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A prua e a poppa


Un'illustrazione di A. Ferraguti.

Due giorni dopo, si poteva dire che ogni cosa fosse in ordine a prua, ed io cominciai le mie osservazioni. Quando salii sul palco di comando, poco dopo le otto, che era l'ora della colezione, la prua offriva l'aspetto tra d'un mercato di campagna e d'un accampamento di zingari, che avessero disfatto le tende. Ciascun gruppo d'emigranti aveva preso il suo posto, dove passava la maggior parte della giornata, e i posti presi, per consuetudine tradizionale, eran rispettati da tutti. Dovunque si potesse star seduti senza ingombrare il passaggio, in tutti i cantucci che formavan le torri di cordami e i mucchi di fieno o di merci addossati all'opera morta, s'era ficcata, come una covata di gatti, una brigatella di conoscenti o una famigliuola, con le sue seggiole e qualche cuscino o coperta, e alcune eran così ben rimpiattate, che vi si sarebbe potuto passar davanti dieci volte senza scoprirle; poiché la povera gente si adatta a tutti i vani come l'acqua. Una parte dei passeggieri intingevano ancora le gallette nel caffè nero, con le gamelle di latta sulle ginocchia; alcuni lavavano le loro stoviglie negli acquai, o distribuivano l'acqua dolce al loro rancio coi così detti bidoni, della forma di coni tronchi, dipinti di rosso e di verde; gli altri stavano accovacciati lungo i parapetti, nelle positure proprie dei contadini, abituati a riposar sulla terra, o passeggiavano con le mani in tasca, come la domenica sulla piazza del villaggio; mentre le donne, coi capelli sciolti giù per le spalle, si pettinavano davanti a specchietti da venti centesimi, ravviavano i ragazzi, passandosi a vicenda spazzole, saponi, asciugamani, davano il latte ai bambini, rimendavano panni e lavavan pezzuole in quattro gocce d'acqua, tutte affaccendate, angustiate visibilmente dalla ristrettezza dello spazio e dalla mancanza di cento cose. Tra la folla fitta e nera si vedevan girare lunghe berrette blu di cafoni, busti verdi di donne calabresi, larghi cappelli di feltro di contadini dell'Alta Italia, cuffie di montanare, papaline rosse, italianelli, raggiere di spilli di villanelle della Brianza, e teste bianche di vecchi e nere capigliature selvagge e una varietà mirabile di facce stanche, tristi, ridenti, attonite, sinistre; molte delle quali facevan creder vero che l'emigrazione porti via dal paese i germi di molti delitti.

Ma l'oceano essendo tranquillo, e l'aria limpida e fresca, molti erano allegri. E si poteva notare che, quetata l'agitazione della partenza, nella quale erano stati assorti tutti i pensieri, l'eterno femminino aveva già ripreso il suo eterno impero anche lì; non solo, ma che per effetto della scarsità ne era già cresciuto il valore, come in America. Pochi uomini stavan rivolti verso il mare; i più passavan a rassegna le passeggiere. I giovani, seduti sopra i parapetti, con una gamba spenzoloni di fuori e i cappelli arrovesciati sulla nuca, pigliavan degli atteggiamenti di baldanza marinaresca, parlando forte e modulando il riso in maniera da attirar l'attenzione, e quasi tutti guardavano verso la boccaporta del dormitorio femminile, dove s'erano raccolte, come sopra un palco molte giovani ben pettinate, con nastrini nei capelli, con vestiti chiari, con fazzoletti vistosi, annodati con garbo: la parte intraprendente, pareva, del bel sesso di terza. Fra queste spiccava una bella donnetta, - una contadina di Capracotta, - con un visetto regolare e dolce di madonna (lavata male), a cui diceva mirabilmente un fazzoletto da collo, che portava incrociato sul petto, tutto purpureo di rose e di garofani, che parean veri e fiammeggiavano agli occhi. E notai due ragazze, l'una bruna e l'altra rossa, due graziose facce sfrontate, messe con una certa civetteria cittadinesca, che discorrevano con grande animazione, dando di tratto in tratto in risate squillanti, dopo aver fissato ora un passeggiere, ora un altro, come se facessero la rivista dei tipi ridicoli dell'"emigrazione". Il Commissario, capitato là mentre le osservavo, mi disse che eran lombarde, sole, sedicenti coriste, due diavolesse che promettevano di dargli molte noie durante il viaggio. E come io non capivo a che genere di noie volesse accennare, egli mi rivelò una delle maggiori piaghe della vita di bordo, in quelle piene d'emigranti: la gelosia delle donne maritate. Una tremenda cosa! Le oneste mogli coi bimbi in collo l'avevano a morte con quelle avventuriere impudenti che tiravano a stregare i loro mariti disoccupati, approfittando di quella confusione di gente; e ne nascevan liti rabbiose, in cui toccava a lui di fare da conciliatore. Ah! ne avrebbe sentite, più tardi. Ce n'era disgraziatamente qualche dozzina in quella traversata, che pareva si fossero accozzate pel suo malanno. E m'indicò un'altra ragazza, una specie di donna-cannone, seduta dietro a quelle due, col capo alto, vestita di nero, una faccia di leonessa, bruna, non brutta, ma Dio ne liberi; la quale aveva una civetteria particolare, la superbia, il ticchio di primeggiare e di farsi desiderare con l'ostentazione di un principesco disprezzo per la gente purchessia, di una pudicizia ultra delicata, paurosa d'esser profanata dagli aliti; e minacciava tutti, dicendo d’avere a Montevideo un parente giornalista, che faceva tremare il Governo. Già dalla prima sera era andata da lui a chieder giustizia contro un contadino, il quale, passandole accanto, le aveva urtato una grossa borsa di cuoio, che portava a tracolla; e domandata in via di discorso, del perché andasse in America, aveva risposto alteramente:

