«Perché la prudenza è la prima delle virtù cardinali?». Questa domanda mi fu rivolta tempo fa da un ragazzo delle scuole medie. Preso così alla sprovvista, tentai a caldo di dare una risposta pertinente dicendo che nella Sacra Scrittura è elencata per prima. Il ragazzo accettò la risposta con un generico segno tra il soddisfatto e il dubbioso, con un'espressione del volto che lasciava intravvedere una vaga soddisfazione di aver messo in difficoltà l'insegnante.
Quello sguardo birichino mi rimase impresso a tal punto, che nel ritornare a casa, lungo la strada, mi andavo ripetendo anch'io: «Ma perchè proprio la prudenza al primo posto?» Tra le tante reminiscenze scolastiche, affiora, di tanto in tanto, alla memoria anche il fatto che forse nel pensiero classico ci doveva essere un elenco delle virtù... ma dove e da chi, mi restavano un mistero.
Siccome «il ferro va battuto quando è caldo», appena rientrato in casa, mi misi al lavoro scartabellando i trattati di morale e di ascetica, ma le idee non è che mi si chiarissero molto anche perchè notai con sorpresa che i probati auctores non danno molto spazio nelle loro opere alla virtù della prudenza. Allora, con santa pazienza, ricominciai da zero e mi accostai alle opere di s. Tommaso quasi con timore.
Da questa e da altre letture sono venute fuori le seguenti note sulle virtù cardinali.
Un primato giustificato
Per ritornare al quesito del ragazzo: «Perché la prudenza è la prima virtù cardinale?», bisogna rispondere che la Sacra Scrittura non viene molto in aiuto alla risposta data. Infatti in Sap 8, 7 la prudenza non è citata come prima virtù cardinale: «Essa [la sapienza] insegna temperanza e prudenza, giustizia e fortezza, di cui non c'è nulla di più utile nella vita dell'uomo».
Tra i filosofi del mondo classico la prudenza ha una preminenza sulle altre virtù, ma in genere si tratta di elencazione senza addurre dei motivi che giustifichino tale primato.
Nel pensiero cristiano si è sempre citata la prudenza quale prima virtù cardinale per un motivo intrinseco. S. Ambrogio e s. Agostino ci offrono l'elenco delle virtù così come sono enumerate oggi. S. Ambrogio dice esplicitamente che la prima fonte del dovere è la prudenza e che la giustizia non può esistere senza la prudenza. A queste affermazioni fa eco s. Tommaso quando afferma che la prudenza è la misura, la causa prima, il giusto mezzo, la generatrice e moderatrice di ogni virtù.
Ma le asserzioni di questi santi, per quanto meritino il nostro massimo rispetto, non fugano appieno il dubbio, o almeno non appagano la curiosità sul perché della preminenza della prudenza sulle altre virtù.
Prima di tutto dobbiamo sgombrare il campo da una questione pregiudiziale. Nella nostra mentalità moderna le graduatorie tra grandezze spirituali e morali sembrano cose che hanno attinenza con l'allegoria o, in ogni caso, con cose in fondo inutili.
Infatti concedere un primato o riconoscere di fatto una preminenza tra le virtù cardinali sembra quasi ozioso o almeno da lasciare alle sottili elucubrazioni d'altri tempi. Ed invece non è così.
Il motivo per cui nella teologia scolastica la prudenza ha un primato non è un qualche cosa di superficiale e di accessorio, ma è un motivo profondo che giustifica pienamente tutti gli appellativi dati alla prudenza dai grandi teologi.
La prudenza trascende le altre virtù e le dirige al fine ultimo, indicando in tutte quale sia il fine da conservare.
Mentre le altre virtù hanno un ambito ben definito, la prudenza ha un ambito estesissimo ed è norma di tutte le virtù, poiché ad esse indica nella concretezza pratica quale sia il bene da conseguire in una situazione esistenziale ben definita. La prudenza pur tenendo conto di quale deve essere il fine dell'uomo, indica in ogni atto virtuoso quali sono le finalità intermedie e pratiche per raggiungere il fine ultimo.
