Nei secoli scorsi la rilevanza economica della transumanza era tale da rendere necessaria una specifica istituzione del Regno di Napoli: la Regia Dogana della mena delle pecore di Foggia. Ma il quesito a cui voglio trovar risposta è: in che termini la transumanza prese realmente piede a Capracotta? Natalino Paone, ne "La transumanza nel Molise tra cronaca e storia", afferma che:
In questo centro la pastorizia fu presente sin dall'epoca sannitica, ma l'attuale paese si fa risalire a poco prima del Mille e la sua crescita rapida e forte viene però collegata alla grande transumanza aragonese. Capracotta ricevette «incremento della popolazione, della prosperità e del progresso intellettuale» solo dalla transumanza organizzata, tanto che al censimento del 1522 i fuochi risultarono in numero di 118, salendo nel 1575 a 248. Una popolazione più che raddoppiata in appena 53 anni! E più che raddoppiato risultò, sempre nello stesso periodo, il numero dei contratti di compravendita di feudi, movimentando un mercato in precedenza a livelli molto modesti. Addirittura i feudi molisani di alta montagna furono molto ricercati da nobili casati napoletani, i quali nelle masserie armentizie trovarono le principali fonti di reddito. Questo tipo di masserie rientrò anche nei capitoli matrimoniali: la nobildonna Aurelia d'Ebulo, sposando nel 1583 il cugino, ebbe appunto tra i capitoli della dote una masseria armentizia a Capracotta di ben 5 mila capi. Gli effetti della transumanza si fecero notare anche nei settori politico e culturale e nei campi amministrativo e militare, in cui si distinsero molti cittadini di Capracotta. Possiamo dire oggi che dalla transumanza, in modo diretto e indiretto, era nata una borghesia intellettuale, commerciale e artigianale, nonché la feudalità che arricchiva il nucleo urbano del primo palazzo baronale costruito proprio nel XV secolo. Accanto ai pastori, alla borghesia, e alla feudalità, la Chiesa. Molte furono le chiese molisane che nel periodo di maggior fulgore della transumanza aragonese e post-aragonese divennero anche aziende armentizie iscritte alla Dogana di Foggia come locate, ossia come proprietarie di pecore che partecipavano alle migrazioni stagionali.
Per restituire al lettore quanto detto dal Paone, propongo due testimonianze scritte, una del 1472 e l'altra del 1548. Il primo documento sul commercio della lana capracottese che ho rinvenuto sta in un libro mastro conservato presso l'Archivio di Stato de L'Aquila. Si tratta di un manoscritto compilato negli anni 1471-73 e redatto da una sola mano in scrittura mercantesca. Pur essendoci giunto in buono stato di conservazione, esso è adespoto, anepigrafo, acefalo e mutilo: fondamentalmente si tratta di una sorta di registro in partita doppia. Il lavoro di trascrizione e ricostruzione fu effettuato da Nicola Marini per conto della Deputazione abruzzese di Storia patria e, a proposito di Capracotta, all'anno 1472 è scritto nel libro mastro che: «dezine 140 de lana portò la state passata da Crapacotta quj [...] e de' avere fino a dj detto celle 278: sonno lj facemo boni per vittura de dezine 278 lana Carfagna portò da Lanzano del sig. secretario la state passata in balle 10».
Si evince che nel XV secolo il venditore più agiato di Capracotta appartenesse alla famiglia Carfagna - prima che questa migrasse in Campania - ma non è facile capire a quanto ammontassero le celle di lana, trasportabili in convoglio, e che quindi differiscono dalle balle.
Per avere un'idea più precisa della quantità di lana prodotta e del profitto derivante dalla sua commercializzazione, propongo, con l'aiuto dei registri notarili, un secondo documento datato 9 giugno 1548, allorché Giovanni Salmezza di Bergamo vendette a Fabiano Quaranta di Capracotta «ex causa venditionis cannarum 21 stametti bergamani fini variorum colorum pro pretio ducatorum 59», da cui si ricava il prezzo unitario di 2,8 ducati la canna. I tessuti bergamaschi erano infatti quelli maggiormente scambiati fino al XVI secolo e, a quanto pare, i panni stametti - costituiti per l'appunto di stame, cioè la parte più lunga e consistente del fiocco di lana - piacevano molto ai produttori capracottesi, dimostrando che la nostra filiera si spingeva fin nella Lombardia pedemontana ed era piuttosto moderna, visto che produceva, acquistava, lavorava e vendeva prodotti finiti in lana di particolar pregio, di vario colore e di complessa manifattura.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
S. Bucci, Dalla cultura della transumanza alla società post-industriale. Progresso e mutamenti nella Regione Molise, Vita e Pensiero, Milano 1988;
L. Casilli, Aspetti socio-economici della transumanza nel secolo XVIII, in E. Narciso, Illuminismo meridionale e comunità locali, Guida, Napoli 1989;
A. Di Nucci, I prezzi e le merci a Lanciano nel Cinquecento, in P. Pierucci, Congiunture e dinamiche di una regione periferica. L'Abruzzo in età moderna e contemporanea, Angeli, Milano 2017;
N. Marini, Il libro mastro di Pasquale Di Santuccio, Colacchi, L'Aquila 1998;
J. A. Marino, L'economia pastorale nel Regno di Napoli, trad. it. di L. Piccioni, Guida, Napoli 1992;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;
G. Molinaro e M. Pasquarosa, Professazione e commercio della lana: ruolo dei luoghi pii e dei locati di Capracotta nel XVIII secolo, in AA.VV., Considerazioni sulla transumanza, Ciolfi, Cassino;
N. Paone, La transumanza nel Molise tra cronaca e storia, Iannone, Isernia 1987;
M. Romano, Potere, patrimonio e attività economiche dei Caracciolo di Martina nel primo trentennio dell'Ottocento, in D. Marrara, Ceti dirigenti e poteri locali nell'Italia Meridionale (secoli XVI-XX), ETS, Pisa 2003;
R. Rossi, La lana nel Regno di Napoli nel XVII secolo. Produzione e commercio, Giappichelli, Torino 2007.
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