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Storia dell'organo (III)

  • Immagine del redattore: Letteratura Capracottese
    Letteratura Capracottese
  • 6 giorni fa
  • Tempo di lettura: 8 min

Respirerò l'odore dei granai,

pace per chi ci sarà e per i fornai.

Pioggia sarò e pioggia tu sarai,

i miei occhi si chiariranno e fioriranno i nevai...

[Zucchero, "Diamante", 1989]


Francesco Di Nardo
Meccanica sotterranea dell'organo di S. Alessandro in Colonna.

Il passaggio dal XIV al XV secolo fu un punto di svolta per la storia dell'organo. L'evoluzione delle tecniche e dello studio dei materiali, condizionato dalle esigenze delle varie etnie e comunità di appartenenza insieme a quelle liturgiche, portarono alla comparsa di svariate e numerose scuole costruttive. Da non tralasciare anche le tecniche compositive e le prassi esecutive che portarono ad un ulteriore studio sistematico e scientifico per la costruzione di tali strumenti. Nacquero quindi organi la cui caratterizzazione e classificazione vengono strettamente legate all’ambito geografico di appartenenza, ma va tenuto conto anche dei continui scambi che avvenivano tra i vari organari che portarono alcuni ad adottare piani e metodiche di altri, per cui tale descrizione è molto schematica ma utile per una comprensione dell'argomento. Ovviamente stiamo osservando cosa avvenne nell'epoca d'oro dell'organo, cioè dal XV al XVIII secolo. Dopodiché si andò incontro ad una relativa uniformità degli strumenti tesa ad un eclettismo esecutivo pur conservando elementi tipici legati alla nazionalità ed alle varie esigenze liturgiche.

La Scuola italiana

L'organo italiano ebbe un prodigioso sviluppo nel Rinascimento anche se, purtroppo, non conserviamo più strumenti originali e senza successivi rimaneggiamenti. Numerose invece le notizie e le descrizioni pervenuteci tramite documenti storici, contratti di costruzione e di collaudo e ancora trattati organologici e di arte organistica. L'organo della Basilica di S. Petronio a Bologna è ufficialmente lo strumento più antico d'Italia. Costruito nel 1475 da Lorenzo da Prato, perfettamente funzionante, presenta in facciata le canne gotiche e rinascimentali pur se incorniciato in una cassa barocca.

Dall'uso strettamente dedicato all'accompagnamento del coro o alla pratica dell'alternatim al gregoriano si passò alla realizzazione di brani per intonare il coro polifonico trasponendo le stesse partiture vocali in musica organistica (intavolature). Nacquero anche composizioni autonome di introduzione alle funzioni (le "toccate avanti la messa") o di preparazione al brano cantato (versi di intonazione) o di commento alle varie parti della messa (canzoni, ricercari). Osserveremo in seguito le varie tipologie compositive.

Resta comunque inteso che l'esecuzione musicale nel culto cattolico era di tipo "verticale", cioè riservata esclusivamente ai musici e ai cantori. L'Assemblea non partecipava e non veniva coinvolta pur se le Scritture celebravano l’importanza del canto e della musica nella glorificazione di Dio. Cionondimeno l'organo iniziò a sviluppare e perfezionare tutte le tipologie di registri ad anima e ad ancia. È l'epoca dei grandi organisti italiani tra cui Andrea e Giovanni Gabrieli, Girolamo Cavazzoni, Girolamo Frescobaldi la cui scuola influenzò le prassi compositiva ed esecutiva di tutta Europa.

Anche quando gli strumenti venivano realizzati in grandi dimensioni raramente troviamo organi con più di un manuale (le tastiere per le mani hanno questo nome), e con pedaliere di non eccessiva estensione con forma a "leggìo" e tasti corti, adatte a emettere note lunghe o per accompagnare e rinforzare le cadenze finali dei brani. Le pedaliere erano quasi sempre prive di registri autonomi e suonando "unite" al manuale: un sistema di tiranti collegava i pedali ai primi tasti del manuale (i bassi) facendo sì che abbassando un pedale si abbassava il tasto corrispondente. Molta importanza viene ad acquisire la figura dell'organista specialmente nella sua capacità di improvvisare la musica più adatta, qualità che da sempre viene ricercata nella scelta di un buon esecutore nell'ambito liturgico.