S. Tommaso dice che il bene, cioè l'ideale di bontà dell'uomo è quello di «essere conforme alla ragione» (I, II, 18, 5); ed ancora: «Il bene dell'uomo è che la ragione sia perfetta nella conoscenza della verità, e che gli appetiti inferiori siano regolati secondo la regola della ragione». Per ragione dobbiamo intendere la molteplicità dei modi di cogliere, di vedere e di percepire il reale. Ora la percezione della realtà non serve solo a livello speculativo, ma anche a livello pratico per poter ben agire.
In questo senso la prudenza riceve la possibilità di attuazione dalla realtà, non già da una forma velleitaria di buona intenzione.
La realizzazione del bene esige la conformazione del nostro agire alla oggettiva e concreta realtà in cui operiamo. Altro aspetto della prudenza è quello di essere una virtù che decide e comanda dopo che l'intelletto pratico ha capito il da farsi.
È una virtù che dà misura ed è rivolta prima di tutto alla volontà e in un secondo momento all'azione. La prudenza, in tutto l'ambito del bene, traduce la verità delle cose reali nella bontà dell'agire umano. Sotto questo profilo la prudenza genera le altre virtù.
Definizione della prudenza
La prudenza è la virtù che fa rettamente discernere ed agire in tutte le circostanze della vita; indica nei singoli casi cosa bisogna fare e cosa evitare, quali mezzi adoperare, il quando e il come... per ottenere i vari scopi contingenti e per conseguire, in ultimo, il fine supremo.
Non si tratta di un complicato modo di pensare e di agire, ma è l'orientamento della persona umana a discemere qual è la volontà di Dio in un determinato luogo e momento.
Si tratta di realizzare nelle singole circostanze la vocazione alla santità di ogni uomo. In questo senso la prudenza non è quella disposizione d'animo a tutto rallentare pesando e soppesando i pro e i contro di ogni agire; è invece uno scegliere il bene con generosa prontezza nelle diverse situazioni concrete, o «è un modo divinamente ispirato di essere docili alle ispirazioni di Dio».
Nella S. Scrittura non troviamo una parola precisa corrispondente al termine greco fronesis, però dai diversi contesti si può desumere il perché è stato tradotto ora con sapienza ora con prudenza. In molti passi questi termini vengono riportati sempre in coppia: «Jahvè fondò la terra con sapienza e consolidò i cieli con prudenza».
Nell'Antico Testamento la prudenza viene indicata come un dono di Dio: «È il Signore che conferisce la sapienza e dalla sua bocca provengono la sapienza e la prudenza». In Baruch la prudenza s'indentifica con la legge di Dio.
La prudenza, pur essendo un dono di Dio, non esime l'uomo dalla ricerca, dalla formazione personale. Nel libro dei Proverbi vengono suggeriti tre punti per educarsi alla prudenza.
Primo punto: la preghiera al fine di ottenere la luce da Dio.
Secondo: la docilità per ascoltare i consigli di chi ha autorità su di noi e ha possibilità di correzione nei nostri riguardi. «È sulla strada della vita chi accetta la correzione, ma chi disprezza l'ammonimento si smarrisce» (Prov 10,17). Anche chi crede di non aver bisogno di consigli deve essere aperto ad ascoltare i pareri dei saggi e dei prudenti: «Con una saggia direzione si fa la guerra e la vittoria viene dal numero dei consiglieri» (Prov 24,6).
Terzo: l'esperienza che suggerisce le regole pratiche all'agire prudente e che ha il suo fondamento nel timore di Dio e nell'umile riconoscimento dei propri limiti perché «non c'è sapienza, né prudenza, né senno davanti a Jahvè» (Prov 21,30).
Per colui che cammina sulla via della prudenza ci sono i seguenti benefici: la lontananza dalle seduzioni del male, il saper parlare e tacere a tempo debito, il retto consiglio e la capacità di emettere dei giudizi equilibrati sulle cose di questo mondo. Favoriscono la prudenza e sono sue alleate la rettitudine, la misericordia e la giustizia; mentre sono contro la prudenza la pigrizia, l'ira e la smodata bramosia della ricchezza.
