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Carlo Passaglia e padre Vincenzo, tra modernità e ortodossia


Carlo Passaglia
Il teologo Carlo Passaglia (1812-1887).

Il presbitero lucchese Carlo Passaglia fu teologo e politico di formazione gesuitica, fu un editore indipendente e un ideologo incendiario in un'Italia che stava vivendo - non senza traumi - un tortuoso processo di State building. Passaglia è infatti celebre per il suo "Pro caussa italica ad episcopos catholicos", sorta di memorandum (pubblicato anonimo) nel quale invitava il pontefice Pio IX a rinunciare al potere temporale al fine di facilitare l'Unità d'Italia. Appare evidente che il Passaglia vada inscritto nella ristretta cerchia del cattolicesimo liberale - Gioberti, Manzoni e Rosmini per citare alcuni esponenti di spicco -, personalità e intellettuali che auspicavano e teorizzavano una convergenza tra la democrazia parlamentare e il cristianesimo, prima che questo producesse un'ideologia sociale o assumesse una precisa collocazione politico-partitica.

L'opuscolo di Carlo Passaglia, datato 1861, scatenò un vero e proprio putiferio tant'è che fu sospeso a divinis - per cui depose l'abito ecclesiastico - e costretto a fuggire da Roma, città nella quale insegnava teologia dogmatica presso il Collegio Romano. Riparatosi a Torino, venne nominato dal governo piemontese professore di filosofia morale nell'università cittadina e pubblicò, sempre sotto una coltre di anonimato, altri quattro pamphlet nei quali rivendicava la sua teoria contro il potere temporale del papa, affermandosi definitivamente nell'élite del clero liberale italiano. Le tesi del Passaglia erano celebri soprattutto perché venivano firmate da schiere di laici e di religiosi: in una di queste compare la sigla di Vincenzo Conti, «Canonico della Collegiale Chiesa di Capracotta, Diocesi di Trivento». Il sostegno del Conti mi appare sorprendente non tanto per la generica adesione alle tesi antipapiste di Passaglia quanto per la sua specifica battaglia del 1875-80, quella sul divorzio.

Il primo Stato della penisola italiana a prevedere nella propria legislazione l'istituto giuridico del divorzio fu proprio il Regno di Napoli durante la parentesi napoleonica di Gioacchino Murat. Il "Code civil des Français", promulgato nel Meridione nel 1809, consentiva infatti il divorzio consensuale, per il quale occorreva il placet non solo dei genitori dei coniugi ma anche dei nonni! Farraginoso com'era, l'iter del divorzio napoletano/napoleonico rimase praticamente inusitato, tanto che Benedetto Croce, nelle sue ricerche storiografiche sul Regno di Napoli, riuscì a contarne appena tre casi. Il divorzio era moralmente riprovevole e pubblicamente stigmatizzato, e persino i giudici che si trovavano a dirimere cause del genere, il più delle volte facevano in modo di non insolentire il clero, cercando vie alternative al divorzio.

L'opuscolo anonimo del Passaglia.

In base a quanto riportato dal Corriere di Roma del 1881, sembra che il canonico Vincenzo Conti avesse firmato proprio quell'indirizzo del Passaglia, cui seguì, il 23 novembre, una pubblica ritrattazione. A sua umile discolpa, Conti sosteneva di aver firmato la tesi credendo che fosse una supplica al Santo Padre, «e non un'offesa, così è vissuto sino al giorno di oggi, quando è stato avvertito che un tale atto fu interdetto dalla Sacra Congregazione con censura». Atterrito dalle teorie divorziste, il Conti, «col più intimo dolore del suo animo, si protesta a' pie' dell'Onnipossente Dio, ed ai piedi del Sommo Pontefice Leone XIII, che lui per mero errore s'indusse a firmare l'indirizzo in parola, ma non a recare oltraggio alla Santa Sede, alla quale giura credenza e fedeltà». A rileggerla oggi, la ritrattazione del Conti sembra un patetico tentativo di rappacificarsi con la Chiesa per motivi terzi, forse legati alla sua carriera ecclesiastica.

Insomma, il destino volle che il canonico capracottese Vincenzo Conti chiese apertamente scusa alla Chiesa di Roma per quell'avventata presa di posizione. Del pari, Carlo Passaglia, diventato deputato del Regno d'Italia e riconciliatosi anch'egli con la Chiesa, morì a Torino sei anno dopo. Il divorzio, invece, divenne legge dello Stato soltanto il 1° dicembre 1970, dopo quasi un secolo di battaglie e di abiure.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • V. Conti, Pubblica ritrattazione, in «Il Corriere di Roma», Roma 1881;

  • B. Croce, Il divorzio nelle province napoletane: 1809-1815, in «Scuola Positiva», I:11-12, Napoli, ottobre 1891;

  • E. De Troja, Anna Franchi: l'indocile scrittura. Passione civile e critica d'arte, Firenze University Press, Firenze 2016;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016.

  • C. Passaglia, Pro caussa italica ad episcopos catholicos, Le Monnier, Firenze 1861;

  • H. Ullrich, La campagna per il divorzio nella Napoli inizio secolo e l'atteggiamento di Benedetto Croce, in «Rivista di Studi Crociani», VII:12, Napoli 1970.

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