Delta
Anch'io molto lontano dalle tue terre, America, ho la mia casa errante, e volo, passo canto e parlo nel volgere dei giorni.
– Scusa, Ermelinda, accendimi una sigaretta!
– Subito... ma quando ti deciderai a farti riparare le mani? sarebbe l'ora...
– Le ho spedite a Pathograd. I tecnici ucraini sono dei veri maghi in queste cose!
Louis aveva una volta... mani... Le sue mani erano belle specialmente in estate.
Bronzee.
Prendeva molto sole.
Una volta, studiando e leggendo i volumi prediletti sul mito greco, si proiettava archetipicamente nella dimensione del dio unico, Apollo.
Apollo dagli occhi di lupo. Il dio dell'eterno, della lontananza, del logos.
La grande saggezza che nasce dalla luce smagliante e si lascia rimpiangere nel crepuscolo, quando esce all'aperto il suo animale simbolo, il lupo.
Leukos... luce... lupo... liceo...
Il pensiero, che è idea lontana dalla realtà, ma che da questa nasce, e che questa è destinato a combattere in un odi et amo implacabile.
L'adesione al reale è attimo.
Momento.
E l'eterno non sa cogliere l'attimo. Il "non dio". Il dio che "esiste ma non è": Dioniso. Il reale che vive hic et nunc. Che non sarà poi ciò che è nel momento in cui esiste.
Chi è in quanto sarà. Apollo.
Chi sarà in quanto è.
Dioniso.
Dioniso, il dio della felicità e della contentezza legate all'attimo presente, ma anche della sofferenza legata all'uccisione del passato e all'ignoranza del futuro, necessarie a questa ebbrezza.
Il dio dell'ebbrezza e della sofferenza necessaria per ottenerla.
L'oblio dà la felicità a chi sa tollerarne il peso dell'assenza dei ricordi.
È una festa, e in quanto tale non priva di crudeltà.
Chi conosceva questo segreto, sapeva il mistero della vita, ad Eleusi, ma non avrebbe dovuto divulgarlo.
Eschilo fece di questo segreto eleusino tragedia e poesia.
La conoscenza di questo mistero concedeva poi di bere senza più soffrire alla fonte di Mnemosyne, tuffarsi nella Memoria senza essere avvinti dalla nostalgia, dolce compagna sua, ma anche fatale complice se vestita della maschera del ricordo struggente o del rimorso.
Mai presenti contemporaneamente, Apollo e Dioniso si annullerebbero se coesistessero nell'anima di chi volesse possederli simultaneamente.
Queste cose pensava il Senza Mani quando aveva ... mani, nei lunghi pomeriggi estivi passati sotto il sole e nuotando nel mare vicinissimo.
E pensava pure... Apollo è l'eternità destinata a non esistere mai nel presente. "Sarà".
È profezia, programmazione, studio, ed è anche memoria e nostalgia. È il regno esiguo e presente di due dimensioni immense, il passato e il futuro.
Il regno dell'uomo e quello degli dei.
Dafne si trasformerà in alloro al cospetto della precipitazione del dio di tuffarsi nel presente, ed il dio si vergognerà del suo atteggiamento istintivo e irrazionale, "dionisiaco".
L'amore, l'eros sublimato in poesia, nostalgia e rimorso, e nel totem casto dell'alloro.
Louis aveva... mani... bronzee e belle. Mani capaci di molte e belle cose.
"Dioniso – pensava – è l'attimo che diventa eternità. Lui, che rappresenta l'improvvisazione, l'azione estemporanea, è per l'eternità fedele ad una donna, Arianna. Un atteggiamento apollineo".
Dunque tutto, tutto, anche la precarietà tende al 'dio senza riso, senza ornamento né unguento', al dio unico, ad Apollo, antagonista di Dioniso".
Era, quella, un'estate serena.
Da molti mesi era solo, con i suoi compagni.
Si sentiva però in sintonia con se stesso.
Ritrovava nella solitudine l'equilibrio interiore assoluto.
Eppure gli accadde un curioso incidente.
Qualche anno prima aveva cominciato a corrispondere con una ragazza più giovane di lui. Aveva intuito un vago pericolo.
Era il suo opposto.
Ma lui pensava che la cosa fosse giusta: poteva essere la sua parte complementare.
– Qualunque cosa succeda – gli aveva dello lei qualche mezza dozzina di volte – ci sarà sempre tra noi un legame che nulla e nessuno riuscirà a spezzare.
Pensò a questo più tardi, quando si trovò di fronte al fatto compiuto.
Tutti quelli che noi vediamo, anche solo per poco, restano legati a noi.
Anche se noi apparentemente li ignoriamo.
Ma quelli che abbiamo amato, e visto con grande emozione e partecipazione, restano in un certo senso legati alla nostra persona.
Verso metà luglio cominciò a sentire degli strattoni ai polsi. Forti.
