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Paesaggio invernale capracottese


Skiatori capracottesi alle Coste Grilli (foto: G. Paglione).

Alta e chiara è la notte. Il ciel stellato

diffonde una dolcezza luminosa

sovra il borgo natale addormentato,

sovra ogni morta cosa.

Al mite raggio di vaganti spettri

assumon forma i vedovati rami,

e fiorellini gelidi, a ricami,

disegnansi sui vetri.

Come bianco fantasma e mostro immane,

vigila il faggio, inerte, alla montagna;

sull'uscio del pastor più non si lagna,

uggiosamente, il cane.

L'arcana pace sua la notte ha schiusa

sulla terra e del ciel ne' penetrali:

nel ghiaccio l'alma delle cose è chiusa,

nel sonno, de' mortali.

 

Oh, la tempesta l'animo sgomenta!

Al grigio cielo il faggio erge le braccia:

bórea feroce mugghia e, secca, scaccia

innanzi a sé la foglia e la tormenta.

Taccion l'opre: natura si addormenta

nel greve manto, che ben presto agghiaccia

già del borgo le vie non hanno traccia:

l'orologio, ogni tanto si lamenta.

Ma, più iraconda sugli eccelsi campi

è la tempesta: nubi minacciose

rapidi solcano i sanguigni lampi.

Tra le folgori il tuon mugola forte,

la neve incalza... O voi, madri pietose,

stringete i figli al sen: passa la morte!

 

A distesa, solenni, le campane

suonan furiosamente in sulla sera;

non è il suono che invita alla preghiera,

non l'annunzio festoso del dimane.

Nota squilla non è che all'opre umane

stanca pia benedice umil sincera:

son voci di dolor nella bufera,

son cupe voci disperate e strane.

Dappertutto un vociare concitato,

un accorrer sospetto, un terror muto,

un timoroso addimandar: – Ch'è stato?

– Ite, grida una donna; Egli è perduto:

dal pian ritorna il Figliuol mio malato,

...E le campane chiamano all'aiuto!


Oreste Conti

 

Fonte: O. Conti, La poesia popolare capracottese, Frattarolo, Lucera 1908.

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