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Modesto Della Porta, un poeta dialettale abruzzese


La tomba di Modesto Della Porta (1885-1938).

A distanza di oltre ottanta anni dalla morte, Modesto Della Porta è più che mai vivo nella memoria e nel cuore dei suoi paesani di Guardiagrele e di tutti gli abruzzesi. Di lui si tramandano numerosi aneddoti, i suoi versi sono ormai pronunciati come proverbi. Sono un patrimonio di memoria e di saggezza, riflettono sul senso della vita e sulla rassegnazione alle precarie condizioni della vita umana. Trovano nella ironia, nella satira e nel sottile umorismo quasi uno strumento del momentaneo riscatto. La critica ufficiale riconosce l'originalità e la validità della sua poesia. Abile e acclamato dicitore dei suoi versi, riscuote anche oggi la stima e la considerazione di tanti cultori del dialetto abruzzese. Il bisogno di esprimere la gioia incontenibile di questo "poeta sarto" nasce da profonda attenzione all'uomo del suo tempo. Descrive i pensieri, i sentimenti e le sensazioni con spontaneità e immediatezza, con linguaggio scarno ed essenziale, vivace, fluido e saporoso. Osservatore attento della vita e delle abitudini, usa la parola e il dialetto per farsi capire, con umorismo sottile e delicato, anche quando tratta dei temi religiosi. Nei suoi versi risuona la voce del popolo tra vicoli e piazze, suscitando emozioni e sensazioni che incantano. Rinsaldano il legame con la comunità di Guardiagrele per il valore di umanità e di poesia che essi contengono. Rimane indubbiamente il migliore interprete dell'anima della sua gente.

«Non ride, né irride, ma sorride dolente, e forse anche compiaciuto, delle situazioni tragicomiche, cui spesso si vanno a cacciare quanti oscillano tra superstizione e credulità superficiale» dice F. P. Giancristofaro. Calore umano, umorismo gentile e genuino, incantano ed affascinano ancora i suoi lettori.

Distaccato osservatore riesce a trascrivere ogni battuta della parlata guardiese con termini e parole semplici, efficaci e sapide. Partecipazione empatica, ironia sottile e talvolta graffiante, forte senso della misura accompagnano le sue descrizioni, i suoi temi preferiti e i suoi personaggi. Essenziale e stringato il suo linguaggio, tipico degli uomini pratici, vivace e immediato il dialogo, riescono a trasmettere partecipazione e sensazioni condivise.

Due temi vorrei sottolineare del suo vasto e vario repertorio artistico: la fede e la pietà.

Il poeta non intende trattare questi temi con superficialità e leggerezza. Rispetto e riverenza, attenzione e sacralità, sottile ironia e umorismo gentile, senza scadere nella profanazione, persistono simpaticamente nel trattare questi temi. Ha la coscienza tranquilla e serena, che traduce una sostanziale correttezza morale, fondata sulla tradizione cristiana. Arguzia e sapienza del popolo, insieme ai tormenti quotidiani, affiorano nei suoi versi. Nati in ambiente di paese, scritti da un uomo che ama intensamente la vita semplice dei suoi concittadini, i suoi valori, le sue passioni elementari, le sue manifestazioni primitive, i suoi versi traducono movenze e malizie popolari. Il lettore avverte l'atmosfera di festa della gente semplice, della fede vissuta in famiglia, si contenta della gioia fugace di una festa paesana. Trasmette la sua affettuosa compartecipazione, quasi la compiacenza e la tenerezza, con cui descrive l'umile realtà, che fu anche la sua. Nell'uso del dialetto guardiese sceglie dei vocaboli intraducibili in italiano, che posseggono ricchezza espressiva, colore e significato proprio del vernacolo di Guardiagrele. Non sono nati nella solitudine della sua stanza, ma nel connubio d'anima del poeta con il sentire del suo popolo schietto e semplice.