Da nord.
Era come una forza invisibile che lo tirasse.
Intuì che quella donna stava allontanandosi decisamente da lui e tirò.
Tirò disperatamente.
E le mani si staccarono quasi dai polsi.
Tale era la forza di quel legame.
Per questo aveva detto giocando che le avrebbero ricostruite a Pathograd.
C'era la luna.
Il mare era argento fuso.
Nell'aria c'era quel vago profumo di cocomero che gli capitava di sentire anni prima, quando faceva lunghissime nuotate nel mare, pensando lunghi monologhi rivolti alla sua Ombra.
Aveva passato lunghi anni in riva al mare. Era nato in montagna. Rimpiangeva ancora la neve, gli abeti alti, i prati verdi, le sorgenti d'acqua freschissima.
Non aveva ancora compiuto quattro anni e già sapeva nuotare.
Suo padre Antonino, chiamato Tonino, che aveva uno stile perfetto, glielo aveva insegnato nei catini del Verrino, un torrente indicato
in paese col nome generico e confidenziale di Vallone.
Sbarravano in torrente e nelle lunghe pozze che si formavano sguazzavano nell'acqua verde e cupa, tra le rocce tonde e i grossi cespugli che crescevano con le canne sulla riva.
Dopo il bagno si mangiava pane e pomodoro, con un pizzico di sale.
Oppure pane con ciliegie spalmate copra. Il padre gli aveva insegnato per prima cosa a fare "il morto" sulla superficie calma del torrente sbarrato.
– È la prima cosa per chi vuol galleggiare. Si deve confidare nell'acqua e stare immobili, abbandonarsi totalmente. Solo così si galleggia.
Poi partivano per l'erta assolata e tornavano a casa.
Una casa grande, enorme.
La madre faceva loro trovare dei biscotti, a forma di pesciolini.
La grande casa!
Così lontana, così perduta nella memoria!
Appoggiata ad altre case da un lato e libera per il perimetro restante.
Monumentale e bianca. D'un bianco neve.
Sul lato della piazza c'era un campanile con l'orologio.
Le ore suonavano, ma nella casa non se ne sentiva il suono ed il rumore di macchinari che le accompagnava.
Sembrava anzi che il tempo non trascorresse affatto.
D'inverno si sciava nelle campagne fra il torrente e il paese.
Gli sci di suo padre erano larghi, molto lunghi e di legno chiaro.
Gli parevano due grandi alberi senza la chioma dei rami e delle foglie.
I suoi erano stati fabbricati dal falegname del paese.
Mastro Patroclo li aveva scavati in tavole d'abete e suo padre poi li aveva piegati alla punta scottandoli con acqua calda vicino al fuoco.
Scendevano verso il vallone con il torrente, nella campagna coperta di neve.
Si fermavano al colle tondeggiante che sovrastava la parte più ripida che scendeva rapidamente al fiume.
Molti anni dopo avrebbe ricomprato gli sci, per tornare all'antico sport.
Ma non sarebbe più stato come prima.
Il nuoto divenne il suo sporto preferito.
A volte, scendendo in mare, gli pareva di avvertirne la presenza gigantesca eppure familiare e amichevole anche da lontano.
Leonardo si avvicinò interrompendo la navigazione di Louis nei ricordi più lontani.
– Che hai? – chiese – mi sembri giù.
– Nulla! – rispose Louis – proprio nulla! Ripensavo a certe cose mie e mi chiedevo per quanto tempo ci terranno rinchiusi qui dentro. Avrei voglia di fare un giretto. Un lungo blitz. Vorrei ritrovare posti e persone. Ne ho bisogno.
– Senti... sai bene che non è possibile: non possiamo allontanarci. Se ne accorgerebbero subito. E poi, lo sai come vivono lì fuori, per noi la loro atmosfera sarebbe irrespirabile... anche se, con qualche accorgimento, credo che uno di noi potrebbe restare lì anche un mese.
– Quali accorgimenti?
– Ehi... calma... un giorno te lo spiegherò... bisogna ci pensi bene. sono cose semplici, ma delicate e... segrete!
Si allontanò col suo passo di gatto in fuga.
Aveva sempre una fretta colossale.
Louis restò a parlare con le stelle.
Con la soave Deneb, Alpha del Cigno.
Almeno gli pareva.
Studiando astronomia, aveva imparato a riconoscere le stelle.
Più che le stelle, amava i loro modi splendidi e la loro lontananza. La luce fredda che emanavano era una specie di serena accettazione.
Molti anni prima aveva conosciuto gente interessante e bizzarra.
Uno, che comprava montagne di libri e passava pomeriggi interi seduto davanti alla finestra a guardare la pioggia e a pensare alla sua isola lontana e grande nel mare azzurro del sud, e un altro, che non aveva mai comprato un solo libro.
