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Una gara tanto desiderata


La celebre scritta sulla nevicata del '81 (foto: P. Dell'Armi).

Sentivo in lontananza le grida dei miei amici, eravamo d'accordo che mi avrebbero chiamato e con la scusa programmata di andare da zi' Antonio per sistemare la carrozza con cui passavamo i pomeriggi a correre sotto e sopra per la salita di Prato Gentile, mamma sicuramente non avrebbe potuto dire di no!

La porta si aprì e mia madre apparve all'uscio con in mano la mappìna con cui stava asciugando i piatti e mi disse:

– Pietro, ti sono venuti a chiamare i compagni, sbrigati, dicono che avete da sistemare certe cose alla potèca di compa' Antonio. Non mi stai mica per combinare qualcuna delle tue? Guarda che poi le cose le vengo a sapere e se ne combini qualcun'altra delle tue scordati di uscire, passerai tutti i tuoi giorni chiuso dentro, ti chiudo nella stalla con le bestie, almeno non stai da solo.

– Ma mamma che ti vai ad immaginare?

Ci misi un batter d'occhio per infilarmi i miei soliti calzoni, la maglia, il cappello e la mia giubba, gli scarponi erano davanti al camino sempre caldi per essere indossati, sul tavolo era già pronta e fumante la mia tazza di latte ed accanto la fetta di pane, quella mattina non mi andava proprio, avevo fretta, ma non potevo perdere tempo a fare storie, i miei amici se ne sarebbero andati ed io avrei dovuto lottare non poco con mamma per potermela svignare senza dover fare un minimo di servizi... ma era domenica... almeno un giorno a settimana volevo essere libero.

Le scarpe furono infilate velocemente mentre sentivo il latte caldo che mi scaldava tutta la vita, era quello che mi ci voleva per affrontare il freddo dell'inverno che c'era fuori. Corsi giù per le scale con mia madre che mi urlava dietro di lavarmi la faccia, ma ormai ero arrivato in fondo alla scala, spalancai la porta e solo allora mi resi conto della neve che era venuta giù nella notte: feci fatica ad uscire, infatti la neve aveva superato la metà della porta e dovetti usare la pala per farmi strada... loro erano lì, e mentre correvamo mi giunsero le urla di mia madre che mi ricordava di andare alla S. Messa e di tornare presto a casa.

Nella potèca di zi' Antonio c'erano tutte allineate le carrozze che in inverno fungevano da slittino, e d'estate con le rotelle erano il nostro passatempo preferito; dovevamo sbrigarci, io, Peppe, Antonio, Francesco e Loreto avevamo architettato bene una modifica per fare correre più velocemente la nostra carrozza giù per la discesa, e se avesse funzionato la nostra squadra di S. Giovanni sarebbe riuscita a battere quella di S. Antonio composta da ragazzi, ché un'idea come la nostra non gli era sicuramente venuta in mente... se avesse funzionato saremmo stati rispettati da tutti e mamma, sicuramente felice, mi avrebbe concesso più tempo libero.

Nella potèca gli attrezzi necessari erano a disposizione e le tavole che ci eravamo procurate in precedenza erano state levigate e formate a mestiere, ricontrollammo attentamente la particolarità delle tavole di ognuno dei carròzzi prima della loro collocazione alla base centrale che sorreggeva il tutto, certo sarebbe stato bello poterla verniciare di un bel rosso, ma la vernice? Chi te la dava?

Certo se ci fosse stato mio padre, lui sì che mi avrebbe capito e aiutato, sicuramente avrei avuto un alleato su cui contare per preparare la più bella carrozza della storia, e non avrei dovuto raccontare continuamente balle a mia madre che mi ripeteva fino allo sfinimento: «Stai attento che ti fai male».

