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Di padre in figlio (I)


John Monaco

Il padre di Amedeo sedeva al tavolo di sotto e vide la faccenda sotto una diversa luce. Insieme a sua moglie ebbe un incontrollabile impeto di risa nel descrivere come era arrossito in viso il figlio. E poi, quando gli aveva chiesto perché non fosse a scuola come avrebbe dovuto, quanto era stato veloce Amedeo a inventare una scusa. E che bella scusa! Era andato a scuola, si era sentito poco bene, era stato giustificato e stava tornando a casa.

Nonostante il rossore che gli scuriva le guance e il modo in cui la voce aveva tremato mentre si spiegava, suo padre avrebbe potuto anche credergli. Sì, suo padre avrebbe potuto quasi credergli ma il motivo per cui non lo fece era semplice. Anche per il più sciocco degli uomini è incredibile che un'uscita anticipata da scuola per malattia finisca nella piazza del paese con un gelato come cura!

C'era dell'altro. Il ragazzo non era nemmeno solo. Molti dei suoi amici, ognuno con un gelato in mano, stavano lì con lui. Suo padre lo aveva fissato - gli occhi più stretti ma maggiore l'intensità dello sguardo - e poi aveva chiesto se anche i suoi amici si fossero ammalati, tutti insieme, e se ci fosse nel gelato una qualche magica proprietà curativa di cui egli non era a conoscenza.

Non tentò più di rispondere, sarebbe stato inutile. Quel giorno suo padre non si sarebbe fatto ingannare e, se avesse insistito con la sua verosimile scusa, sarebbe riuscito solo a farlo infuriare. Amedeo si arrese.

La madre di Amedeo ascoltava col sorriso sulle labbra mentre suo marito le raccontava come aveva afferrato la punta dell'orecchio destro del ragazzo e lo aveva condotto fino a casa.

– Che bel ragazzo che abbiamo! – Disse a sua moglie, a voce bassa – Che bel ragazzo che abbiamo!

Il pensiero di quelle guance rosse, floride di salute come le rose, non smetteva mai di dargli gusto. Si chinò verso sua moglie, allungò la mano e le pizzicò una coscia, ridendo quando lei, scherzosamente, gli schiaffeggiò la mano per tenerla alla larga. Non riusciva a smettere di parlarle del ragazzo. Che ragazzo intelligente! Che ragazzo meraviglioso! Così allegro e simpatico! Un ragazzo del genere poteva solo rendere orgogliosi i suoi genitori un giorno. Era ancora giovane, forse avventato e impulsivo, ma se rimaneva sulla retta via, un giorno Amedeo sarebbe diventato famoso.

La moglie gli rispose che aveva ragione. Aveva il suo stesso sentore ma voleva che il marito fosse meno rude col ragazzo. Non era bello essere sempre così duri con lui.

Pietro sorrise all'ansia della moglie e promise che sarebbe stato un po' più morbido. Era abbastanza sincero ma sapeva che sarebbe stato difficile. Pensò a come la durezza della vita avesse posto fine alle sue aspirazioni. Sono un semplice contadino, come milioni di altri semplici contadini. Forse più semplice degli altri, pensò. Poiché egli aveva fallito, avrebbe offerto a suo figlio un'opportunità. La strada per il successo, lo sapeva, era l'istruzione. L'uomo istruito gode del rispetto di tutti e, così facendo, avrà amici in tutti i meritevoli impegni che affronterà. Per lui non c'era più speranza di ottener rispetto se non da sua moglie, che amava, e da suo figlio, che pure amava. Sì, caro papà, mi hai reso ciò che sono - diceva Amedeo.

Quella sera Amedeo si sdraiò sul letto ad ascoltare suo padre di sotto. Lo sentì ridere; lo odiò. Sebbene non potesse sentire quello che veniva detto, immaginò che stessero ridendo di come fosse stato imbarazzato di fronte ai suoi amici. Come dovevano aver riso mentre il padre lo trascinava via! Vide i ragazzi seduti sulla panchina di pietra, col mento sporco di cioccolato, che ridevano a crepapelle. Come poteva mostrarsi di nuovo a loro? Suo padre lo aveva condannato all'emarginazione! Mai prima d'ora suo padre era sembrato così primitivo. Esser soggiogati da un tiranno del genere rendeva più auspicabile morire piuttosto che vivere. La bestia che aveva dentro poteva essere uccisa! Quando sarebbe finito tutto? Con la sua morte o con quello di suo padre?

Al mattino, il padre di Amedeo si alzava prima dell'alba per recarsi in una vicina fattoria dove svolgeva il lavoro assegnatogli. Il suo lavoro era pesante. Dopo un'abbondante nevicata, avrebbe dovuto lottare per sgomberare un sentiero fino alla fattoria e sarebbe sprofondato sotto il carico della legna che portava in casa dal capanno. Ma mentre lavorava, si sarebbe riscaldato grazie alle speranze per suo figlio. Lavorava per Amedeo!

In cambio del suo lavoro, gli venivano date uova fresche e latte, a volte formaggio, noci e frutta. In rare occasioni, il contadino gli dava persino dei soldi e gli versava il cognac in un bicchierino. Pietro lo beveva lentamente e subito si sentiva più forte e caldo. I suoi occhi si inumidivano davanti alla bontà di queste persone, non ricche ma di buon cuore. Non avevano bisogno di pagarlo per fare queste faccende: avrebbero potuto cavarsela anche da soli. Il contadino aveva tre figli belli e in salute. Le faccende che svolgeva ogni mattina sarebbero state leggere se le avesse divise con loro. È gente caritatevole che non mi fa sentire come uno che accetta la carità ma fa sì che io mantenga la mia dignità. Li avrebbe ringraziati per la cortesia distogliendo lo sguardo, poi sarebbe tornato a casa prima che Amedeo si alzasse dal letto. Avrebbe fatto preparare alla moglie il cibo portato dalla fattoria, cosicché Amedeo avrebbe avuto l'energia per affrontare i rigori d'una giornata scolastica. Poi avrebbe coltivato il piccolo appezzamento che suo padre gli aveva lasciato tempo addietro a una bella distanza dalla città. Molti altri uomini sarebbero stati contenti di aver adempiuto alle loro responsabilità di padri consegnando un pezzo di terra ai loro figli ma al padre di Amedeo questa terra era bastevole solo per mantenere il cibo in tavola e pagare la scuola del ragazzo.

Mentre il padre avrebbe percorso le tre miglia da casa fino al paese con un paio di stivali che indossava chissà da quanto tempo, Amedeo si sarebbe alzato e si sarebbe diretto in cucina dove le fiamme del camino avrebbero ruggito. Mentre aspettava la colazione ne sentiva il calore sulle guance e, di tanto in tanto, rimestava i ciocchi di legna da ardere.

Le mattine a Capracotta erano sempre fredde, sia d'estate che d'inverno. Amedeo era fortunato perché un giorno il padre aveva percorso le dieci miglia per Campobasso e, grazie ai risparmi mensili dei suoi lavori notturni, aveva comprato al figlio un bel cappotto di pelle foderato di calda pelliccia. Aveva sperato di prendere qualcosa di poco costoso anche per sé, per tenersi al caldo durante le sue lunghe passeggiate mattutine, ma il cappotto per il figlio era costato tutto quel che aveva. Poco male. L'importante era che Amedeo fosse protetto dall'aria gelida e malsana.


John Monaco

(trad. di Francesco Mendozzi)


 

Fonte: J. Monaco, From Father to Son, in «The Angle», XXI:1, St. John Fisher College, Rochester 1976.

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