Passeggiando con loro, di sera, nei mesi dell'inverno e della primavera, si era spesso distratto dai loro discorsi senza capo né coda mettendosi a sbirciare Orione, le Pleiadi, Cassiopea. E gli pareva di andarsene lontano dalla realtà presunta dai più e vicino a quella che lui riteneva veramente effettuale.
La Luna intanto, che prima rendeva il mare come argento fuso, era tramontata.
Louis andò verso l'hangar.
I grandi contenitori pieni di rondini erano stati disposti per settori.
Ogni città, fra quelle rimaste, avrebbe avuto la sua porzione di volatili primaverili.
Il giorno seguente sarebbero arrivati grossi elicotteri a prelevare le casse per liberare le rondini sulle aree predeterminate.
Dopo aver sistemato la sua scrivania, Louis si avviò verso il suo bungalow.
Girolamo era accovacciato davanti all'ingresso.
L’animalaccio aprì qualcuno dei suoi occhi e ronfò sordamente.
Louis lo scostò bruscamente con un piede ed entrò insieme al gatto.
In cucina c'erano delle acciughe gratinate, patate lesse e birra.
Le patate, tritate con la forchetta e condite con un pò di olio e sale, erano squisite.
Le acciughe, scaldate rapidamente, furono divorate in pochi minuti.
Stavano trasmettendo intanto un notiziario.
Le solite beghe.
Il Consiglio dei Vecchi Saggi aveva deliberato di perseguire un gruppo di Kometutti che avevano organizzato un circolo culturale con tanto di rivista ciclostilata. Tutti i numeri del periodico sarebbero stati bruciati e gli arrestati spediti nelle Zone di Supercontaminazione. In questi gulag erano confinati i ribelli, per studiare l'ambiente e collaborare con gli scienziati addetti ai Processi di Decontaminazione.
Preparato un caffè spaventosamente forte, prese la sua dodecacorde e, incastrata al collo l'armonica, provò un pezzo da lui composto e articolò per la prima volta sullo strumento le nuove mani giunte quella mattina dal Centro Chiroplastico Clinico Periferico.
Hanno lasciato solo il generale
a morire nella sua tenda dei ricordi
nella sua onda dei ricordi
nella sua tenda remember...
Una volta gli amici scherzando lo chiamavano Gennarommel.
– La volpe del dessert... – aggiungeva lui...
Erano i tempi della galleria dei pittori.
Delle notti di luna sulle spiagge deserte o per le strade di Roma.
Cosa restava della galleria, della sua atmosfera, delle parole vere, delle parole false, dell'amore e dell'amicizia di Tunia?
Come un rimpianto, una nostalgia.
"Debbo andarmene da questa cupola – pensò con determinazione Louis – sono libero, ma vivo come un prigioniero. Voglio andarmene e ritrovare tutta la gente perduta, rivedere tutti i luoghi in cui sono stato prima. Ritrovare gli altri".
Interruppe la canzone e accese una Kamel.
Era l'ultima.
Mentre il fumo azzurro saliva col suo profumo d'Africa ritagliò il cammello sul pacchetto e lo ripose nel taschino del portafogli impermeabile.
– Camelus meus es. Nunc mihi tibique opus novum videndum.
Stabilì di partire ai primi di settembre e preparò un piano particolareggiato.
Aveva due mesi per allenarsi a nuotare su medie distanze.
A settembre il mare sarebbe stato calmo. Sicuramente sarebbero state assenti le onde più grosse.
Intanto avrebbe preparato una minizattera da trainare nuotando. Come Leandro, che per andare dalla bella Ero passava ogni notte a nuoto l'Ellesponto con vigorose bracciate mostrandole di lontano il cuore quando il braccio sinistro si alzava all'unisono con la testa e il tronco, per consentire la respirazione.
E mai sarebbe annegato, se non lo avesse sorpreso una improvvisa, imprevedibile tempesta.
La bella Ero si uccise, conosciuta la morte di Leandro.
Louis il delfino, dalle spalle forti, scacciò i cattivi pensieri e scrisse la lista delle cose da portare.
Poche cose.
L'essenziale per non affondare col troppo peso.
A questo punto andò a dormire.
Aveva nella mente le dolci colline del Molise e il suo paese lontano, sui monti.
Sognò il torrente, il torrente di Antonino e di Genni, dei ragazzi del Paese delle Morge, dei biscotti a forma di pesciolino, fra Agnone e Pietrabbondante, sopra Castelverrino. In vista di Poggio Sannita e delle vette dell'Abruzzo... la Majella... il Gran Sasso... e le bianche case di Capracotta... sognò i bagni estivi e i pomodori col sale sul tufo tondo del vallone fra gli scrosci dell'acqua verde e fresca, déndr'a re cuatìne chìne... e pane e ciliege...
Gennaro Di Jacovo
Fonte: http://gennarodj.blogspot.com/, 1° aprile 2007.