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La gelida estate di Andrea


Capracotta Novecento

Nonostante foss'estate, quella mattina di settembre il cielo era nero come la pegola, quasi a voler annunciare il triste destino che stava per investire il giovane figlio del massaro.

Andrea era nato nel 1722 da Carlo Ferrelli e Grazia Liberatore, sposatisi nel 1713. Sua sorella Antonia era due anni più grande di lui ed anche per questo in casa veniva trattato con tutte quelle accortezze riservate a un primogenito. Suo nonno Marsilio, originario di Roccaspinalveti, si era ritrovato a Capracotta molti anni addietro durante una transumanza finita male e qui aveva messo famiglia.

Andrea aveva soltanto venticinque anni ma non possedeva il fisico forte e resistente di nonno Marsilio.

Lunedì 11 settembre 1747 Andrea era più stanco del solito, non ce la faceva davvero più a respirare sotto le fredde lenzuola di lana, e anche se i familiari si stavano adoperando per riscaldare l'ambiente e somministrargli minestre calde, ormai non c'era niente da fare.

Andrea stava morendo di tisi.

Alle ore 15:00, come Nostro Signore, Andrea chiuse gli occhi per sempre.

I Ferrelli erano una famiglia molto rispettata nel piccolo paese di Capracotta. Non appena si sparse la notizia della morte di Andrea, le campane della Chiesa Madre suonarono a lutto e tanti compaesani cominciarono a prepararsi per mettersi in marcia verso il Colle dove stava l'abitazione di papà Carlo e mamma Grazia, per ottemperare a quello che è stato, e sempre sarà, un obbligo: esternare le proprie condoglianze alla famiglia dell'estinto.

Il cielo era scuro, l'aria gelida. Di certo non era più estate, e nemmeno si poteva dire fosse autunno. In quel settembre, a Capracotta, era inverno. Perlomeno lo fu per Andrea, tanto che in punto di morte la mamma aveva pronunciato con gli occhi vitrei:

È già matùre r' pire... Scié bendétta la Madonna de Lurìte.

Nel frattempo casa Ferrelli si andò riempiendo di gente. C'erano volti di amici e di parenti, sguardi buoni, umani, dolenti. E c'erano pure volti di nemici ed avversari, sguardi rancorosi, sardonici, fieri di assistere alla disgrazia di chi li aveva a suo tempo abbandonati in disgrazia.

Volti disgraziati.

In casa vi erano già l'arciprete don Giuseppe Campanelli, il medico e il sindaco quando, alle ore 20:00, giunsero i necrofori, col compito di trasferire il cadavere di Andrea dal rione S. Maria delle Grazie al piccolo cimitero di montagna sotto la grande Chiesa dell'Assunta. Proprio in quell'istante entrò in casa anche il cancelliere dell'Università, don Nicola Mosca, giunto a far visita alla famiglia con un ritardo causato dalle incombenze burocratiche che aveva dovuto sbrigare.

Nell'abitazione di Carlo Ferrelli, tra il primo e il secondo piano, c'erano a quel punto un centinaio di persone quando cominciarono a udirsi strani scricchiolii. Nessuno fece in tempo a capire da dove provenissero quei rumori, attutiti dal pianto delle prefiche, ché le travi di casa sconquassarono in un'assordante esplosione.

Pioggia, polvere, sangue...

Quando il mattino seguente, di buon'ora, don Nicola tornò nella casa dell'Università per mettere su carta ciò a cui aveva assistito nell'abitazione dei Ferrelli, scrisse che «per la gran calca della gente ivi accorsa, si ruppero nel primo appartamento trè travi, e nel secondo due, e l'uni, e l'altri in mezzo colla ruina di circa cento persone, delle quali se ne contano settantasette offesi, e feriti, e l'altri illesi senza però, che vi fusse morto niuno, gratie à Dio».

Infatti nessuno perse la vita durante quello spaventoso incidente. Soltanto un cadavere venne estratto dalle macerie, quello di Andrea.


Francesco Mendozzi

 

Fonte: F. Mendozzi, Poliorama letterario di Capracotta, Youcanprint, Lecce 2020.

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