Su segnalazione di Pasqualino Potena, ho tentato di studiare la "pietra parlante" che giace, apparentemente abbandonata, al termine di via S. Giovanni, lì dove il civico 93 cede il passo al primo numero di via Maiella, a due passi dalla monumentale fontana della «nettezza, salute e civiltà». In quello spazio, oggi desolatamente vuoto, vi era un tempo un arioso palazzo ch'è stato abbattuto dalla furia nazista nel novembre '43. La famiglia che lo abitava emigrò oltreoceano, per cui l'edificio, nel dopoguerra, non venne ricostruito.
La pietra in questione, dicevo, è chiaramente un architrave e probabilmente era quella del portone principale del palazzo in questione. Sulla facciata a vista sono incisi quattro caratteri, il secondo dei quali è oggettivamente insolito. A mio avviso, però, rappresenta il numero 7, motivo per cui quella scolpita potrebbe essere una data: 1700. Non è da escludere che, al di sopra dell'architrave, vi fosse un'altra pietra lavorata recante lo stemma di famiglia.
Questo significherebbe che il palazzo demolito nel 1943 era stato edificato due secoli e mezzo prima, al termine di quel processo che, a partire del XVI secolo, aveva portato l'urbanizzazione di Capracotta, stretta tra le mura della Terra Vecchia, ad estendersi a sud verso la Chiesa di S. Antonio di Padova, ad ovest verso la Chiesa di S. Maria delle Grazie, ad est verso la Chiesa di S. Antonio Abate, e a nord verso la Chiesa di S. Giovanni Battista. Il nostro edificio del 1700 potrebbe allora rappresentare il culmine dell'espansione a settentrione.
Chiaramente, la mia è una semplice supposizione, per cui ben vengano ulteriori riflessioni in merito a questa pietra che tutti possono ammirare dopo una passeggiata nel cuore del rione di S. Giovanni.
Francesco Mendozzi