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Il poeta Nicola D'Andrea



(Capracotta, 10 marzo 1886 - Milano, 4 settembre 1973) 

 

Di Nicola D'Andrea sono rimaste 64 poesie scritte a mano in bella calligrafia, spesso riviste, a mesi di distanza, altre volte ribattute a macchina. 62 di quelle poesie sono state pubblicate dai nipoti Nicola ed Ermanno in un volumetto rilegato, stampato nel 1972 dalla tipografia "Il Richiamo" di Milano. Grazie a quello sforzo editoriale, il D'Andrea ha realizzato il sogno di veder pubblicate alcune delle sue creazioni e, tuttavia, non smise di comporne di nuove.

Tante poesie sono andate perse nell'autunno-inverno del 1943-44, nel caos dell'occupazione nazista di Capracotta, nei giorni tremendi della distruzione e in quelli tristissimi dello sfollamento.

Le poesie sono state composte in un arco di tempo piuttosto ampio, tra il 1910 e il 1973, anche se il grosso della produzione poetica sembra concentrarsi tra gli anni '30 e i '60. La loro struttura, che agli inizi si confà alle cosiddette sestine narrative, vira presto verso la quartina a rima alternata; altre volte l'Autore si cimenta, con risultati sbalorditivi, nelle più rare eptastiche.

La lingua italiana del D'Andrea è sostanzialmente impeccabile per un uomo appena scolarizzato: vi sono pochissimi errori grammaticali (che mi sono assunto la responsabilità di correggere) e pochissime licenze. L'Autore pare conscio dei suoi limiti tecnici ma l'ispirazione è tanta e tale da traboccare splendidamente sul foglio.

Le poesie di Nicola D'Andrea sono infatti semplici come quelle di un bambino, auliche come quelle del Petrarca.

Egli era infatti un falegname diseconomico, giacché la sua produttività era bassa; tuttavia, visto il rapporto esistente tra mezzi e prodotti, coi primi che letteralmente latitavano, si può affermare che la produttività del D'Andrea fu più che soddisfacente.

Egli non partecipò, insomma, al progresso nel senso comune del termine. Il progresso che inseguiva era quello della creazione poetica, della perfezione fotografica, dell'invenzione meccanica, di qualsiasi cosa che non desse vita a un mero accumulo di profitti.

Questo non significa che Nicola D'Andrea fosse socialista, tutt'altro. Non è possibile delineare la sua idea politica perché il mondo di ze Culìtte era Capracotta, dove le fazioni politiche cambiavano al mutar delle amicizie, delle famiglie e dell'utile personale. Negli anni del regime fascista l'Autore aveva per amici i notabili del paese, ma nei giorni bui della guerra malediceva «fascio e tedesco». Nel dopoguerra osteggiò i cosiddetti «democristi», pur esaltando le qualità individuali di alcuni di essi.

Una poesia del D'Andrea.

Nicola D'Andrea, insomma, coglieva l'umanità del potere quando questo si presentava col volto d'una brava persona, ma lo detestava quando non ne comprendeva appieno le strategie e le manovre. Era un uomo che costruiva nell'intimo dello studio e della bottega, al riparo da occhi indiscreti e giudizi trancianti. D'Andrea produceva per il piacere stesso che l'atto creatore offre.

La cittadina di Capracotta fa capolino in quasi tutte le sue poesie. D'Andrea ne decantò le bellezze paesaggistiche e architettoniche, ma ritrasse anche i tipi umani, signorili o popolari, d'una Capracotta che oggi non esiste più: il podestà, l'industriale, il medico, l'avvocato, l'inventore, finanche il pittore, il falegname, il pastore, la locandiera, il bevitore.

L'Autore aveva anche a cuore i problemi di Capracotta. Il primo di essi, di vitale importanza per la cittadinanza, era l'atavica mancanza d'acqua potabile. Quando Nicola D'Andrea scrive le sue prime poesie, l'abitato si approvvigiona dalla sola Fonte Fredda, alle pendici di Monte Campo, con tubature pressoché inadeguate: sono di là da venire il pompaggio idrico dal fiume Verrino o il serbatoio comunale che raccoglie le acque del Cutruglio.

Un'altra questione che feriva la sua sensibilità era la lotta politica, personalistica, che si ripresentava in paese ad ogni tornata elettorale, locale o nazionale, fino a coinvolgere l'antica torre orologiaia di Capracotta, demolita nell'agosto 1970, un importante edificio angioino che nel 1952 aveva già subito un’arbitraria ristrutturazione utile solo a dar lavoro alla ditta appaltatrice e ai tanti disoccupati.

Viceversa, la fede di Nicola D'Andrea era semplice e sincera, trasuda dalla civiltà contadina dalla quale egli proveniva, una religiosità ricca di celebrazioni e di riti, di precetti e di tabù. La certezza del Paradiso sta nell'affidarsi totalmente a Dio, nel seguire gli insegnamenti di Gesù, nel pentirsi dei propri peccati, cercando di non nuocere agli altri. Per tutti c'è la speranza della redenzione, per tutti c'è la possibilità di accedere al Regno dei Cieli, si è tutti perfettamente uguali agli occhi del Padre, tutti fratelli, tutti responsabili delle proprie azioni, tutti liberi di scegliere al di sotto della scelta ultima, che è imprescindibile affare di Dio.

E allora D'Andrea scrisse preghiere a san Nicola di Bari e alla Madonna, cantò le bellezze della Chiesa di S. Maria in Cielo Assunta e del Santuario di S. Maria di Loreto, auspicò per i potenti la guida del Signore, giacché «l'ignudo spirto mio corre a Dio».

Le questioni affrontate dall'Autore, insomma, sono riconducibili a tre grandi temi: Capracotta coi suoi problemi e i suoi personaggi, la fede e una visione disincantata del mondo. Ho scelto una poesia per ognuno di essi: "Capracotta sentinella" (1914), "A Maria SS. di Loreto" (1936), "Gli occhiali all'asino" (1972) e "Una caduta dal letto" (1973), entrambe inedite, ritrovate tra le carte di ze Culìtte che il nipote Antonio D'Andrea ha sottoposto alla mia attenzione.


Francesco Mendozzi

 

Fonte: F. Mendozzi, Prima antologia di poeti capracottesi, Youcanprint, Lecce 2023.

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