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L'esperienza di un piccolo Comune


Borgotufi
L'albergo diffuso di Castel del Giudice.

Il Comune di Castel del Giudice è un piccolo, anzi piccolissimo comune di 150 abitanti "lordi" - perché di solito ce ne sono anche di meno - tra l'Abruzzo e il Molise, e se guardiamo ai parametri che definiscono le caratteristiche socio-economiche di un territorio, possiamo dire che è un'area interna più interna delle altre. Non è come qui nelle Marche, dove si pone il problema di una riconversione delle aree. Da noi si pone il problema di "creare" un'idea di sviluppo. Noi siamo stati caratterizzati da uno spopolamento storico. I nostri territori sono abbandonati sia dal punto di vista agricolo che umano. Come piccoli comuni ci siamo rimboccati le maniche negli anni scorsi senza avere la presunzione di risolvere i problemi. Non solo io, che ho lavorato negli ultimi cinque anni, ma anche chi mi è intorno e mi ha preceduto è stato animato da vera passione per il destino del nostro paese. E siamo partiti - lo dico facendo così un po' di filosofia - dalle debolezze, cercando di trasformare quello che è oggi un motivo di debolezza in un punto di forza.

Nel 1999 abbiamo cominciato a muovere i primi passi realizzando un piano per le residenze assistite per anziani che mancavano. C'era una legge, l'art.20 della l. 64 - che voi non conoscete ma Franco certamente sì perché la l. 64 è la madre di tutte le agevolazioni del Sud - che prevedeva interventi per l'edilizia ospedaliera. Il Comune, che non ha una vera e propria sede utile se non un teatro, mise la propria bandierina per farne una sede di una residenza sociale assistita. Sempre nel '99 pensammo di utilizzare invece un altro punto di debolezza: avevamo una scuola elementare abbandonata e una scuola materna abbandonata da tempo, dato che oggi abbiamo un servizio di scuolabus verso una scuola in un vicino paese dell'Abruzzo, che rappresentavano un problema economico perché comunque andavano mantenute. Pensammo quindi di riconvertirle e sulla base di questa programmazione teorica lanciammo la sfida alla Regione Molise chiedendo di mantenere queste strutture all'interno della programmazione, ma rifiutando il pack, l'offerta del finanziamento. Nel senso che volevamo che rimanesse il contenuto della programmazione ma provvedendo noi al finanziamento. Questo nasceva dalla consapevolezza che i soldi effettivi non c'erano ma al contempo non volevamo perdere il diritto della programmazione.

Per finanziare l'iniziativa ci venne in mente di chiamare i cittadini a diventarne soci. Quindi il Comune promosse la nascita di una cassa comune e chiedemmo ai cittadini di investire per diventare soci di questa cooperativa; 25 cittadini risposero presente. Usufruimmo anche di un finanziamento agevolato da parte di una banca locale e quindi raggiungemmo un capitale soddisfacente per trasformare la scuola elementare in RSA. Oggi è l'unica struttura del genere nel Molise e occupa stabilmente 22 persone ormai da 15 anni. La scuola materna l'abbiamo trasformata invece in struttura per anziani autosufficienti operando in modo da integrare le due strutture.

Da qui la gente ha cominciato a capire che le proposte che andavamo a fare potevano essere trasformate in realtà.

La seconda marginalità, o debolezza, era per noi quella dei terreni abbandonati, che costituiscono anche un problema idrogeologico. Nel 2000 venne un agronomo del Nord a spiegarci come gestivano i territori montani in Trentino-Alto Adige e ci chiese perché non provavamo anche noi a fare come loro. Grazie alla sua esperienza il Comune costituì una seconda public company a cui aderirono 75 cittadini, distribuiti in più paesi contermini, e alcune imprese. Io come sindaco non chiedo finanziamenti ai privati ma cerco di farmi dare tre-cinque-diecimila euro per sostenere l'avvio dell'attività economica nuova e dico che il loro gesto è importante per questo.

Costituimmo quindi la società "Melise", che significa mela-Molise. Al momento abbiamo quaranta ettari di mele e produciamo mele sia tradizionali che varietà di mele storiche recuperando fino a sessanta varietà molto ricercate dal mercato per la scarsa reperibilità. E la scarsità del nostro mercato locale e l'abbandono dei nostri territori si è trasformato in un vantaggio competitivo.

Gran parte delle nostre mele finiscono in Germania e a Monaco di Baviera, non perché noi siamo più bravi ma perché là apprezzano la qualità del prodotto incontaminato.

