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Incontaminate bontà


Il "macchione" del Caseificio Pallotta di Capracotta.

Fa un freddo cane a Capracotta. I tornanti della strada ci spingono sopra i 1.420 metri, nel secondo Comune più alto dell'Appennino. Quassù d'inverno si pratica lo sci da fondo tra silenziosi boschi di faggi e abeti bianchi, ma la sera tutti rintanati in taverna o al calduccio di casa. Noi, a tentoni nella nebbia, ci rifugiamo accanto al camino dell'Elfo, accolti dallo chef Michele Sozio e dalla moglie Franca. La cena è istruttiva sul viaggio appena cominciato: una saporita zuppa di lenticchie di Capracotta con patate e cicoria selvatica; delicati ravioli con mousse di stracciata locale, granella di pistacchi, pomodorini confit e gocce di basilico; a chiudere una gustosa "pezzata", piatto della transumanza, un mix di bocconcini di pecora in brodo, saporiti e morbidissimi, che Sozio fa con le parti nobili dell'animale. Il freddo ora ci fa un baffo.

L'indomani andiamo a Pescopennataro, ancora avvolto tra le nuvole siderali di gennaio; un colpo d'occhio incredibile. Il paese degli scalpellini, tradizione mantenuta ormai da un solo giovane, si affaccia sulla valle del Sangro attirando nei suoi giorni migliori scalatori coraggiosi pronti ad agganciarsi come ragni alle pareti naturali a strapiombo. Una manciata di km. e saltiamo sull'altra "sponda" dell'Agnonese-Medio Sangro, terra di confine che ricade in due regioni, l'Abruzzo e il Molise. La buona sosta successiva - dopo aver sgranato vista e udito davanti alle spettacolari cascate del rio Verde - è a Borrello nel negozio con laboratorio della famiglia Mosca, cercatori e trasformatori con il marchio Rio Verde Tartufi. La signora Vittoria ci racconta che in zona «troviamo il bianco pregiato tuber magnatum pico, tra ottobre e dicembre, e il nero scorzone tra maggio e settembre». Ma solo tartufi "naturali", poiché non ci sono tartufaie e campi micorizzati. Il nero cresce sotto i cespugli di ginestre, il bianco tra pioppeti e faggete, trovando condizioni ottimali in un ambiente incontaminato. Lasciata Borrello arriviamo a Rosello, il cui sindaco è lo scrittore Federico Moccia (sì, proprio lui, l'autore di "Tre metri sopra il cielo", il best seller dei liceali 2.0). Fortuna che non ci sono ponti da "lucchettare" e neanche ragazzini "stile ponte Milvio", Roma. L'attrazione di Rosello è piuttosto la riserva di abeti bianchi, un angolo di Scandinavia tra Abruzzo e Molise. Ci guida alla scoperta di questo mondo misterioso il direttore del centro di documentazione, Mario Pellegrini. Avanzando su un letto di foglie e neve tra il canto degli uccelli, il suono del torrente Turcano, le impronte fresche di caprioli, cervi e lupi, dopo la lunga camminata siamo al cospetto di sua maestà l'abete bianco. La fatica è ripagata da alberi maestosi, bellissimi, addossati l'uno all'altro, il più alto (forse d'Europa) di 54 metri. La passeggiata ha stuzzicato anche l'appetito, giusto in tempo sulla strada per Roio del Sangro, il "paese dei cuochi di famiglia", dove ci attende la cucina genuina della cuoca Vincenzina Annecchini, che guida la trattoria Sangri Là, nascosta in una sala interna dell'unico bar di Roio. Piatto d'esordio? Una minestra di sagne "appezze" al pomodoro. Poi rincorsa energetica con un assaggio di sagne "andremap", sempre di farina integrale ma condite con ricotta di capra, cicoria passata in padella, pecorino grattugiato di Capracotta e peperoncino secco. Chiudono in trionfo le delicate "pallotte cacio e ova al sugo".

Roio è uno di quei posti dove non si arriva per caso, lontano com'è da ogni strada di passaggio. Ma Enrico Cese, lasciata Roma, vi si è trasferito con la moglie Rosaria - e il figlioletto Elia - per produrre ottimi formaggi artigianali, caprini e caciotte con il latte che il papà Enrico, ex cuoco di famiglia, munge nell'allevamento di capre (incroci di maltesi, alpine, camosciate e ioniche). «Vogliamo fare una piccola produzione di qualità, senza l'uso d'abbattitori, come avviene nelle malghe di montagna con il latte di animali munti a mano, ogni mattina», racconta Enrico con la passione di chi ha fatto una scelta importante. Certo non potevamo lasciare i pascoli di queste vette senza provare gli ottimi formaggi locali. E così, tornando verso Capracotta, facciamo sosta allo Scamorzaro - un nome, una promessa - che ci propone anche salsicce di cotechino, salumi e un'accogliente trattoria. A Capracotta, invece, c'è il caseificio Pallotta, che fa scamorze, stracciate, pecorino e il caciocavallo "macchione": 18-20 kg. di sapore intenso leggermente piccante, stagionato 15 mesi in grotta. Ultima tappa Agnone, paese di chiese, campane, dolci e grandi formaggi. Ne sa qualcosa Franco Di Nucci, che guida il caseificio con i figli Serena, Antonio e Francesco, undicesima generazione. Il latte crudo degli alti pascoli molisani è trasformato a mano in pasta filata. Tra i freschi troviamo ricotta e stracciata (una striscia di mozzarella ripiegata e tagliata). Tra gli stagionati una serie di caciocavalli da 60 a oltre 180 giorni di riposo. E poi il curioso cacio-salame, un salame nascosto in un formaggio fallico, "inventato" negli anni '50 per conto di un emigrante che - poi si scoprì - lo usava per aggirare i divieti d'importazione degli Usa dei derivati di maiale. Non è un caso se Di Nucci fornisce anche il Vaticano: da secoli il paese di Agnone produce campane di bronzo per le chiese di tutto il mondo. Ma suore e preti non sono da sempre ottime forchette?


Massimiliano Rella

 

Fonte: M. Rella, Incontaminate bontà, in «Alice Cucina», VIII:1, Roma, gennaio 2015.

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