"Zucchero, citrato, conserva, sardine, anche le mezzazita e attenta ai soldi"; la lista ripetuta a mente fino alla bottega di Iocia era una sorta di scommessa perché la strada offriva tante distrazioni: il cavallo nitriva spazientito mentre il maniscalco lo ferrava, la piccola coriera ansimava con qualche passeggero a bordo, le donne fuori dal forno si salutavano portando pane e pizze profumate, il vento capriccioso e freddo s'infilava tra le case, ma anche tra le parole del banditore, la legna rotolava dai mucchi improvvisati davanti ai portoni, e altro ancora accadeva a rapire l'attenzione.
Svoltata la curva, ecco la vetrina del negozio, in realtà una finestra sulla strada dietro la quale si scorgeva qualche scatola, pochi barattoli colorati, un accenno di mercanzia, senza tanti fronzoli; dalla porta per un corridoio si entrava al locale che aveva un odore di tutto un po', allora occorreva chiamare Iocia che immancabilmente era al piano di sopra e poi ricordarsi ancora quello che si doveva portare a casa.
Lei arrivava seria ed essenziale, di poche parole, serviva come se non avesse ascoltato, poi chiedeva improvvisamente:
– A cuia sié figlia? – alla maniera di molti anziani che si rivolgevano così ai giovani sconosciuti, quindi alla risposta sembrava accennare ad un sorriso, un moto di benevolenza a dir poco incoraggiante, ma tutto qui, restituiva i soldi del resto e poi rientrava nel fondo un po' buio delle scale da dove era venuta.
Flora Di Rienzo
Fonte: F. Di Rienzo, Piccolo florilegio, Capracotta 2011.