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La Fonte del Pisciarello, l'oro bianco e l'oro nero


La Fonte del Pisciarello (foto: F. Di Tella).

A nord-ovest di Capracotta, negli ultimi anni, un gruppo di volontari ha recuperato e valorizzato una zona verdeggiante, georeferenziandone l'area, realizzando un sentiero che tocca quattro fonti, costruendo ex novo un tholos e migliorando lo spazio prospiciente la seminascosta Fonte del Pisciarello.

La fontana in questione è protetta a settentrione da una parete rocciosa molto alta, che a primavera dà vita a una scrosciante cascata di oltre 100 metri e che d'inverno, in alcuni casi, ghiaccia, rendendo l'ambiente surreale e offrendo l'opportunità ad arrampicatori e alpinisti di scalarla con corda e piccozza. La Fonte del Pisciarello è posta a 1.322 m.s.m. mentre l'omonima cascata si lancia nel vuoto da 1.457 m.s.m., accarezzando la superficie sassosa del fianco di Colle Cornacchia.

Nei tempi andati intorno a quella fonte vi era assembramento e movimento di manovali che sbarcavano il lunario adattandosi a qualsiasi lavoro in grado di garantire loro entrate supplementari e una più degna sopravvivenza durante i lunghi e rigidi periodi invernali.


La cascata del Pisciarello d'inverno e in primavera.

Applicando le conoscenze acquisite nei lunghi periodi trascorsi in Puglia come garzoni o manovali si procedeva all'estrazione di "oro nero" dalla legna del bosco e di "oro bianco" necessario alla ricostruzione di Capracotta.

Il primo riguardava la produzione di carbone vegetale. Dal bosco circostante si procedeva al taglio della legna e delle fascine necessarie alla costruzione conica del celebre catuózze, da cui estrarre, per ogni 5-6 kg. di legna, 1 kg. di carbone, utilizzato non solo per accendere il caminetto ma anche come regalo nella calza della Befana!

La figura tecnica a più alta responsabilità per la buona riuscita dell'operazione carbinifera era quella del cuocitore, colui che anche per due settimane doveva vigilare affinché la legna all'interno della carbonaia non prendesse fuoco; egli, grazie alla grande esperienza acquisita, controllava quale tipo di fumo usciva dalla bocca del "vulcano" che aveva dinnanzi.

Era suggestivo, soprattutto di mattina, notare una nebbiolina stratificata e azzurrognola che diffondeva un caratteristico odore di bruciato capace di inebriarti a partire dalle narici...


La tipica carbonaia realizzata dai capracottesi.

Necessari alla ricostruzione di Capracotta furono però anche la breccia, il brecciolino e la pietra bianca porosa: i primi due si ottenevano spaccando le pietre della costa rocciosa e poi martellandole ritmicamente con la mazzetta, mentre l'ultima la si otteneva dalla costruzione della calcàra, edificata sul posto, al cui interno si mettevano a cuocere le pietre per ottenere la calce viva. Anche questa operazione durava circa due settimane e avveniva anch'essa sotto la supervisione di un cosiddetto cuocitore.

Il prodotto finale era molto leggero, con le sembianze d'una normale pietra di colore bianco ma che, a contatto con l'acqua, sprigionava vapore e schizzi - pericolosissimi per gli occhi - e che veniva impropriamente chiamata "calce spenta". Appena dopo la guerra furono messe in opera molte calcàre a Capracotta: oltre a quella del Pisciariéglie ne furono realizzate a re Cuasìne, alla Fundióne, alla Uardàta, a Piéŝche Bertìne, alla Macchia e a Uàŝtra.

Per quanto riguarda la Fonte del Pisciarello possiamo affermare che non vale il celebre detto "non si può cavar sangue dalle pietre" perché, nel bene e nel male, queste sono in grado di sprigionare calore e causare brucianti scottature!

Il duro lavoro svolto dai nostri genitori non è riconosciuto e apprezzato dalle nuove generazioni, anzi, nei loro volti traspare un sorriso imperturbabile e distaccato. Noi, che quella vita l'abbiama sfiorata appena, li rispettiamo perché siamo il prodotto dell'infanzia che abbiamo vissuto.


Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.

[S. Quasimodo, "Ed è subito sera", 1930]


Filippo Di Tella

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