Lucia era una strana creatura: gli occhi spiritati, il capo scosso da un tremito su un corpo nodoso e robusto, la voce alterata che sembrava uscire più dalle sue vesti grigie e logore che dalla bocca, i capelli scarmigliati.
Veniva dal paese diretta al bosco e di ritorno da questo, passava cantando, recitando, fermandosi di tanto in tanto a rispondere alle donne, blaterando chissà cosa ai ragazzini incuriositi e spaventati insieme.
Saliva la strada lentamente e spariva inghiottita dalle rocce come fosse parte di loro dietro la curva del pilone.
Ricompariva nel tardo pomeriggio più scompigliata con una fascina di céppe sul capo, oppure con una manciata di gallucci e di fragole nelle tasche, un bottino semplice che la faceva strega e fata allo stesso tempo.
Lei aveva il fascino delle fiabe, di chi conosce la natura con la quale sa dialogare meglio che con le persone: il suo vivere quel solitario rapporto con il bosco, in cui si aggirava confondendosi perché già elemento silvano, era un mistero.
Tra le case stonava: in occasione di una festa religiosa, durante i canti e i fuochi d'artificio le sue note accresciute e scomposte portavano la folla al riso e alla pena, ma lei continuava in un'enfasi sproporzionata di risposta a chi la voleva ridurre al silenzio.
Abitava in paese in una casuccia addossata alle altre, nei pressi della mastodontica e rassicurante Chiesa Madre, tra quelle mura modeste viveva con una sorella la sua vita straordinaria.
Flora Di Rienzo
Fonte: F. Di Rienzo, Piccolo florilegio, Capracotta 2011.
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