– Per prendere aria!

Bene, quella era una finta spostata; ma c'erano anche degli spostati veri; e il Commissario, dopo aver un po' cercato con gli occhi, m'indicò delle famiglie, delle persone sole, rincantucciate, per quanto era possibile, fuor della folla, le quali dal contegno, dai vestiti logori, ma di stoffa e di taglio signorile, mostravano d'esser gente stata costretta a partir per l'America da un rovescio improvviso di fortuna, che gli aveva gittati dall'agiatezza sul lastrico, con neppur tanto in tasca da prendere un biglietto di seconda classe. C'erano, fra gli altri, due coniugi, con una ragazzina d'una decina d'anni, che stavan ritti in disparte, vicino alla stalla dei bovi, con l'aria imbarazzata di chi non osa di sedersi: tutti e due sulla quarantina, macilenti, d'aspetto tristissimo. Eran negozianti. La donna, alta e sottile, con gli occhi rossi, che pareva uscita di fresco da una malattia, aveva passato tutto il primo giorno nel dormitorio, in mezzo alle contadine, piangendo sul capo della sua figliuola, senza mangiare.

– Miserie! – disse il Commissario. – Ce n'è da per tutto; ma in mare paion più tristi.

Intanto, guardando abbasso, proprio sotto il palco di comando, io avevo fatto una scoperta maravigliosa, una delle più belle figure che avessi mai viste per mare o per terra, vive, dipinte o scolpite, dal primo giorno che giravo il mondo. Il Commissario mi disse ch'era una genovese. Sedeva sopra un panchettino, accanto a un vecchio che pareva suo padre, seduto sul tavolato, e lavava il viso a un ragazzetto in piedi, che aveva l'aria d'un suo fratello. Era una ragazza grande, bionda, con un viso ovale d'una regolarità e purezza di lineamenti angelici, d'occhi grandi e chiari, bianchissima; perfetta del corpo, eccettuate le mani, un po' troppo lunghe; vestita d'un giubbino bianco svolazzante e d'una gonnella azzurra, che parea che stringesse due cosce di marmo. Dal vestito, benché pulitissimo, si vedeva ch'era povera; e aveva una dignità tutta signorile; ma mista a un'apparenza così ingenua, a una grazia così semplice d'atteggiamenti e di mosse, che non stonava con l'umiltà del suo stato. Dava l'idea d'una bambina di dieci anni che fosse cresciuta così in pochi giorni. Parecchi passeggieri, intorno, la guardavano, e altri, passando, si voltavano a darle un'occhiata. Ma per tutto il tempo che rimanemmo a guardarla, non girò una volta gli occhi intorno, non diede mai il minimo segno d'accorgersi che l'ammirassero, e il suo viso mantenne una tranquillità così immobile, così trasparente, direi quasi, da rendere impossibile anche il più vago sospetto che quel contegno fosse un artificio. Ed era così diversa in tutto dalla folla circostante, che sembrava solitaria in mezzo a uno spazio libero, benché la gente la premesse da ogni parte. In che modo si trovava là quel miracolo gentile? E la sua fama doveva già essere grande a bordo, perché a un dato momento vedemmo affacciarsi a un finestrino, e guardarla con l'aria di un ammiratore abituale, nientemeno che il cuoco della terza classe, con tanto di berretta bianca, un faccione rosso e brusco, d'una straordinaria alterigia, sul quale appariva la coscienza di esser per gli emigranti il più importante personaggio del piroscafo, riverito, temuto, corteggiato come un imperatore.

– E anche costei, – disse scotendo il capo il Commissario, – senza volerlo, mi darà da pensare. – E prevedeva un viaggio scellerato.


Edmondo De Amicis

 

Fonte: E. De Amicis, Sull'oceano, Treves, Milano 1889.

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