L'altro anno avevo ospiti dei tedeschi che erano venuti nel periodo di Pasqua. Considerate che il nostro paese sta poco sotto il paese di Capracotta che è uno dei più alti dell'Appennino, a 1.400 m. e allora c'era ancora la neve e un piccolo ruscello scendeva nella conca dove sono le piantagioni e loro rimasero affascinati dal fatto che quelle mele venivano alimentate dall'acqua derivata dallo scioglimento della neve. Per noi era una sciocchezza, un'ovvietà, ma non per loro... e lì ho capito qual è il vantaggio che noi abbiamo, il valore commerciale su cui possiamo puntare, che è l'ambiente, la genuinità della coltivazione. È per questo che vengono da fuori a prendere il nostro prodotto a prezzi per noi soddisfacenti.

Stiamo adesso puntando anche sul mercato locale e nazionale, verso il mercato di Roma in particolare, cercando un rapporto diretto con il consumatore.

Come occupazione garantiamo 5 persone a tempo indeterminato più 20 persone stagionali per le fasi di maggiore lavorazione.

Terza iniziativa. La marginalità individuata è non solo nell'attività agricola ma anche nell'allevamento, nell'abbandono delle stalle. Caratteristiche dei nostri modi di allevare è che le stalle non erano sotto l'abitazione ma erano concentrate in una zona specifica del centro del paese.

Il progetto è quello di trasformare queste vecchie stalle in un albergo diffuso. Abbiamo dovuto fare una precisa ricognizione per individuare i proprietari degli immobili. Chi stava in Germania, chi in America, chi non si sapeva dove fosse... poi nessuno era in condizione di andare dal notaio a vendere questi immobili per via dei frazionamenti, le comproprietà etc... grazie agli anziani del paese che sapevano tutto delle diverse generazioni, li abbiamo però individuati e convocati tutti in assemblea all'interno della RSA comunale, per dare prova della serietà delle proposte dell'amministrazione comunale. Facemmo una specie di referendum per sapere se la maggioranza dei proprietari era d'accordo nel trasformare la loro proprietà in una struttura ricettiva, con tutti gli impegni finanziari, amministrativi, tecnici che questo comporta. Ricordo che l'80% dei proprietari presenti rispose sì.

Il problema è che questi immobili non potevano essere venduti, quindi abbiamo sfruttato la l. 120 del 2002 che dà la possibilità ai titolari di riqualificare pezzi del proprio territorio a fini urbanistici con un passaggio importante che consente ai comuni di espropriare a vantaggio di un soggetto primario partecipato dal Comune. Quindi noi abbiamo accolto la disponibilità di tutti, abbiamo definito un prezzo da corrispondere ed alla fine abbiamo avviato l'esproprio. In questo caso non abbiamo fatto la public company perché ci siamo accorti che i proprietari non erano disposti ad investire altre risorse e abbiamo pensato di chiamare altri soci investitori accanto al Comune.

Dei 50 immobili da recuperare 25 ne abbiamo ristrutturati e 8 sono in ristrutturazione.

Il Comune ha impegnato in questo progetto tutte le risorse che erano a disposizione a vario livello per le aree interne. Un piccolo comune deve capire che non può sostenere tanti progetti importanti, ma deve puntare su un solo progetto importante capace di dare un futuro alla comunità e concentrare tutte le iniziative in quella direzione. Abbiamo venduto beni per dirottare il ricavato in quell'azione. Tutte le costruzioni sono state ristrutturate seguendo le direttive della Soprintendenza. L'unico spazio nuovo è stato creato ipogeo, sotto la piazzetta del borgo, per realizzare un centro benessere e farci un ristorante dove il qui presente agronomo Menghini ha avuto il piacere di soggiornare.

Questo progetto è partito nel 2003 ed abbiamo aperto il ristorante e il centro benessere quest'anno, da cinque sei mesi. Nei week-end abbiamo diversi clienti. Abbiamo anche una presenza in diversi portali, da Slow Food a Legambiente. Abbiamo altre idee in cantiere come lo sviluppo della convegnistica, la realizzazione di un piano di comunità all'interno del Comune stesso, la riscoperta di altri luoghi abbandonati... Abbiamo creato quindi dei contenitori intorno ai quali abbiamo coinvolto tutta la nostra comunità e tutto il nostro territorio.

Penso che non abbiamo fatto altro che la nostra parte. Nel nostro piccolo abbiamo dimostrato che si può fare, anzi si deve fare, perché non siamo noi il problema principale del nostro governo, e quindi dobbiamo essere noi propositivi, noi presentare delle proposte nella consapevolezza che non siamo un peso ma un'opportunità.

In questo modo ce la possiamo fare.

Per i nostri territori interni il futuro di gioca sulla residenzialità. Noi abbiamo avuto esperienza di un ragazzo che è venuto da Bologna a fare assistenza nella nostra struttura, figli che sono tornati in paese, nuove generazioni... abbiamo tanti altri soggetti che sono disponibili a tornare o ad arrivare se c'è il lavoro.

Quindi bisogna partire dal lavoro se si vuole vincere la sfida del futuro nelle nostre aree interne.


Lino Gentile

 

Fonte: Sguardi nel territorio, in «Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche», XXII:229, Polverigi, Giugno 2016.

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