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Tornano i giovani


Reduci capracottesi della Prima guerra mondiale (foto: G. Paglione).

Capracotta.

Si è costituito nella nostra alpestre cittadina un nuovo Circolo, fra tutti i giovani che hanno preso parte alla guerra, che si è chiamato "Cesare Battisti". Il nome del martire eroe è l'esponente delle più alte idealità patriottiche: è il simbolo sacro della virtù, il vessillo dell'onore, il segnacolo della gloria.

La società novella sorge, come pura ed irresistibil scaturigine che si apre una via tra le balze del granito alpino, nell'effervescenza dell'entusiasmo giovanile, coll'abbacinante fiaccola del progresso nel pugno, per dissipare le obbrobriose tenebre dell'oscurantismo che ci avvolgono e c'impediscono di scorgere ciò che dobbiamo e vogliamo scorgere. Perciò la nostra modesta parola si volge commossa a voi, giovani e baldi pionieri, araldi, antesignani di un'era novella: a voi dal braccio forte e dal cuore leonino, tutti, umili ed ignorati eroi del nume divino che si noma Italia, della Patria adorata a cui lietamente votaste la giovinezza e la vita!

A voi tutto il nostro pensiero memore, esultante di gratitudine, a voi tutta l'anima nostra fervida di entusiasmo e di affetto. Noi, maestri, nelle nostre scuole ricordiamo alle crescenti generazioni, il nostro orgolio di avere fatto scintillare le prime faville, di avere accesa la prima fiamma d'amore nei vostri cuori per la nostra gran Madre Italia, quando, ancor piccini sedevate sui banchi delle nostre aule. Noi infondiamo nelle tenere menti il devoto e santo rispetto riconoscente che vi si deve; noi insegnamo ai nostri piccoli che devono scoprirsi riverenti quando incontrano un glorioso mutilato, un ferito di guerra, qualunque soldato, che ha assolto con onore il suo dovere.

Dovremo turbare la serenità del loro spirito ingenuo coll'inculcare nelle anime loro l'indifferenza, anzi il disprezzo per i patrioti teorici e verbosi dell'armiamoci e andate!; per coloro che, quantunque validissimi, furono assenti all'appello della Patria, invasi dal panico del coraggio della paura, rintanati e nascosti nelle loro conigliere; per coloro che, nella dolorosa epopea della nazione, trovarono modo di impinguare e di divertirsi.

Dunque, giovani carissimi, soldati dell'onore, dicevo che la vostra bella associazione nasce col nome augusto di Cesare Battisti, del martire della definitiva redenzione italica.

La vostra eletta coorte di prodi si unisce in un fascio di civile fratellanza, sotto gli auspici più belli, precursori del vostro statuto, in seguito, quando avrete una sede più degna, vi sarà dato svagarvi con giuochi leciti e con onesti trattenimenti; vi saranno coloro che, simpatizzando per voi, metteranno a vostra disposizione la loro modesta cultura per conferire con voi in conversazioni e lezioni famigliari, in conferenze popolari istruttive; vi saranno dati modesti spettacoli di proiezioni varie, ricordandovi specialmente le scene della guerra; si creerà per voi una biblioteca popolare affinché da voi stessi possiate accrescere il patrimonio delle vostre cognizioni; si farà rivivere la sospesa Cooperativa di consumo per sorreggere le vostre famiglie nell'acquisto dei generi alimentari.

Tutto questo bel programma di rinascita e di riscossa suonerà ostico ai furbi e ai tristi, è un monito severo per essi che tremano al vostro cospetto e non sostengono lo sguardo della luce adamantina che brilla negli occhi vostri di simpatici conquistatori della... Vittoria!

