Un giorno, mentre mettevo ordine tra i libri letti, mi sono imbattuto in una cartina del territorio di Capracotta che illustra le ricorrenze più importanti e l'andamento della popolazione nel corso degli anni. Tra queste mi ha colpito una data: "VIII secolo - nascita di Capracotta da parte dei Longobardi".
E allora mi sono chiesto:
– Chi sono i Longobardi?
– Da dove venivano?
– Che hanno fatto?
– Perché sono scomparsi?
Mi sono messo alla ricerca di libri che chiarissero qualcosa sui miei dubbi. Questo è quello che ho trovato. La nostra storia viene da molto lontano...
I Longobardi facevano parte del regno dei Barbari, popoli che stavano al di là dei confini fortificati (limes) degli antichi Romani, costituiti dal Danubio e dal Reno. I Longobardi avevano capelli lunghi e biondi, occhi chiari, barba folta e lunga e si rapavano solo la nuca. Sopra gli stivali portavano pelli di capra e le loro capanne erano miseramente arredate, anche in terra avevano pelli di capra. Il loro nome deriva dal fatto che portavano la barda, una lunga ascia che era la loro arma di combattimento.
Si dedicavano alla pastorizia (adoravano le capre) e al saccheggio e non avevano nessuna nozione di agricoltura. La vita sedentaria li affamava. Da tempo avevano messo gli occhi sulla penisola italiana.
Erano divisi in tribù, anarchici e nomadi con al comando un duca che era un guerriero distintosi al fianco del re. Inizialmente erano ariani, poi convertitisi alla religione cristiana; la fede per loro era l'alibi dal saccheggio e dai genocidi.
Alcuni storici raccontano che inizialmente si chiamavano Willini e la loro storia sarebbe cominciata qualche secolo avanti Cristo, partiti dalla Svezia meridionale e, da qui, migrati nel continente europeo. La loro origine è comunemente accettata dalla storiografia moderna.
Nel corso dei secoli i Longobardi ebbero grandi sovrani come: Autari, Alboino, Agilulfo, Teodolinda, Rotari, Grimoaldo, Liutprando, Astolfo, Desiderio, Tatone. Quest'ultimo ha un nome particolare perché nel nostro territorio significa, in dialetto, "nonno". Tatone era figlio di Cleffi e nipote di Gedeoc. Secondo il costume barbarico Alboino fece bere la moglie Rasmunda dal teschio del padre Cunimondo, vecchio re dei Gepiti. Rasmunda bevve ma gli giurò atroce vendetta facendolo uccidere dal suo amante.
Nel 568 si spostarano dalla Pannonia, l'attuale Ungheria. La Pannonia era stata loro donata da Giustiniano per contrapporli ai turbolenti e pericolosi Gepiti, poi sconfitti dai Longobardi. Questi ultimi si trovarono come vicini gli Avari e il vicinato cominciò a rendersi impossibile fin dai primi giorni. Questo spinse i Longobardi a cercare una nuova sede e perciò arrivarono in Italia, meta costante delle invasioni barbariche, attraverso il Passo del Predil sulle Alpi Giulie. L'Italia infatti non offriva grandi difficoltà a chi voleva conquistarla. Cividale del Friuli fu la prima città sede del Ducato, con Gisolfo a capo.
Nel 571 attraversarono gli Appennini e istituirono il Ducato di Spoleto e Benevento (il primo duca di Benevento fu Zottone) che, insieme a quello del Friuli, godevano di una posizione di preminenza, cercando di essere autonomi. Nel corso dei loro pellegrinaggi il loro ceppo originario si sarebbe contaminato. Dopo, nel 574, 36 duchi, secondo Paolo Diacono, loro storico, si unirono tra di loro (di questi ducati non si sapeva con precisione quanti fossero) ed elessero re Autari (figlio di Clefi) che stabilì che ogni duca cedesse al nuovo re il 50% delle proprie terre. Autari prese il nome di Flavio.
Ordinamento del regno longobardo
A capo della nazione longobarda vi era un re.
Il regno era diviso in ducati che in origine si crede fossero 36, retti da duchi che eleggevano il re, amministravano la giustizia e comandavano l'esercito. Avevano proprie corti e guerrieri (gasindi).
Oltre ai duchi vi erano i gastaldi. Questi ultimi amministravano i beni della Corona. Erano veri e proprio ufficiali regi. Avevano potestà civile, giudiziaria e militare.
La società dei Longobardi era divisa in uomini liberi e non. I primi erano costituiti dagli arimanni, grossi proprietari di terre, dai paupers, proletari, e infine i liberi homines, piccoli proprietari di terre.
I non liberi erano gli aldii, personalmente liberi ma legati alla terra - che non potevano vendere - e che dovevano pagare ai padroni una parte dei prodotti per prestare certi servizi. Sotto di loro vi erano i massarii, i coltivatori di fondi. Sotto a questi i servi ministeriali che esercitavano vari mesteri e, in fondo a tutti, i servi rusticani, addetti a lavori campestri.
Sopra agli uomini liberi e non liberi vi erano i nobili.
La società longobarda era governata tramite consuetudini. Con l'editto di Rotari si misero per iscritto alcune consuetudini tramandate oralmente e ne vennero aggiunte altre istituite da altri re.
