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Emigrazione italiana in Argentina


L'inaugurazione del "Monumento al Inmigrante" a Manogasta in Argentina nel 1970.

Alla fine del XIX secolo l'Argentina si era organizzata come Repubblica. Dopo la "Conquista del Deserto", comandata dal Generale Julio A. Roca, la Nazione aveva ottenuto, grazie alla sconfitta degli indiani d'America, una superficie di circa 1.300.000 kmq., ovvero un territorio equivalente a quasi quattro volte l'Italia. Secondo il Censimento del 1869 l'Argentina era il paese più spopolato d'America: un abitante ogni 2 kmq.

Occorreva quindi popolare questi estesi e vasti territori e manodopera per lavorare la terra. I suoi pensatori politici (Alberdi e Sarmiento) sostenevano che «governare è popolare» e suggerivano di ricorrere all'immigrazione europea. Dicevano: «L'Europa ci darà il suo nuovo spirito, le sue abitudini industriali, le sue pratiche di civilizzazione tramite l'immigrazione che ci ha inviato. Vogliamo trapiantare in America la libertà inglese, la cultura francese, la laboriosità dell'uomo europeo? Prendiamo parti vive di queste nelle abitudini dei suoi abitanti e piantiamole qui. La pianta della civilizzazione non si diffonde dai semi. È come la vigna: prende dal grappolo».

La carta costituzionale apriva l'immigrazione «a tutti gli uomini del mondo di buona volontà che volevano vivere in terra argentina».

All'inizio del XX secolo l'Argentina era la terra del benessere, era il "granaio del mondo", esportava carni e cereali in Europa. Nutrì il Vecchio Continente durante la Prima guerra mondiale. A Buenos Aires si costruirono palazzi ad opera di architetti e con progetti importati dalla Francia.

Contemporaneamente, in questa stessa epoca ci fu una crisi generale in Europa ed in particolare in Italia. L'Italia espelleva i suoi figli e l'Argentina li invitava e li accoglieva per i motivi detti precedentemente.

Si emanò la legge 876 dell'immigrazione, attraverso la quale si offriva gratis il biglietto per la nave, in terza classe. Si designarono in Europa agenti speciali che fomentavano l'emigrazione verso l'Argentina. Si consigliavano gli interessati e gli si offriva accoglienza ed alloggio «all'Hotel degli immigranti» al porto di Buenos Aires, assistenza medica e li si orientava alla ricerca del lavoro. In alcune zone gli si consegnavano gratis lotti di terre. All'interno si crearono uffici di immigrazione per aiutare gli ultimi arrivati. In poche parole gli si concessero gli stessi diritti civili dei nativi.

Fino al 1891 l'Argentina fu il paese che ricevette più emigranti. Tra il 1891 e 1895 il Brasile capitanò la lista dei paesi accoglienti grazie al raccolto del cacao. A partire da allora gli Stati Uniti d'America rappresentarono la meta preferita dagli italiani. L'Argentina ricevette più di 4.000.000 di italiani e tutti portarono la loro scienza, la loro arte, la loro laboriosità lasciando la loro impronta. Nel 1895 la metà degli abitanti di Buenos Aires erano stranieri e mischiarono il loro sangue con la creola (donna nata nell'America centro-meridionale da genitori europei).

Si arrivò a dire che «l'Argentina è la seconda patria degli italiani». «Mi manca solo il sangue italiano per essere un tipico porteño» (Jorge L. Borges). «Gli argentini sono italiani che parlano spagnolo». «Argentina: paese bilingue dove si parla spagnolo ed italiano» (diceva una enciclopedia dell'epoca).

Le navi erano passate dalle vele al vapore, le imbarcazioni erano più grandi, più sicure e più veloci; il tempo di percorrenza del viaggio si accorciò a venti giorni; le compagnie di navigazione desideravano ottimizzare i loro viaggi. Dall'America all'Europa andavano carichi di cereali e carni, e per non ritornare vuoti, cercarono di riempirli con le persone, per questo abbassavano i prezzi dei biglietti transatlantici.

L'Italia, dal canto suo, regolamentò l'emigrazione per darle un canale appropriato e dare sicurezza ai suoi cittadini oltre frontiera.

Nelle città e nei paesi italiani si ricevevano e si leggevano con molta attenzione ed interesse le "lettere d'America", che inviavano ai loro familiari quelli che erano emigrati per primi. Le notizie che si ricevevano dai parenti emigrati suscitavano speranze: «Dal più ricco al più povero tutti vivono di carne, pane e zuppa tutti i giorni e nei giorni di festa tutti bevono allegramente. C'è da mangiare per tutti. Si può uscire a cacciare

con la mano. Qui la gente è così buona che è una meraviglia».

Le partenze dall'Italia furono molto tristi, tanto che la maggior parte degli emigranti non ritornò mai più a trovare i propri cari. Il viaggio oltre l'Oceano non fu esente di difficoltà, malattie ed affondamenti. L'insediamento o la sistemazione in Argentina - come succede nella maggior parte dei casi - non fu facile. Si giungeva in terre sconosciute.

Nostra nonna ci raccontava come era dura la vita a Capracotta, specialmente in inverno, durante il quale si congelavano le tubature dell'acqua o quando nevicava molto si doveva uscire di casa attraverso le finestre del primo piano. Questo, oltre alla crisi dell'epoca, sommato al desiderio di avere un'opportunità, che la patria non ci offriva, più le aspettative che l'America dava, fu ciò che ci motivò ad emigrare verso il Nuovo Continente.

Non abbiamo potuto rilevare la quantità di capracottesi che arrivarono in Argentina. Al contrario fu facile con quelli che arrivarono a Santiago del Estero, in quanto tutti questi si insediarono nello stesso luogo ed insieme: Villa Zanjòn, a sud della capitale.

Tra gli emigranti capracottesi che arrivarono a Santiago del Estero, Argentina, alla fine del XIX secolo c'erano: Bilotti, Borsellino, Carugno, Castiglione, Conti, Di Bucci, Di Luozzo, Di Lullo, Di Nardo, Di Nucci, Di Rienzo, Di Tano, Gianserra, Giuliano, Griffa, Iocca, Labbate, Maranzano, Matteo, Palumbo, Pettinicchio, Santilli, Speciale, Terreri, Trotta, Yanucci, ecc.

A Buenos Aires si insediarono, tra l'altro, Di Rienzo, Sozio e il noto Torquato Di Tella che fondò quella che nella sua epoca fu l'industria argentina più importante: "Siam Di Tella".


Antonio Virgilio Castiglione

 

Fonte: A. V. Castiglione, Emigrazione italiana in Argentina, in «Voria», I:0, Capracotta, aprile 2007.

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