La prima attestazione documentale su Capracotta viene fatta risalire al 1040, allorché Gualtiero Borrello, signore di Agnone e delle relative pertinenze, donò al monastero benedettino di S. Pietro Avellana l'agro del versante nord, tra Vallesorda e Monte Capraro, in quell'area compresa tra la Spogna, la sorgente del Verrino, e il "castello" di Capracotta, che venne dunque escluso dalla suddetta donazione. Gli studiosi sostengono che a cavallo dell'anno Mille i Borrello caratterizzarono e dominarono i «più aspri territori del medio corso del fiume Sangro e in quelli dell'Aventino, del Volturno e dell'alto Trigno, tra l'Abruzzo e il Molise. Territori questi sui quali a suo tempo si erano insediati i Borrello investiti da principi di Benevento, facendone un piccolo regno che, pur vassallo di quei signori, fu incredibilmente indipendente, al punto che in qualche occasione li avversò apertamente».
Allo stato attuale, grazie alla sterminata bibliografia contenuta nel primo volume della "Guida alla letteratura capracottese", si può affermare che il primo documento sul quale compare il territorio di Capracotta risale invece al 964, quasi un secolo prima della celebre ed inflazionata data del 1040. Fu padre Giovanni Vincenzo Ciarlanti (1600-1653) a riscoprire quel manoscritto nel 1644 ma fu Gottfried Wilhelm von Leibniz (1646-1716) a dargli la giusta eco, quando nelle sue "Gesammelte Werke" apparvero gli annali conservati presso la Biblioteca di Hannover, tra cui il 29° foglio dell'anno 964, quello che a noi interessa. In quell'anno, infatti, il territorio di Capracotta si trovò nel mezzo della nuova spartizione del Sannio operata dai principi longobardi Landolfo III e Pandolfo Capodiferro: il primo si aggiudicò il versante tirrenico di Isernia, il secondo quello adriatico di Bojano e Agnone. Monte Capraro si poneva dunque sul confine tra le due zone, tanto che il documento in questione recita:
De prima parte a vertice de monte Mateso et directe per ipse serre in vertice de monte Joanniprande. Et deinde quomodo venit in serra de colle Petroso silve ipse aque per eadem loca discurrentes, alie contra predictam Ysernie et alie contra Boclanu, et abinde, quomodo incipitur ipse mons, qui est super vallem Frigidam, et silva vadit per verticem ipsius montis usque in Maccle, qui dicuntur de Godini. De secunda parte a Maccle, qui dicuntur de Godini, usque in fluvio, qui dicitur Trinio majore, et deinde in serra de monte Capraro, ubi ficta fuit ex antiquitus columna marmorea, que finis fuit de jam dicto comitato Ysernino, et deinde, quomodo pergit ipsa serra de jam dicto monte Capraro, et pervenit in monte Rendenaro, et vadit usque in Salectu, ubi similiter ex antiquitus ficta fuit columna marmorea, que finis fuit de jam dicto comitatu, et abinde, quomodo vadit in fluvio Sangro.
Il suddetto codice longobardo ci racconta come «la prima parte del confine andava dalla cima del Matese direttamente verso la vetta del Gianipero. E da quei boschi giungeva a Castelpetroso, seguendo varie colline rocciose, dopodiché un ramo si dirigeva verso la succitata Isernia e un altro verso Bojano, e da lì, punto di partenza della montagna stessa, al di sopra di Valle Fredda, percorreva la parte superiore di Macchiagodena. La seconda parte del confine, da Macchiagodena seguiva il Trigno e, di conseguenza, procedeva verso Monte Capraro, dove nei tempi antichi c'era una colonna di marmo che definiva i termini della contea d'Isernia; quindi continuava oltre il suddetto Monte Capraro per giungere al Vallone Molinaro [Rendinara] e infine scendere a Saletto, dove similmente si favoleggia che in tempi antichi ci fosse un altro pilastro marmoreo a indicare i limiti della succitata contea, che in seguito correvano sul Sangro».
Molti di Voi sapranno che sono il massimo propugnatore dell'ipotesi sulla fondazione romana di Capracotta (qui) e questo frammento, a mio avviso, ne rafforza tutta la suggestione. Dico ciò perché quando l'autore del manoscritto sostiene che sul Monte Capraro «ficta fuit ex antiquitus columna marmorea», probabilmente si riferisce a un periodo storico di molto antecedente al 964, inquadrabile nell'antichità tardo-romana e non in quella barbarica. A maggior ragione l'utilizzo di colonne in marmo, poste sul vertice del Monte Capraro a Capracotta e a Castel del Giudice, sul sito del Santuario della Madonna in Saletta (o Salcito?), rimanda alle croci di vetta che il cristianesimo eresse un po' ovunque sulle cime europee a mo' di benedizione, dato che la Bibbia cita, deprecandolo, il culto reso agli idoli pagani sulle montagne, denominate "luoghi alti". Evidentemente la croce di legno, simbolo del Redentore, ha sostituito nei secoli la colonna di marmo, simbolo di Roma, operando quella rifunzionalizzazione e quella sostituzione di valori che ho indicato come preminenti nell'articolo sulla fondazione romana di Capracotta.
Se i Romani estinsero i Sanniti, abbattendo i loro pochi manufatti o mutuandone il significato, lo stesso fecero i cristiani a danno dei Romani, demolendo ogni simulacro pagano o cambiandone il valore in chiave monoteistica. Ed ecco perché la favoleggiata colonna marmorea di Monte Capraro va ad aggiungersi alle prove in favore della fondazione romana di Capracotta e dei centri limitrofi, nati forse per ossessionare gli ultimi Sanniti restii a chinare la testa di fronte alla grandezza di Roma; quegli stessi centri che, con l'arrivo dei Longobardi, furono trasformati in castelli, ovvero borghi cintati sulle alture appenniniche.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
H. Bloch, Monte Cassino in the Middle Ages, vol. I, libro I, Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1986;
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L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Antoniana, Ferentino 1931;
G. V. Ciarlanti, Memorie historiche del Sannio, chiamato hoggi Principato Ultra, Contado di Molisi, e parte di Terra di Lavoro, Provincie del Regno di Napoli, Cavallo, Isernia 1644;
N. M. Cimaglia, Illustrazione di un diploma di Oderisio Conte dato alla badia di S. Giovanni in Verde nell'anno 1068, Napoli 1780;
J. F. Du Clot de la Vorze, La Bibbia sacra, difesa dalle accuse degl'increduli, Foresti, Brescia 1822;
A. Ferrari, Feudi prenormanni dei Borrelli tra Abruzzo e Molise, Uni Service, Trento 2007;
E. Gattola, Historia Abbatiæ Cassinensis per sæculorum seriem distributa, libro I, Sebastianum Coleti, Venetiis 1733;
G. W. von Leibniz, Annales Imperii Occidentis Brunsvicenses ex codicibus Bibliothecæ Regiæ Hannoveranæ, vol. III, in Gesammelte Werke, libro I, Pertz, Hannover 1846;
J. M. Martin et al., Registrum Petri Diaconi, vol. III, École Française de Rome, Roma 2015;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;
P. Settefrati, La storia di S. Pietro Avellana dall'anno 1026 all'anno 1727, Grafikarte, Roma 2003;
F. Valente, Croci stazionarie nei luoghi antichi del Molise, Regia, Campobasso 2012.