Il Principale italiano è leggero, di "colore" trasparente ed adatto a sostenere anche accordi nei suoni bassi, senza creare dei fastidiosi contrasti durante l'esecuzione. La sua strutturazione verso le file acute e le relative mutazioni crea il "ripieno" cioè l'insieme di tutte le file derivate dal Principale che risuonano contemporaneamente ma da non confondere con il "tutti" che, invece, comprende anche gli altri registri. Il ripieno italiano, svettante, verticale ed "affilato", è indispensabile nella esecuzione delle grandi “toccate” che richiedono canne con risposta pronta e veloce. I comandi delle singole file sono autonomi ma l'inserimento simultaneo del ripieno è garantito da un ulteriore comando a mano o a pedaletto chiamato "tiratutti". L'organista inoltre può creare dei giochi sonori particolari selezionando a piacimento le varie file delle mutazioni. Abbiamo anche delle tabelle di riferimento dei vari organari che suggerivano le combinazioni utilizzabili a seconda delle necessità: il loro nome a volte è indicativo e suggestivo come "spiritoso", "granito", "granito spiritoso", "mezzo pieno" ecc. Le prassi esecutive e compositive sono molto vicine a quelle del clavicembalo e non a caso i brani potevano essere eseguiti indifferentemente su uno strumento o sull'altro. Parimenti chiari e dolci i flauti atti a garantire cantabilità ma con estensione del numero dei relativi registri verso le file acute abbastanza limitato e non vasto come per i principali. I "bassi", ove presenti, erano chiari e poco voluminosi per non oscurare la velocità delle mani e non diventare ossessivi specie nelle note tenute a lungo. Le ance iniziarono un graduale sviluppo e una diversificazione importante nei loro colori: L'importanza dell'organo traspare anche dalle bolle vescovili e papali che proibivano al celebrante di interrompere l'organista durante l'esecuzione, attendendo quindi fino alla fine del brano o del fraseggio musicale per proseguire (udite, udite!) la funzione: era preghiera anche la musica. In compenso i brani scritti venivano strutturati in vari "episodi" intercalati da opportune cadenze così da poterli correttamente e compiutamente interrompere quando necessario nei punti cruciali.

La necessità di esecuzioni con differenti piani sonori in contemporanea venne raramente risolta con l'adozione di più manuali. Si preferì invece "spezzare" i registri, cioè dotare ogni singola fila di canne con due comandi. Un comando consentiva di suonare solo le note del registro nelle note basse fino a metà tastiera, mentre l'altro azionava i soprani per i tasti rimanenti. Quasi universalmente la prima ottava era "corta": usanza rimasta fino al XIX secolo specie negli strumenti di medie e piccole dimensioni. Dovendo suonare dei passaggi in tonalità "critiche", dato che non era stato ancora concepito e adottato il moderno "temperamento equabile", l'adozione dei "tasti spezzati" consentiva di evitare o attutire dissonanze derivanti dagli schemi di accordatura antica legati ai vari "temperamenti inequabili".

Altri tentativi furono quelli di porre due diversi organi autonomi posti uno di fronte all'altro ai lati dell'altare: gli "organi battenti", azionati da due organisti in contemporanea o addirittura collegati tramite una catenacciatura che scendendo dalla cantoria di uno e passando sotto l'altare risaliva alla cantoria dell'altro consentendo ad un solo organista di farli risuonare insieme! Come gli organi della Basilica di S. Alessandro in Colonna a Bergamo realizzati dalla famiglia Serassi nel 1781, con una meccanica di collegamento lunga 33 metri e passanti sotto il presbiterio in una galleria di 17 metri. Tantissime sono le composizioni pervenuteci scritte "a due organi". Menzione particolare per gli organi della Basilica Cattedrale di S. Marco a Venezia che grazie alla peculiarità degli ambienti furono laboratorio di musica stereofonica e tridimensionale quando azionati insieme.

Comunque molti furono i tentativi e gli studi per la realizzazione di strumenti a più tastiere. Il celeberrimo musicista e organista Azzolino Bernardino della Ciaia (1671-1755) membro del Sacro Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano ebbe modo di studiare anche l'arte organaria durante i numerosi viaggi al seguito dell'Ordine apprendendo anche le tecniche costruttive nordeuropee. Fu così che con l'aiuto di altri costruttori toscani realizzò il poderoso organo della Chiesa di S. Stefano dei Cavalieri a Pisa: 5 manuali di cui uno dedicato al cembalo, pedaliera indipendente e 60 registri di cui (cosa in quel periodo divenuta rara) molti ad ancia. Collocato sulla cantoria di sinistra nel 1733 facendo da "battente" allo strumento del 1571 opera di Onofrio Zeffirini posto sulla cantoria di destra. Entrambe le cantorie e la chiesa erano state disegnate da Giorgio Vasari (1511-1574). Questi strumenti, caduti in disuso, sono scomparsi da molto tempo ma le spoglie di Azzolino riposano ancora lì accanto.

Le casse degli strumenti italiani sono generalmente rettilinee, ad armadio con corpo unico, progettate e realizzate da molti artisti del legno e della decorazione, seguono l'evoluzione della moda e del simbolismo dell'epoca. In alcuni casi sono presenti elementi a torre cilindrica appena abbozzata ma con campi di canne di facciata quasi sempre allineati sulla stessa linea di base. Va ricordato anche la stretta interazione tra organaro e intagliatore, spesso locale, nella progettazione e compenetrazione delle strutture sonore con le strutture portanti e decorative valutando anche gli spazi a disposizione nelle cantorie.

