in segno di profonda gratitudine e di intensa luminosità. La provenienza geografica dei visitatori disegna un paesaggio senza confini. Le incancellabili parole di don Milani, «Io non ho confini», trovano conferma storica.

Prete scomodo, testimone che non passa. Scomodo per gli altri e per se stesso, teso da grandi ideali da vivere in uno sperduto angolo del Mugello con la serenità e la coerenza di un bambino. La sua testimonianza non passa; ha messo radici e sta macerandosi nella terra buona per consentire agli altri di coglierne i frutti.


Osman Antonio Di Lorenzo

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