La fede, autentica, senza tanta teologia accademica, ma con una teologia dentro che non sbaglia, perché c'é un'anima che pensa, c'è un cuore che pulsa, c'è lo Spirito dietro. Se la persona "si chiude a riccio", azzera ogni desiderio, frena ogni impulso. Porte aperte a chi si avvicina alla fede, perché è umanizzante, accogliente, cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto, quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia. La fede vede nella misura in cui cammina "sulle strade della vita", senza cammino non si vede e si parla a vanvera. Fede è anche riuscire a vedere quando non si vede niente, riuscire a vivere anche quando sembra di non farcela. Fa superare le tempeste della vita e la nebbia del dubbio, senza perdere mai la direzione. E fa acquisire una dimensione nuova delle cose, perché si abbandona a Dio liberamente.

Fede, fiducia, fedeltà, confidenza, affidamento hanno la stessa radice ed indicano una direzione da dare all'esistenza. Dio è in fondo alla strada come un mondo che si apre, un abbraccio caldo, onda di luce e di pace, gioia di vivere. Dare del tu a Dio pregando, sentirlo vicino, dimenticare sé stesso, indica una presenza, un aiuto e una protezione.

Nella poesia "Lu timore de Ddije" si riflettono in parte questi pensieri: «Ddie, nostro Signore, criò l'omo e je mittì lu core. [...] Il mondo è una camminate e quande tu à da fa quacche viagge / che dure allonghe e a nu paese nove / anche se è serene e 'nche lu ragge / lu sole abbrusce, purtete lu 'mbrelle: se chiove tu le èpre, e se nen chiove / che fa ca sci purtate chelu 'mbrelle?!». L'ombrello può simboleggiare Dio.

Un'altra piccola riflessione è colta ne "Lu destine": «M'arevenne a 'mmente / de quande Mammarosse certe sere / parlave de destine: "È gnì lu vente / dicé – n'i vede e suffie, dà le stratte / t'accide e t'accarezza, è nu mistere! / Mo, pe ddù solde... E chi nense l'accatte?». L'umorismo sottile affiora anche in questi ultimi due versetti con l'accettazione del destino.

Un'amara considerazione sulla vita è espressa in "Cicche 'mbriache". «Sta pelle! Cumpà 'Ntò, che è sta pelle? Povere fesse! Ti facè 'cchiù fine! E queste è 'gnì na rote de castelle: / nu spare, 'ddù sillùstre, na aggirate / e po'... na puzze di cart' abbrusciàte!». Realismo schietto, tinto di cupo pessimismo.

In un'altra poesia, "Lu privilegge de lu disperate", le sue riflessioni esprimono pessimismo soffuso e reale, con queste crude parole: «Sopr'a stu munne / lu disperate queste te' di bbone: / che 'mmezze a tante guaie s'asciacque. / Lu pesce, quande chiove, nen se 'mbunne / pecché? Pecché ce stave 'mmezz'a l'acque».

In un quadretto di 14 sonetti, "Lu 'mbise", il pessimismo sale di tono e la fede e si conclude con la rassegnazione:


Sta pelle nostre jé de lu Signore

tu l'adda suppurtà gna scì l’avute

e le sa Isse quand'arrive l'ore.

Ca mmé me la spiegate Don Micchele


e nche cullu nen ce sta da pij'a rrise.

Pauperes tutos vostrum regnum Cele

tutte le puverille 'm Paradise.

Dunche, j stenghe 'mmezz 'a ffam e ggele


alloche aspette balle feste e rrise.

Dun Pasquale, se queste jè Vangele

nn'è fesse chi ni intre 'm Paradise.