– Non immischiarti con i compagni che combinano guai altrimenti anche tu verrai considerato tale – ma che ne poteva sapere lei che era una femmina, di quello che deve fare ogni ragazzo per divetare uomo; mio padre, se fosse stato qui, avrebbe sicuramente aiutato l'unico figlio maschio, ma era inutile che ci pensavo: papà era lontano, ormai erano tre anni che lavorava in Germania ed io lo rivedevo due volte l'anno, tornava per la vigilia del Natale e restava fino a febbraio, quando poi preparava la sua umile valigia e ripartiva per il lungo viaggio verso la terra straniera che lo stava ospitando e che ci permetteva di vivere discretamente... sì, sì, sì... ma lui non c'era! E a me serviva la sua grossa mano per stringere quei dannati bulloni; lui che una volta, quando lavorava i carboni al bosco, aveva incontrato il grande orso bruno, non si era di certo spaventato, perché era consapevole di possedere una forza incredibile e tutti lo rispettavano, nessuno si azzardava a litigarci perché poi lui aveva la meglio... il mio papà era il più forte, io gli volevo tanto bene, ma adesso non c'era ed io me la dovevo risolvere da solo.

Durante tutto l'anno l'unico mezzo che avevamo io, mia madre e mia sorella per scambiare notizie con lui, erano le lettere, certo mia sorella ne scriveva una a settimana e lui puntualmente gli rispondeva, io ascoltavo mia madre che mi leggeva i saluti che mi rivolgeva e quello mi bastava... ma erano parole, sì, solo parole ed io attualmente avevo bisogno dei fatti: lui non c'era.

Certo sarebbe stato diverso avere un papà a tempo pieno, mamma non mi avrebbe più scocciato nel mandarmi a prendere la legna ogni volta che stava per finire, non sarei dovuto andare insieme a lei e nonno a riprendere le mìccole e le patate in campagna, o a dar da mangiare alle bestie.

La vigilia del Natale l'attendevamo per molto e poi all'improvviso lo ritrovavamo lì che ci aspettava, e mentre gli correvo incontro e lo abbracciavo, sentivo il prurito della sua barba sulle mie guance, e la sua stretta mi lasciava senza respiro e pieno di gioia, lì sospeso a mezz'aria, ed in quei momenti la fatica, la rabbia, dimenticavo tutto, tutto... sentivo i suoi baci che mi schioccavano sulle guance e mi scaldavano il cuore. Nella mia cameretta sul letto c'erano i regali che mi aveva portato ed io non impiegavo più di qualche minuto a scartarli, tra gli urli di gioia nel vedere i bei giocattoli tedeschi che mi aveva portato, quello che preferivo era il trenino, ma anche i Lego facevano la loro bella figura, la cioccolata poi sarebbe servita tutte le volte che dovevo contrattare con qualche amico.

Nei giorni successivi in casa era festa, ma non soltanto perché nasceva Gesù, ma perché era l'unico periodo in cui sentivo il senso reale della parola "famiglia", allora ritrovata intorno al camino mentre il fuoco rischiarava le gelide serate. I suoi racconti mi illuminavano e mi davano modo per fantasticare su quante cose ci sono nel mondo, lui era il ponte tra il mio piccolo paese e tutto il mondo che c'era intorno, in quelle sere, mentre stavo appollaiato sulle sue gambe, ascoltavo di quella terra lontana dove la gente è fredda ma precisa, ordinata, dove ogni cosa funziona con precisione e metodicità.

Ci raccontava di come fosse difficile per lui tornare a casa e non riconoscerci, tanto eravamo cambiati in un anno, e di quanto fosse duro stare laggiù con il tempo che volava mentre lavorava e poi si bloccava durante i giorni di festa. Ci raccontava di quanto si sentiva triste quando la domenica vedeva le famiglie che andavano in Chiesa con i bei vestiti a festa, e poi nei pomeriggi passeggiavano nei bei parchi colmi di gente allegra e spensierata.