Nel Nuovo Testamento possiamo notare che il concetto di prudenza non si discosta molto dalle idee fondamentali dell'Antico Testamento. La frase di s. Luca riferita a Gesù dodicenne: «Tutti si meravigliavano della sua prudenza» (Le 2,48) può ben applicarsi a tutta la vita del Cristo.
Gesù fu prudente con i suoi discepoli rivelando ad essi tutte le verità con delicatezza pedagogica e preparandoli all'evento doloroso della passione. Gesù fu prudente con i nemici senza dare mai loro l'occasione di coglierlo in fallo. Esortò i suoi seguaci ad essere prudenti come serpenti e semplici come colombe; inculcò, attraverso l'insegnamento delle parabole, la prudenza al fine di costruire l'edificio della propria santità sulla roccia e non sulla sabbia. Inoltre chi riconosce nella sequela del Cristo un valore sommo, dimostra grande prudenza, se per questo scopo rinuncia a tutto.
S. Paolo raccomanda ai cristiani di Efeso di comportarsi da prudenti e non da stolti; raccomanda ancora la prudenza a chi aspira all'episcopato e alle donne anziane affinché siano di guida alle giovani. La prudenza cristiana deve essere sorretta nelle scelte dallo Spirito Santo ed orientata verso la promessa della felicità eterna; mentre la prudenza della carne porta lontano da Dio e s'identifica con la «prudenza dei figli di questo mondo» (Le 16,8).
Il tema della vigilanza, così ricorrente sia nel Vangelo che negli altri scritti del Nuovo Testamento, è direttamente ricollegabile al tema della prudenza. Le vergini che attendono lo sposo con costanza sono dette prudenti da Gesù, mentre le stolte hanno commesso una grave imprudenza perché non hanno saputo valutare la venuta dello sposo con le loro scorte di olio (Mt 25). Anche s. Pietro esorta a stare vigilanti: «Siate sobri e vigilate» (1Pt 5,8). E l'Apocalisse ripete: «Se non vigili, io verrò a te come un ladro» (Ap 3,3).
Natura della prudenza
S. Tommaso dice che il bene, cioè l'ideale di bontà dell'uomo, è quello «di essere conforme alla ragione». Qui ragione deve essere intesa come la molteplicità dei modi di cogliere, di vedere, di percepire la realtà. La ragione può essere speculativa se ha per compito la percezione della realtà vera in quanto vera; se ha per scopo la percezione della realtà per poter agire, allora si parla di ragione pratica. In altre parole: il cogliere la realtà in tutta la sua estensione può arricchire il mio patrimonio di conoscenze e fornirmi la base per ulteriori speculazioni, si tratta allora di conoscenza speculativa, mentre la conoscenza della realtà che non è fine a se stessa ma in funzione del ben agire, è detta conoscenza, ragione pratica. La virtù della prudenza appartiene alla nostra ragione pratica.
Chi è prudente, prima di porre un'azione, non solo immagina vagamente quello che deve fare, ma agisce con fatti che gli permettano di avere un quadro completo della situazione. In base a tale giudizio si fanno le scelte. È un lavoro tipico delle nostre facoltà di discemere cosa bisogna fare e cosa evitare.
Le virtù vengono in genere divise in virtù intellettuali e morali a seconda se risiedono in una o nell'altra facoltà dell'uomo. Le intellettuali risiedono nell'intelletto e lo perfezionano in ordine alle capacità di acquisizione di nuovi concetti o nozioni; quelle morali risiedono nella volontà. Tra le virtù intellettuali ve ne sono alcune con caratteristiche del tutto speculative, mentre altre sono virtù intellettuali pratiche e tra esse c'è la prudenza il cui fine è quello di conoscere le realtà contingenti per potervi inserire l'onesta risposta dell'uomo.
Mario Di Ianni
Fonte: M. Di Ianni, La prudenza, in «La Rivista del Clero Italiano», LXI:5, Vita & Pensiero, Milano, maggio 1980.
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