Finora, voi avete data la scalata alle impervie cime alpine sotto le raffiche rabbiose della mitraglia austriaca, avete travolto col vostro impeto magnifico tutti gli ostacoli e avete trionfato su tutto. Ora non dimenticatevi che in casa nostra abbiamo, se non altri austriaci da debellare, dei signorotti da contenere in limiti più ragionevoli, infondendo anche nell'animo loro il rispetto e la considerazione che vi si deve in qualsiasi espressione e contingenza della vita pubblica. Dobbiamo dunque perseverare e lottare e ci proponiamo di farlo con modo educato e civile, improntato a correttezza di metodo ed a grande signorilità, con la pura obbiettività del comune pubblico bene; ma stigmatizzando, come ben si merita, con tenacia, vivacità e risolutezza la soggettività personale che vorrà ancora frapporsi, con indebite ingerenze, al trionfo del libero programma dei liberi cittadini. Tutti sanno e giudicano severamente uomini e cose del nostro ambiente che, purtroppo, non è nel migliore dei mondi possibili dell'ottimista filosofo di Voltaire; però si ha il torto di parlare troppo sommesso e pavidamente. Se, a ragione, dobbiamo avere un rigido concetto dei nostri doveri, dobbiamo avere altresì un migliore criterio dei nostri diritti, saperli apprezzare e farli valere efficacemente nelle competizioni della vita sociale, affinché possa conseguirsi l'incremento morale del nostro carattere, per poter acquisire il giusto spirito d'indipendenza, per poterci fieramente e superbamente proclamare cittadini coscienti, dignitosi, insofferenti di qualsiasi torto e di ogni abuso. La nostra spina dorsale è ben dritta e forte e non deve mai piegarsi ad inchini adulatori e servili, poiché soltanto le mezze coscienze e le incoscienze s'inginocchiano davanti ai padroni che li hanno prezzolati, solo gli spregevoli domestici turibolano l'incenso avanti alla votiva dei loro fantocceschi santi di cartapesta.

Dobbiamo poter proclamare con orgoglio ai quattro venti l'integrità dell'anima capracottese fiera e salda come la roccia granitica dei nostri monti.

All'occorrenza bisogna colla fronte scoperta, levare alto lo sguardo e protestare vibratamente, con voce stentorea contro chiunque voglia seguitare a fare del popolo uno strumento cieco per le sue mollezze, per le sue comodità e per i suoi personali interessi. Il popolo non vuole più sopportare da chicchessia angherie, soprusi, prepotenze di qualsiasi sorta; esso lavora ed è fonte di benessere per la comunità ed ha perciò il dritto di vivere senza lo scherno e l'oltraggio dell'imposizione e con quella relativa agiatezza che è frutto del suo sudore. Bisogna alfine far comprendere a certi autocrati da operette che il medio evo è molto lontano, che è tempo di finirla coi vieti sistemi dello scaltro asservimento del popolo, di questo paria collettivo, che si vorrebbe seguitare a considerare da chi non ne ha il prestigio morale, né il fascino dell'intellettualità, come l'asino paziente e bastonato che non si decide ancora a recalcitrare. Si ricordi dai nostri don Rodrigo in miniatura, che fanno la ruota dei tacchini e si atteggiano a... spaventapasseri, che la pazienza e la tolleranza hanno dei limiti, che il popolo vilipeso e oppresso (secondo la gran maestra della vita che è la storia) talvolta diventa l'iconoclasta che infrange i falsi idoli di creta. Si rammenti ancora che non siamo più ai tempi nefasti delle galere borboniche, delle torture e dei roghi della santa inquisizione, né delle famigerate forche austriace; quando si tarpavano le ali al pensiero, quanso si soffocava il fremito ardente delle parole ribelli, quando si conculcavano nel doloroso martirio le divine aspirazioni della patria libera. Si ricordi che sulla nostra terra gentile di fiori e di armonie sono passati turbini di ferro e valanghe di fuoco, che son corsi fiumi di sangue generoso di martiri e di eroi per le conquiste supreme dell'anima umana: l'indipendenza e la libertà!


Giovanni Paglione

 

Fonte: G. Paglione, Tornano i giovani, in «Il Faro», I:7, Isernia, 10 aprile 1919.

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