Nella stupenda rievocazione, "La Novena di Natale", viene espressa tutta la gioia e la tenerezza di vedere gli zampognari (scupinàre). I fanciulli, in particolare, la gente del paese che partecipa alla novena e zì Pasquale, vengono descritti con rispetto e quasi con venerazione: «Facce senza na magagna, / rusce de cuntentezza e de calore. / E zì Pasquale suffiave 'nghe la vocche / e 'nghe lu core, e chelu sone / mi paré nu cante. / La notte de Natale è notte Sante. / Fa na sunate sole sempre quelle / fa na sunate sole e sempre bbelle / Mannagge! Haje paure ca stasere / m'abbracce zi' Pasquale e... la scupine!». Poi un segno di festa e di gioia: «Ecchete arrive 'Ndree, lu cantenire / 'nche nu vucale 'mmane e ddu bicchire / Si fece nnanze misurà lu vine / e disse: "Avante! Vive zì Pasquale! / Trent'anne che ce sune ssa nuvene / e da trent'anne che ce vuleme bene!" / La gente si smuvì. Se ne j'une / e n'atre appresse, e gna s'alluntanave/ la neve bianche e frolle arimantave / le pedate. Nci stave cchiù nisciuine. / Ma j'aristive accante a core a core pe' dirie: "Zi Pasquà, steme a ll'Abruzze! / Lu campanone di vintiquattrore / sunà tre stucche come tre sijuzze».

La pietà può avere quattro significati. Dono dello Spirito Santo, insieme alla sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio. Commiserazione, accoglienza, misericordia, comprensione, condivisione: indicano alcuni atteggiamenti umani. Vicinanza, rispetto, attenzione: virtù familiari che ricordano il «pius Eneas» di tradizione latina, che porta sulle spalle il padre Anchise e stringe tra le mani il figlio Astianatte. Pietà popolare e religiosità popolare, sono come forme che ammortizzano la distanza tra Vangelo e vita vissuta.

I doni dello Spirito sono disposizioni permanenti che rendono l'uomo docile a seguire le ispirazioni divine e rendono efficaci i frutti dello Spirito: «amore, gioia, pace, benevolenza, mitezza, fedeltà, modestia, confidenza, castità».

La pietà come atteggiamento umano, richiama gli atteggiamenti del buon samaritano, si fa vicino e prende cura. E disposizione abituale a fare il bene al prossimo. Sono maniere semplici, indizio di grande merito.

Ricordo un esempio di comprensione umana: "Lu zingre":


O zingre! Si tu fì 'sse marachelle

t'a nomme cumbatì, ca ssu mestiere

te l'anne fa da quatrarelle

Pover'a te c'a da 'spettà la sere


pì ì rubbenne quacche gallenelle!

Chi jè che t'a 'nzegnate lu duvere?

Pi scrive t'anne date lu curtelle!

Pe scole scì tenute la galere!


Ma quande ce ne stanne de latrune

che porte guande gialle e jè 'struite,

e quande arrubbe acchiappe le miliune,

ammarce 'nghe carrozze e ffa la vite…


Ma quille nna' paure: arresta fore

anze le nomme fa cummendatore!


La pietà non solo indica la paternità di Dio, come la paternità umana del pius Eneas, ma insegna anche a pregare per impulso interiore, implica contemplazione, dialogo con Dio, dandogli confidenzialmente il Tu.

La pietà popolare manifesta una sete di Dio, che solo i semplici e i poveri possono conoscere e che «rende capaci di sacrifici e di generosità, quando si tratta di manifestare la fede» (Paolo VI). Nel cuore dei credenti c'è un vuoto che solo Dio può colmare. «Il senso religioso del popolo ha sempre trovato diverse espressioni nelle varie forme di pietà che accompagnano la via sacramentale della Chiesa [...] quali processioni, rosario [...] la luce della fede illumina e favorisce le forme autentiche della pietà popolare» (Compendio Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 353).

Modesto Della Porta analizza, tra il serio religioso e il faceto ironico, e descrive la processione nella festa di S. Donato, nei dieci sonetti "La cocce de San Dunate".


Stave già pronte la prugessïune,

ma san Donate n'avè' 'scite ancore,

picchè, dentr'a la chiese, li cafune

avè' 'ncucciate pe' 'ncollà lu Sante


e certe strille si sentè da fore...