A questo tripudio evolutivo ed entusiasmante del Rinascimento si oppose la ControRiforma che, se non fece fare una vera marcia indietro, diede sicuramente un deciso colpo di freno. La verticalizzazione della musica sacra e liturgica fu esasperata puntando l'accento specialmente sul canto gregoriano e la polifonia vocale riducendo drasticamente le competenze dell'organo. Alle donne venne vietato di far parte delle scholae aprendo la strada ai castrati in funzione di soprani. Termina così, o comunque viene rallentata, la grande scuola organistica italiana. Rimase la sovrapposizione clavicembalo-organo; molti registri specie ad ancia furono aboliti o caddero in disuso, mentre l'organo italiano rimase un semplice complemento alla musica liturgica e non ebbe la poderosa evoluzione che si verificò nel barocco nordeuropeo. Così anche la musica organistica: i nostri musicisti, pur grandiosi nella musica strumentale, vocale ed orchestrale e studiati in tutto il mondo, quando applicati all'organo non raggiunsero mai livello dei grandi ed "esplosivi" organisti del Nord. G. F. Händel (1685-1759) venne in Italia forse anche per studiare e perfezionarsi, ma non certo in organo, strumento che aveva studiato ad Halle sotto la guida di F. W. Zachow (1663-1712), peraltro strabiliando l'uditorio nelle sue esibizioni anche al grande organo della Basilica di S. Giovanni in Laterano. Lo schema costruttivo rimase quasi sempre il medesimo basato su un manuale ed una piccola pedaliera, ma comunque parliamo di stupendi capolavori come il nostro Principalone. Occorrerà aspettare la seconda metà del XIX secolo per vedere rifiorire completamente la scuola organistica italiana e un nuovo forte impulso evolutivo al "suo" organo.

Oltre ai classici registri delle due piramidi sonore l'organo italiano presenta molti accessori: cornamuse e regali fissi (le scopine), uccelliere (piccole canne pescanti nell’acqua per imitare il canto degli uccelli), campanelli, cornette.

L'influsso del melodramma operistico, del bel canto e della musica bandistica con l'idea che l'organo "re degli strumenti" lo fosse perché capace di imitare i suoni di tutti gli strumenti portò alla comparsa degli "organi orchestra" dotati di registri ad anima e ad ancia a denominazione orchestrale. Furono aggiunti accessori come piatti, tamburi, grancasse. Gli stessi organisti componevano brani di fattura bandistica o melodrammatica, portando in liturgia melodie operistiche o similari: G. Tomasi da Lampedusa nel suo Gattopardo riserva un intero capitolo alla descrizione della capacità dell'organista della chiesa di Donna Fugata nel riprodurre brani d'opera. Ma anche il nostro Luigi Campanelli menziona Giangregorio Falconi, organista della nostra Collegiata fino al 1899, anno della sua morte, e la sua capacità di riprodurre all'organo a memoria interi brani operistici. Il movimento ceciliano portò ad un recupero da tale strana situazione ma questa è un'altra storia. Eppure anche in questi casi scaturirono dei capolavori compositivi. E anche molti strumenti non furono da meno: oltre alla comparsa di più manuali e pedaliere più estese furono realizzati strumenti con più consolles quindi azionati da più organisti in contemporanea come l’organo della Chiesa di S. Nicolò l’Arena a Catania costruto tra il 1755 e il 1767 da Donato Del Piano, e l'organo della chiesa di S. Pietro a Trapani realizzato tra il 1836 e il 1847 da Francesco La Grassa, entrambi con tre consolles.

Gli scambi con i costruttori di oltrealpe furono intensi, tuttavia pur quando stabilitisi in Italia gli organari nord europei assunsero gli schemi costruttivi italiani sebbene sfruttando ed utilizzando alcune foniche e sonorità tipiche delle loro latitudini.

Molte le famiglie di costruttori sul territorio: era ed è un'arte trasmessa di generazione in generazione. Gli Antegnati, i Serassi, i D'Onofrio, i Catarinozzi, i Fedeli, i Mascioni sono solo una pallida rappresentazione del pantheon delle grandi famiglie che si dipanarono nel corso dei secoli. Varie anche le tipologie costruttive ciascuna con una propria peculiarità, spesso identificate mediante l'ambito geografico tra cui le scuole veneta, napoletana, romana,lombarda.

Purtroppo per sua struttura l'organo italiano barocco, con le dovute eccezioni e pur se dotato di pregevoli caratteristiche peculiari, può sostenere un repertorio limitato ai suoi autori ed alla sua epoca di riferimento. Brani che richiedono più manuali o pedaliera indipendente sono praticamente impossibili da eseguire. Ma se vi fermate ad ascoltare un organo italiano cantare i "suoi" autori sentirete in musica la bellezza raffinata della nostra lingua e la calda luminosità dei nostri luoghi.


A nonna Anna...


Francesco Di Nardo



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