Ci raccontava di quanto dolore provava ogni volta che sapeva di non poter essere presente ad un cerimonia importante della famiglia. Ci raccontava di quanto fossero preziose per lui le provviste che portava da casa, unico gancio tangibile con la sua cucina famigliare, con i sapori che da sempre avevano scaldato il suo palato. Ci raccontava delle varie vicissitudini in cui si era imbattuto e quante volte aveva fatto a meno del suo pezzo di pane e soppressata per poterlo donare al compagno che vicino a lui aveva poco o niente nel suo piatto dopo una lunga giornata di lavoro. Ci raccontava della stanza umile e spartana che lo ospitava e che divideva con altri compagni, ci raccontava di come gli fossero tornati utili i consigli casalinghi che mamma gli aveva dato, di come fosse prezioso saper cuocere e preparare un buon pasto dopo una giornata di duro lavoro, lavori umili e faticosi che nessuno voleva fare. Quel pasto segnava la differenza sostanziale per una lunga e serena convivenza.

Nelle lunghe serate invernali, mentre mamma metteva i "punti" al corredo di mia sorella, lui ci aiutava a fare i compiti, e mentre fuori infuriava la bufera, noi, rischiarati dal calore del camino, sentivamo dopo tanto tempo il calore nel cuore che lui, con la sua presenza, poteva darci. Era allora che i miei sogni diventavano sereni e felici con la certezza che l'indomani lui era lì presente: il mio papà.

L'arrivo di papà coincideva con quando in casa si ammazzava il maiale e solo chi lo ha vissuto può ricordare che grande festa fosse. L'uccisione della povera bestia era dolorosa, nel non vedere più colui a cui tutti i giorni portavo gli avanzi del cibo, ma rappresentava un momento di gioia per le provviste che la dispensa riceveva utili per tutto l'anno. La parte migliore era il sanguinaccio con cui ogni famiglia faceva a gara nel rendere più gustoso possibile, aggiungendo ingredienti a volte segreti ma sicuramente deliziosi. La preparazione dei prosciutti, delle salsicce, dei supresciàti, del guanciale, era riservato agli adulti ed ogni più piccola parte della bestia veniva minuziosamente preparata per l'uso che gli era stato imposto.

Sfido chiunque ad ammettere che almeno una volta nella vita non abbia rubato innocentemente qualche salsiccia; nel gelido inverno capracottese, confortante merenda era il pane con sopra il lardo, che riusciva a scaldare immediatamente ogni parte del mio corpo intirizzito. Dopo il lungo ed estenuante lavoro tutta l'attrezzatura veniva riposta con cura in attesa del successivo utilizzo. La casa in cui erano tali provviste non aveva di certo timore d'affrontare il lungo periodo di freddo del mio paese.

Come volavo facilmente nel mio immaginario e mi dissociavo da quella che era la realtà... ma ci pensavano i miei compagni a riportarmi con i piedi per terra. Lì dentro la potèca faceva veramente freddo e con le mani intirizzite di certo non riuscivamo a portare a termine un lavoro così delicato e di precisione, dovevo trovare un rimedio per scaldarci velocemente... ma cosa potevo fare senza tornare a casa dove c'era quello che mi occorreva?

Ci pensai e la risposta mi fu subito chiara, dissi ai compagni di continuare a mettere le viti e controllare con attenzione che fossero ben strette: io dovevo fare una commissione urgente.

Corsi a casa di mio nonno (poveretto, viveva da solo visto che era vedovo), lì avrei sicuramente trovato qualcosa, la porta era chiusa ma senza il chiavistello (nessuna delle porte del mio paese era chiusa a chiave), dentro trovai il callàre sul camino con tanta acqua bollente per la preparazione del pranzo, di sotto nella stalla trovai un secchio di ferro e lo utilizzai per contenere l'acqua, ma per contenerla che potevo inventarmi?

