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La Repubblica napolitana e l'Alto Sannio


Repubblica Napoletana
S. Della Gatta, "La distruzione dell'albero della libertà a largo di Palazzo", 1800, olio su tela.

La Repubblica napolitana è quella parentesi statuale che si viene a instaurare a Napoli, dal gennaio al giugno 1799, in seguito alla vittoriosa prima campagna d'Italia di Napoleone.

La conquista della Penisola, infatti, rappresenta per Napoleone l'inizio di un cammino trionfale. Nel marzo del 1796, dopo l'uccisione del sovrano Luigi XVI, la nuova Francia rivoluzionaria viene attaccata dalle monarchie europee. Le truppe transalpine si dirigono in Germania per lo scontro decisivo ma il governo francese invia una modesta armata anche in Italia: circa 30.000 uomini, mal equipaggiati, alla cui guida c'è il giovane Napoleone Bonaparte, pronto a cogliere questa grande occasione.

Tra il luglio 1796 e il febbraio 1797 l'esercito francese in Italia sconfigge Austriaci e Piemontesi, conquistando Milano e la Lombardia. Napoleone, non pago, valica le Alpi, minacciando persino Vienna. Il 17 ottobre 1797, col trattato di Campoformio, la Francia si annette la Lombardia ma cede Venezia e il Veneto agli Austriaci, causando il risentimento di molti patrioti italiani.

Ha così inizio un effetto a catena in tutti i regni e ducati italiani, che si ribellano agli Austriaci, con la formazione di repubbliche anche in Liguria, in Emilia Romagna e a Roma, dove papa Pio VI è costretto ad abbandonare la Santa Sede. Le truppe francesi arrivano fino a Napoli, dove, accendendo le passioni degli illuministi meridionali, danno vita alla Repubblica napolitana.

La capitale partenopea, che fin dal 1793 conteneva molti dei germi rivoluzionari, proclama la repubblica dopo che la disfatta di Civita Castellana, coi borbonici costretti alla ritirata davanti all'esercito francese guidato da Jean Étienne Championnet (1762-1800), aveva costretto il conte Francesco Pignatelli - vicario del re, visto che questi era fuggito a Palermo - a concludere il pesante armistizio di Sparanise: a molti liberali meridionali quella sembra l'occasione giusta per instaurare una repubblica sul modello rivoluzionario francese, nella quale le istanze illuministe possano finalmente trovare applicazione concreta.

Detta Repubblica, però, nasce non prima dell'aspra guerra civile scoppiata tra controrivoluzionari sanfedisti e rivoluzionari filofrancesi, terminata con l'affermazione dei secondi, e vive un'esistenza travagliata, probabilmente a causa della scarsa adesione del ceto popolare a quegli ideali rivoluzionari d'importazione che hanno invece infiammato le élite intellettuali.

Nel breve lasso di tempo in cui la Repubblica napolitana esiste, Championnet emana una serie di proclami, editti, sanzioni ed inviti, che vanno a modificare effettivamente l'organizzazione statale dell'ex Regno di Napoli, tra cui la legge «concernente lo stabilimento e la distribuzione de' Cantoni del Dipartimento del Sangro», firmata il 2 piovoso dell'anno VII che, nel nuovo calendario rivoluzionario, corrisponde al 21 gennaio 1799.

Championnet decide di dividere quel territorio in 16 cantoni: Lanciano, Ortona, Palena, Atessa, Pescocostanzo, Castel di Sangro, Agnone, Baranello, Campobasso, Riccia, Trivento, Larino, Termoli, Serracapriola, Dragonara e Vasto. I comuni dell'Alto Sannio sono compresi tutti tra il 6° cantone, quello di Pescocostanzo, e l'8°, quello di Agnone, oltre a quello di Trivento, il 12°.

A quel punto il «cittadino Aniello Nobile» compendia, con pressapochismo, il decreto rivoluzionario in una collezione, tant'è che nel sesto cantone inserisce «Pesco Costanzo, Revisondoli, Pietrabondante, Petranzieri, Colleangelo, Giuliopoli, Roscello, Civita Borrella, Civita Luparella, Buonanote, Fallo, Monte Negro, Monte Lapiana, Quadri, Gambarelle, Pizzo Ferrato e Pietra Ferrazzana».

Nel settimo cantone include i comuni di «Castel di Sangro, Alfidea, Monte Nero, Acquasparta, Malacocchiara, S. Pietro, Castel delli Giudici, Campo di Giove, Crudoli, Rocca di Cinque Miglia, Rocca del Raso, Rimogna, Scontrone, S. Angelo, Valle Varrea, Civitella, Varrea, Rocca Tramonti, Opi e Peschio Asserole».

