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Le fontane Di Nucci tra miele, ghiande e tartufi


Domenico Di Nucci presso una delle sue fontane nel 1948-49.

Le ultime quattro fontane che si incontrano percorrendo la mulattiera che collega Capracotta ad Agnone passando per Guastra sono quelle che mio nonno Domenico Di Nucci (Pascalìtte o Jennarùcce) mise in opera, ognuna col suo compito specifico.

Salvo una parentesi quinquennale in America e qualche sporadica uscita di lavoro invernale nella vicina Puglia, egli visse sempre nella sua proprietà di campagna, consistente in un casolare che fino agli anni '70 non aveva energia elettrica ma che era sorvegliato da una schiera di arnie ubicate all'interno di un vasto terreno recintato e protetto da un bosco di pioppi, cerri e querce di una certa consistenza.

La prima fontana, attiva sia d'estate che d'inverno, era situata all'interno del fabbricato e alimentava esternamente un bagno coperto, sottostante il fabbricato stesso, dotato di water e lavandino.

La seconda fontana, adiacente al fabbricato, veniva usata per innaffiare l'orto, per l'igiene personale, per lavare i panni (infatti aveva incorporata una valchèra in pietra) e per dissetare le api con le quali, senza protezione alcuna, mio nonno intratteneva lunghi colloqui.

La terza fontana serviva per dissetare i suoi animali: sei mucche, due asini e alcuni maiali da ingrasso dentro l'area recintata, abbellita con fiori multicolori e roseti sperimentali, e circondata da alberi da frutto.

La quarta e ultima fontana era situata sulla mulattiera, al di là della recinzione, e veniva utilizzata dai viandanti. Con questi spesso ci si intratteneva e a volte si apparecchiava una tavolata volante di modo che chi transitava su quell'irto sentiero potesse usufruire d'un pranzo rinvigorente.

I primi anni del dopoguerra furono duri e magri per tutti i capracottesi che, a costo di grandissimi sacrifici, stavano venendo fuori dalla distruzione del paese: tuttavia mio nonno curava e ingrassava tre-quattro maiali per la macellazione.

Le migliori carni di agnello, capretto, vitello e maiale venivano vendute ai cosiddetti "signori", personaggi che a volte disprezzavano il prodotto offerto con pretestuosi rilievi pur di diminuirne il prezzo richiesto dall'allevatore, il quale col ricavato doveva sostenere le varie spese sopportate durante l'anno.


Una delle fontane costruite da Domenico Di Nucci (foto: F. Di Tella).

Mio nonno, quando lasciava i maiali allo stato brado sotto querce, cerri e pioppi, ci obbligava a fare attenzione affinché questi mangiassero soltanto le ghiande, non quelle «puzzolenti patate di colore nero», questo per evitare che la carne del porco assumesse un caratteristico odore poco apprezzato dai futuri acquirenti. A tal riguardo nonno Domenico ribadiva che ciò che mangiano i maiali non è adatto alla dieta dei cristiani. Tuttavia ignorava due cose.

La prima è che avrebbe potuto evitare di arare qualsiasi terreno perché dalle ghiande, una volta trattate e macinate al mulino del Verrino, si sarebbe potuta ottenere una farina per la preparazione di pane e dolci. Le ghiande sono frutti ricchi di fibre e proteine ma anche di carboidrati, sali minerali e vitamine del gruppo B, possiedono un potere antiossidante, sono prive di glutine, diventano alleate preziose di chi soffre di celiachia, favoriscono la digestione e infine proteggono il cuore.

La seconda cosa che mio nonno non poteva sapere è che quelle «puzzolenti patate di colore nero» altro non erano che tartufi, quei funghi ipogei a forma di tubero che sono stati così rivalutati che oggi hanno dei prezzi di acquisto proibitivi, per non dire folli. A quanto pare, in quella circostanza non gli tornò utile il motto che ripeteva spesso:

– Fino alla bara tutto s'impara!


Filippo Di Tella

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