Ma, quande si truvà sott'a la porte

sbattì lu musse 'n facci' a lu passande.

Nu scrocche, nu remùre crichelùgne,


e po' la cocce di sante Donate

fece na 'ntrambïate che gni quande

stav'a magnà nu lécen'appirùgne…

e si spaccà gni nu merecanàte!


Ma, fece lu Preposte, san Donate

è sempre san Donate benedette;

però san Giuvacchine, scià lodate,

manche è scarte! E quande ci si mette


le fa da mastre... Schiuvète

san Donate. Quatrè, stetev'accòrte

'nche 'stu San Giuvacchine... Acchiapp'arrète,

piane! N'avess'avè' la stessa sorte…


Mettète 'ncolle… Pòpele, sfilète!–,

strillà zì' Gisuvè, Larg' a la porte…

Tra bbumme, bbande e sone de campane,

cungréhe, 'ntorce, conche e virginelle,


s'arimittì 'n camine a mane a mane.

Nisciùne addummannà c'avè' successe,

le prìiete archiappà' lu riturnelle

e la prugessïune 'scì lu stesse.


La devozione a san Donato, nel racconto del poeta, si esprime in termini semplici e paesani, con accenti che rasentano la superstizione, ma traducono una fede-fiducia tradizionale che si affida all’esempio dei santi. Malinconica indifferenza e sottile ironia traducono gli ultimi versi: «Nisciune addumannà c’avé successe / li prijte arricchiappà lu riturnelle e la pruggessione scì lu stesse». In fondo al cuore di ogni uomo si cela la silenziosa la nostalgia di Dio... la devozione ai santi la riaccendono.

Un ultimo richiamo alla poesia di Modesto Della Porta è "Serenate a mamma", che l'autore pone all'inizio della raccolta "Ta-pù". Nei versi c'è tutta la grandezza e la tristezza, la fragilità e la felicità non solo dell'autore, ma di ogni essere umano. La consapevolezza della necessità di una infinita comprensione, di un cuore immenso e buono che solo la mamma o chi conosce nell'intimo (forse Dio?) può avere.

L'autore presenta per sé il destino di chi mai avrebbe suonato uno strumento da solista, ma trova la speranza di cogliere momenti di serena ispirazione: «Ma zitte, ca se ccojie lu mumente / capace che l'accuchie na sunate». Sente il bisogno incontenibile di esprimere la gioia della serenata improvvisata alla mamma. «Quande lu vicinate s'arresbejie / sentenneme sunà, forse pu' dire / Vjiate 'a isse che gna sta cuntente». E con profonda serietà e confidenza, umiltà e rassegnazione esprime il suo dolore, come di chi stringe i denti e si "sfoga" con la mamma: «Ma tu che mi cunusce nen ti sbejie / li sì ca ogne suffianne jé nu suspire, / li sì ca ogni mutive jè nu lamente».

Questo linguaggio scarno e filiale imprime vitalità e sincerità alla serenata. Attenua la sofferenza, non la smorza. La magia della parola dà un senso alla vita, rinsalda i legami materni, trasfigura il dolore, sottolinea l'intimità del rapporto figlio-madre. In una terzina, "Fiure de mundàgne", tratteggia queste effusioni: «La mamma vustre preghe ma nen chiagne / dentre a lu core chiuse te nu pegne / perciò se sta cujete e nen 'nze lagne». L'unica forza capace di conquistare il cuore è la tenerezza e il silenzio. Il rapporto e la relazione affettiva crea un'intimità stabile e fedele, si lascia trovare quando abbiamo bisogno, è via percorribile sempre, anche quando sembra di smarrire il cammino. Incanta e attrae, piega e vince, apre e scioglie, è la forza irresistibile della sua dolcezza. Modesto Della Porta ha colto questi momenti sereni e li ha tradotti in versi delicati, colpito dal cancro ai polmoni, muore a 53 anni a Guardiagrele.


Osman Antonio Di Lorenzo

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