Nel territorio di Capracotta, su una mappa del 1700, sono indicati, con le distanze segnate in palmi napoletani e all'altitudine di 1.023 m., i mulini di Santa Croce, situati di poco sotto la casa colonica della famiglia Mendozzi (r'Amecùne) ed alla confluenza di due torrenti: il Verrino e un altro rio che in estate generalmente era - e lo è tuttora - in secca.
Quello era l'unico punto nel quale l'orografia del territorio permetteva lo scavalco del fiume con la messa in opera di un ponte di legno lungo circa 12 metri a collegare la contrada di Guastra e la zona di Monteforte. Il ponte era strategicamente necessario per lo sfruttamento agricolo e pastorale dei terreni confinanti e antistanti il mulino ad acqua affatto funzionante.
Dal prelievo delle acque sorgive, poste nel comune di Capracotta, venne messa in opera sul territorio di Agnone una profittevole centrale elettrica necessaria al funzionamento della ferrovia Agnone-Pescolanciano, conosciuta col nomignolo di "Colomba Bianca" ed inaugurata il 6 giugno 1915.
La linea era lunga 37,6 km. per circa 3 ore di percorrenza, aveva binario unico, scartamento ridotto (950 mm.) e trazione elettrica a corrente continua e tensione di 1.200 volt, con la fermata Capracotta-Vastogirardi posta a 1.100 m.s.l.m. e distante circa 12 km. dal centro abitato, utilizzata per il trasporto di persone e per lo scambio di derrate e prodotti agricoli. L'unico vagone ferroviario venne chiamato "Colomba Bianca" per via del suo colore anche se, non molto tempo dopo, passò dal bianco immacolato al verde ramarro, forse proprio per simboleggiare la rapidità dei movimento del sauro.
La vita di tutti, grandi e piccini, scorreva secondo i ritmi scanditi dalla natura, in un'idilliaca simbiosi con essa, che sembrava perpetuarsi da sempre e per sempre, finché vacillò e venne spazzata via dalla Seconda guerra mondiale.
Nel settembre del '43, difatti, i guastatori tedeschi in ritirata distrussero in maniera capillare tutte le infrastrutture, l'intera linea aerea fu divelta e, con un carrello munito d'un robusto rostro, furono spezzate tutte le traversine in legno, mentre motrici e materiali accessori vennero dati alle fiamme. Gli stessi guastatori appiccarono il fuoco a molti dei casolari di Guastra e demolirono quel ponte di legno che aveva resistito al tempo ed alle acque, un'opera la cui distruzione richiese molta fatica e sudore da parte dei nazisti!
Suscita un pizzico di ilarità il fatto che gli abitanti della zona decisero di ricostruire il ponte proprio il 16 ottobre 1943, nello stesso periodo in cui in Thailandia veniva completata la costruzione del ponte ferroviario sul fiume Mae Klong (per lo meno stando al film "Il ponte sul fiume Kwai"). I capracottesi delle contrade utilizzarono tutto ciò che l'occasione del momento permetteva loro, a partire dai binari della ferrovia che, lasciati alla mercè di personaggi senza scrupolo, furono venduti come materiale per la ricostruzione. Si pensi che alcuni acquirenti subirono persino un processo con l'accusa di incauto acquisto oppure altri li prelevarono nottetempo come "ricordo", nonostante i rischi, perlopiù penali, che tale azione comportasse.
La necessità di ricostruire ciò che la guerra aveva distrutto era tangibile e imperante. I solai e le travi delle abitazioni furono ricostruiti grazie al taglio degli abeti di Pescopennataro e sotto la ferrea sorveglianza delle guardie forestali. Ciò nonostante non tutti potevano permettersi l'acquisto dei materiali, tanto che si sarebbe potuto chiosare il varietà televisivo "Bambole, non c'è una lira"!
Il ponte fu ricostruito in un misto di leggenda e mistero, ed è tuttora lì, pur con qualche ammaccatura dovuta all'inclemenza degli agenti atmosferici. Ricostruito nel giro di un mese con struttura portante in acciaio e sovrastruttura in legno, necessitò di molte travi per limitarne la flessibilità.
La salvezza e il ripristino del ponte furono forse la sola cosa positiva di quell'orribile autunno del 1943, dato che moltissime famiglie, seppur ospitate in quantità nei casolari e nei tholos di campagna delle contrade di Guastra e Macchia, furono costrette a lasciare il paese come sfollati. Questo accadde perché, giova ripeterlo per far chiarezza e per evitare stucchevoli revisionismi storici, molti abitanti dei comuni vicini, risparmiati dalla furia devastatrice della guerra, non mostrarono alcuna solidarietà verso chi abitava lassù in cima, dove stavano i resti delle case fumanti!
La leggenda secondo cui i capracottesi furono gli artefici della sparizione e della mancata ricostruzione della ferrovia è totalmente pretestuosa, figlia del deleterio campanilismo allora imperante. Qualora ipotizzassimo un "prelievo forzoso" di 15.000 metri di binari, all'appello ne mancherebbero comunque altri 60.000!
Concludo dicendo che il ponte sul fiume Mae Klong aveva la struttura portante in legno coi binari posati sopra e almeno ebbe l'opportunità di sentire il fischio del treno che vi transitava dopo la disumana condizione lavorativa imposta dai giapponesi ai 60.000 prigionieri di guerra australiani, inglesi, olandesi e americani e ai 200.000 asiatici costretti ai lavori forzati. Per quanto riguarda il ponte sul fiume Verrino, invece, è un po' fantasioso che tutto ciò accada...
Filippo Di Tella
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