L'estensione maggiore era data dal diritto penale. La vendetta di sangue, la faida, che si tramandava fino alla settima generazione, venne sostituita dalla composizione, cioè da un compenso pecuniario che il reo era tenuto a corrispondere al danneggiato o ai parenti.
La pena di morte era limitata al regicidio, la diserzione, il tradimento e l'uccisione del marito.
Per l'uccisione di una donna libera era prevista una multa di 1.200 solidi, metà dei quali andava al re. Ma anche i servi avevano un prezzo: 60 solidi per l'uccisione di un aldio, 50 per un servo ministeriale e 20 per un servo rustico.
Poiché i servi non avevano personalità giuridica, la multa andava al beneficio del padrone e su esso ricadeva la responsabilità pecuniaria per reati commessi dai servi.
L'editto era più severo con i ladri o i servi fuggitivi. Il ladro era tenuto a pagare il novigildo, cioè 9 volte il valore dell'oggetto rubato; la stessa pena era inflitta al ricettatore. Pene severe vi erano anche per i fuggitivi e per quelli che davano loro ospitalità.
Erano contemplati reati contro la proprietà campestre e disposizioni che riguardano la vita di animali, la caccia e la pesca.
Caposaldo del diritto civile longobardo era il mundio, o tutela. Il figlio divenuto atto a portare armi poteva uscire dalla tutela e costituire un'altra famiglia. Chi non poteva mai uscire della tutela era la donna, che passava dal padre, o dai fratelli, a quella del marito, ma occorreva che il marito ne pagasse il prezzo. Veniva stabilita la dote che il fidanzato assegnava alla sposa e il regalo che il padre faceva alla figlia per il matrimonio. Tra la promessa e il matrimonio non potevano passare più di 2 anni, trascorsi i quali il fidanzamento era sciolto e il fidanzato perdeva la dote, che aveva quindi valore di caparra.
L'editto regolava anche le donazioni, che non potevano essere fatte né da donne né da servi ma solo da uomo libero in possesso di diritti civili.
Avevano invece diritto alla successione i parenti non oltre il 7° grado, in mancanza di essi entrava come erede il re. Eredi del padre erano tanto i figli legittimi quanto i naturali. Questi ultimi ereditavano in misura inferiore rispetto ai legittimi. Le donne erano escluse dall'eredità e vi potevano partecipare solo in mancanza di figli maschi e in concorrenza coi parenti più stretti e coi figli naturali.
La procedura giudiziaria confermava le antiche consuetudini longobarde. La legge longobarda ammetteva due tipi di prove: il giuramento e il duello. Il giuramento veniva fatto sui Vangeli o con armi consacrate mentre il duello ricorreva quando era in gioco l'onore personale.
I servi potevano acquistare la personalità giuridica per mezzo delle manomissioni, migliorando la propria condizione, passando ad un grado più alto e acquistando la cittadinanza. La manomissione fatta dal re dava al servo l'assoluta libertà.
Si è discusso a lungo se l'editto di Rotari, sebbene abbia un carattere essenzialmente germanico, risenta tuttavia dell'influenza del diritto romano applicato indistintamente a tutti i sudditi, longobardi e italiani.
Dall'editto di Rotari si evince quali fossero le condizioni della donna e quelle della povera gente ridotta in schiavitù per un nonnulla, senza neanche la possibilità di fuggire. Secondo il mio pensiero è un documento che trasuda barbarie e superstizione.
Con l'istituzione dei ducati furono spazzati via gli ultimi residui di aristocrazia senatoriale romana, i pochi che sopravvissero alle purghe furono fatti schiavi e i loro beni confiscati. Papa Paolo, per paura di restare solo, chiese aiuto a Pipino, che aveva due figli. Uno era Carlo Magno, che alla caduta di Pavia longobarda assunse il titolo di re dei Franchi e dei Longobardi. Organizzò il regno sul modello franco, creando delle contee con a capo i conti al posto dei duchi. Confermò alla Chiesa i territori che il padre Pipino aveva promesso e vi aggiunse, a titolo personale, i ducati di Venezia, Istria, Spoleto e Benevento (questi ultimi appartenevano ancora ai Longobardi o ai Bizantini).
Circa le donazioni fatte al papa molti storici negano l'autenticità di questo racconto.
Il papa diventò così padrone di ⅔ dell'Italia, ad eccezione del Piemonte, della Lombardia, della Calabria e di parte del Napoletano. Il potere temporale del pontefice avrebbe prodotto poi lo stato della Chiesa.
Capracotta fu fondata dai Longobardi (scandinavi e germanici). Non mancarono alcuni elementi avari di ceppo turco, ungheresi della Pannonia e tutti i popoli incontrati durante il loro cammino. I resti delle tribù vinte, a seconda della resistenza che opponevano, subivano lo sterminio o venivano integrate al vincitore.
Il processo di deurbanizzazione e ruralizzazione fu la caratteristica del Medioevo e del mondo feudale poiché le città diventarono insicure. Poi vennero i Normanni (1100-1195), i primi mercenari venuti in Italia, ma questa è un'altra storia...
E così finì l'Italia longobarda.
Lucio Carnevale