Nell'ottavo cantone figurano i centri di «Agnone, Pescopignataro, Belmonte, Castelluccio, Cacavere, Begnuolo, Torella, Civitavecchia, Molise, Fusolone, S. Angelo in Grottola, Pescolanciano, Civitanuova, Chiavici, Castiglione, Carovilli e Vastogirardo».

Infine Aniello Nobile inserisce nel dodicesimo cantone i comuni di «Trivento, S. Biase, Salcita, Peselatura, S. Salvatore, Castel Guidone, li Schiavi, S. Giovanni in Verde, Castiglione, G. di Jonata, Guardia Bruna, Torre Bruna, Monte Ferrante, V. M. S. Civitella del Conte, Colle di Mezzo, Baselice, Rocca Spinalberto, Fraino, Celenza di Trigno, Acqua Borrara e Rocca Vivara».

Data la storpiatura dei toponimi, c'è da credere che nella raccolta del Nobile siano presenti molti refusi di stampa ma è altrettanto sicuro che alcuni comuni mancano all'appello, primo fra tutti Capracotta e poi Forlì del Sannio, Roio del Sangro o Villa S. Maria.

Capracotta probabilmente non ha partecipato, o lo ha fatto in minima parte, al fervore rivoluzionario del 1799. Luigi Campanelli scrive che «quel nascente entusiasmo fu presto ammorzato presso il popolo, già di per sé scettico per l'antico e perseverato servaggio».

Lo storico Alfonso Perrella, con riferimento al cosiddetto Albero della Libertà – elemento tangibile e simbolo supremo degli ideali rivoluzionari –, evidenzia poi che «in Capracotta non si ha memoria certa che si fosse piantato».

A ciò aggiungiamo che la trascuratezza storiografica con cui Aniello Nobile confeziona nel 1799 la sua raccolta di editti sembra rispecchiare lo spirito con cui Capracotta prende parte alla Rivoluzione francese, uno spirito pressoché nullo.

Il maggior contributo che la nostra cittadina apporta agli eventi del 1799 sta tutto nella persona di Maria Angela Rosa de Riso (1760 ca.-1815), duchessa di Capracotta, una donna modernissima, dal raffinato gusto estetico, che partecipa e organizza i salotti intellettuali nei quali l'illuminismo partenopeo cerca con urgenza un'applicazione concreta.

Tuttavia, all'indomani della caduta della Repubblica, avvenuta il 13 giugno 1799 dopo la riconquista del cardinale Fabrizio Ruffo, la duchessa Mariangela, disperata e impaurita, è costretta a riparare in modo rocambolesco a Parigi dove, inizialmente «priva di mezzi [e] faceva debiti da per tutto», riceve finalmente un sussidio dal governo napoleonico di 200 franchi mensili.

La vita della duchessa di Capracotta prosegue tra alti e bassi fino alla sua morte, sopravvenuta il 9 dicembre 1815 proprio a Parigi, capitale eletta di ogni uomo libero, di ogni vero citoyen du monde, in un'Europa che sta per inabissarsi nella Restaurazione.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • C. Albanese, Cronache di una rivoluzione. Napoli 1799, Angeli, Milano 1998;

  • B. Croce, Varietà di storia letteraria e civile, Laterza, Bari 1935;

  • M. D'Ayala, Napoli nel terrore: 1799-1800, in «Nuova Antologia di Lettere, Scienze ed Arti», XCV:174, Roma, settembre-ottobre 1901;

  • C. De Nicola, Diario napoletano, vol. I, Pierro, Napoli 1906;

  • M. A. Macciocchi, Cara Eleonora. Passione e morte della Fonseca Pimentel nella Rivoluzione napoletana, Rizzoli, Milano 1993;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. I, Youcanprint, Tricase 2016;

  • A. Nobile, Proclami, leggi, editti, sanzioni, ed inviti così del generale in capo Championnet, vol. I, Nobile e Bisogno, Napoli 1799;

  • A. Perrella, L'anno 1799 nella Provincia di Campobasso. Memorie e narrazioni documentate con notizie riguardanti l'intiero ex Regno di Napoli, Majone, Caserta 1900;

  • A. M. Rao, Esuli. L'emigrazione politica italiana in Francia: 1792-1802, Guida, Napoli 1992.

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