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Polvere di cantoria... su due ruote


Capracotta bici Graziella

L'arrivo della bella stagione e poi delle vacanze scolastiche consentiva a noi ragazzini di passare ancor più tempo fuori casa. Messi gli sci in cantina, o nel cuatenàre, con le tute invernali sotto naftalina eravamo pronti a "scatenare" le biciclette.

Anche in questa faccenda mode, gusti e contingenza erano sovrapposti: i portoni delle case e delle cantine sfornavano modelli di tutti i tipi e di tutte le epoche. Dalle vecchie e pesanti 28" da lavoro con i freni trasmessi a bacchetta a quelle da corsa con i manubri ribaltati e il cambio.

Tra gli anni '60 e i '70 fece furore un modello molto gradito e particolare. Progettata da Rinaldo Donzelli, venne prodotta, a partire dal 1964, dalla Carnielli di Vittorio Veneto e pubblicizzata dalla stessa Brigitte Bardot, per cui venne chiamata la "Rolls-Royce di BB". Prese il nome da una delle riviste femminili più in voga: "Grazia": era la mitica Graziella. Senza canna orizzontale con cerniera centrale per poterla piegare; con manubrio e sellino smontabili, montava ruote da 16", portate poi a 20" nel 1971, portapacchi in tinta (il "posto in piedi" del passeggero) e fu prodotta fino alla fine degli anni '80. Fu il simbolo dell'infanzia e dell'adolescenza di quei tempi.

Alcuni modelli derivati, per non dire clonati, montavano cerchi più piccoli, come la mia Mirella da 14", per consentirne l'uso anche ai più piccoli. Il peso non era indifferente ma la maneggevolezza sicuramente superiore alle grandi bici che alcuni bambini usavano restando in piedi lateralmente su un solo pedale, con pedalata "a saltello", che io chiamavo "a ciclista zoppo".

Torme di ragazzini scatenati su due ruote si aggiravano per Capracotta in gruppo come in una sorta di 24 ore di Le Mans ciclistica. Il circuito prevedeva lo start dai box di piazza Falconi per una discesa a rotta di collo lungo i Rinforzi e via San Giovanni, fino alla svolta della "Chiesuola" e la chicane di piazza Gianturco. Da qui la parte bassa del circuito sulla via Nòva dove, grazie alla discesa, si raggiungevano le massime velocità, fino alla variante della nuova cabina elettrica. Poi, il doppio gomito dello "Spazzaneve" e dello "Stop" portavano all'estenuante salita di via S. Maria di Loreto e al plateau del Colle, con la discesuola della "Cooperativa". E si ricominciava con un eventuale pit-stop al distributore di gigomme a palline colorate (manopola a 10 lire) fuori la bottega gestita dalla famiglia del maestro Onorino, all'incirca davanti Squarcióne. Il rifornimento di liquidi era alla fontanella collocata nello specchio di marciapiede dove sorge la casa nuova di Giuveddì, ed oggi posta sotto largo dei Sartori.

Un cartoncino fissato ad un montante del portapacchi tramite una molletta da panni scattava sbattendo tra i raggi della ruota posteriore e il rumore ci dava l'illusione di stare a bordo di una motocicletta. La manopola nera per la regolazione dell'altezza del manubrio della mia Mirella mi sembrava il tappo del serbatoio di un'onirica benzina.

Tante le modifiche pionieristiche. Una fra tutte: Franco "Izzóne" Mosca, amico e compagno di scorribande, aveva sostituito la ruota posteriore da 20" con una da 14", guadagnando in agilità e maneggevolezza. Una bici acrobatica ante litteram che Franco faceva impennare e girare su se stessa senza sforzo apparente.

La potente pistola ad aria compressa dei compari D'Andrea, la cui bottega era posta di fronte casa, ricaricava in pochi istanti la camera d'aria in un periodo in cui una semplice pompa era merce rara.

Eravamo quelli della colla Artiglio e delle Tip-Top, quelli che in caso di acquazzone si rifugiavano in stalle, garage e cantine, ma anche sfrecciare nelle pozzanghere aveva il suo fascino. Eravamo quelli delle gitarelle... e memorabile fu quella a Vastogirardi, conclusasi abbondantemente dopo il tramonto con più di metà delle bici senza fari. Il paliatóne invernale cedette il posto al mazziatóne estivo ma l'orgoglio per l'impresa ci faceva sentire veterani reduci da azioni di guerra.

Non infrequenti i cascatoni: molti di noi, me compreso, portano sottopelle parecchi frammenti di asfalto della via Nova ma anche attimi di spavento nel cuore. Come quando, forse in sovrappensiero, Giovannino "la Banca" Di Tella svoltò ad angolo dal "Centralino" verso il Corso e la sua bici venne centrata sulla ruota anteriore da un'automobile. Tanta paura ma, per fortuna, solo un'empirica "quadratura del cerchio".

Avevamo progettato anche delle uscite invernali mettendo delle catenelle sulle ruote per camminare sulla neve ma santa Pupa, patrona dei ragazzini scavezzacollo, e il tempo che scorreva, misero lentamente un pochino di sale nelle nostre zucche. Forse fu anche il non voler sentire i cazziatóni di papà che, anche quando divenni adulto, professionista e padre di famiglia, non di rado mi domandava se avessi il naso posizionato in mezzo agli occhi o nel lato B!

Arrivarono le bici cross, le mountain, le City, ma le Grazielle con le corse dietro le Apecar scoppiettanti e perennemente corredate di cagnolino abbaiante al seguito, il fumo aromatico dei camion che ci sorpassavano, il pedale che, sfuggito, girava al contrario e centrava la tibia procurando estasi mistiche, i "cipolloni" con le mamme che promettevano a casa di darci la dose di rinforzo se ci facevamo male, avevano un sapore diverso e indimenticabile.


Ci credevamo eterni,

ci credevamo eroi

ma il tempo se ne frega e passa su di noi...


Francesco Di Nardo

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