Cercai per casa qualcosa di decente e finalmente sotto il letto trovai un coperchio sopra il pisciatùre... ci andava a perfezione, mi sbrigai cercando di andarmene in tutta fretta prima che tornasse mio nonno e fu soltanto mentre uscivo che mi accorsi di quello che c'era sul tavolo già apparecchiato, un piatto contenente una bella quantità di prosciutto e formaggio. Ci pensai poco ma fui più veloce ad aprire la tasca della mia giubba nella quale feci scivolare il tutto, e corsi via.

Per strada il secchio era pesante da trasportare ma quando giunsi a destinazione i compagni furono felici di potersi scaldare. Controllai il lavoro che avevano svolto ma ormai si era fatto tardi e mancavano ancora gli ultimi ritocchi ed ecco da lontano giungere le urla delle mamme che venivano a cercarci. Ma insomma non potevamo stare in santa pace? Ci accordammo sul da farsi. Ormai i nostri gioielli erano pronti, uscimmo fuori e soltanto allora ci rendemmo conto di come il tempo fosse volato senza che ce ne fossimo resi conto.

L'indomani, per fortuna, non andammo a scuola e ci tornò utile il raduno che avevamo in piazza alla solita ora pomeridiana per accordarci sull'ora ed il luogo dove svolgere la gara. Fu deciso all'unanimità di svolgere l'incontro dietro alla pineta dove nessuno ci avrebbe disturbati e l'ora era quella pomeridiana in cui generalmente tutti ce la svignavamo da casa per il nostro momento di svago. Non restava che aspettare il giorno seguente, che avrebbe segnato in modo incisivo il percorso del nostro quartiere e che grazie a noi sarebbe stato rispettato e onorato, se tutto fosse andato per il verso giusto.

La sera a casa ero in preda ad impazienza e nervosismo, tanto che anche mia madre si rese conto che qualcosa mi stava agitando particolarmente, così mi chiese se c'era qualcosa che mi disturbasse, ma la rassicurai dicendole che avevo discusso con i compagni e che presto mi sarei chiarito. L'indomani vissi le ore che precedevano la gara con un'agitazione particolare, ma finalmente giunse l'ora stabilita. Ci recammo tutti insieme sul posto, lì mostrammo le nostre carrozze affilate l'una vicino alle altre, mentre le posizionavamo sulla riga che Antonio, il più piccolo del gruppo, aveva tracciato sulla neve. Le carrozze le tenevamo a fatica ritte alla partenza e lì cominciammo ad azzuffarci con le parole, incolpandoci su come ci stavamo collocando e sul rispetto delle regole, non chiare nella loro applicazione. Il più grande del gruppo era stato eletto giudice e fu lui che ci azzittì imponendoci di prepararci e, contando 3-2-1, diede il via alla grande gara...

Oddio... tutti giù velocemente lungo la grande discesa, cercando di superarci a vicenda e calcolando in largo anticipo il dosso da evitare per non cappottarsi, mentre cercavamo di controllare il compagno con cui poter continuare la lunga corsa verso il traguardo... e fu proprio in uno di quegli istanti in cui cercavo di controllare la situazione che non mi accorsi del legno che spuntava dalla neve e che mise fine alla mia folle corsa.

– Pietro, Pietro, Pietro, ti svegli o che hai deciso di fare stamattina?

Feci fatica ad aprire gli occhi e poi mi controllai addosso: le gambe c'erano, le braccia pure, mi tirai in piedi sul letto e con una fragorosa risata attirai la curiosità di mia madre che guardandomi incredula mi disse:

– Sei per caso impazzito o cosa ti è successo?

La mia risposta, ancora tra le risate, fu netta:

– Mamma, era un sogno, sapessi che ho sognato?

Devo correre dai miei compagni a raccontarglielo... ma forse oggi mi riposo e poi magari ci vado dai miei amici e gli racconto tutto, sì, proprio tutto...


Maria Pia De Paulis

 

Fonte: M. P. De Paulis, Una gara tanto desiderata... ricordi tra verità ed immaginazione, in AA.VV., I racconti di Capracotta, vol. I, Cicchetti, Isernia 2011.

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