Qual cresce al Liri, od al Sebeto in riva,
primo de' campi onor, tenero morto,
qual suole al mattutin fiato de l'aure
tra la fresc'erba aprir candido fiore,
tale, e più vaga ancora in sue sembianze
Violante sorgea...
Ahi donde uscì l'invidioso vento,
che svelse il gentil mirto, e sul bel fiore
chi passò con l'aratro? Acerbo, occulto,
lento, mortale, immedicabil morbo
le discorrea per ogni vena, e quasi
studiando crudeltà, dal sen materno
a poco a poco, e promettendo sempre
di ridonarla, ei la rapìo per sempre.
Torci da le ferale ultima pompa
gli occhi, o Madre, e poggiar vedila in alto,
qual novello sorgente astro, lasciando
lunga striscia di luce in suo cammino.
Vedila in faccia al vero Ben far paghe
l'alte sue voglie, e in quel gran Mar di lume
ber di quanto sofferse eterni obblii,
certa del suo riposo: e se talora
piega da quello, e giù china lo sguardo,
non è già per vedersi ai piè di sotto
i fissi nel gran vano astri sospesi,
o le armoniche danze, che gli erranti
tessono a quelli senza posa intorno;
ma il nostro globo sol ricerca, e solo
volge al caro Fratel, volge a l'amato
Padre il cupido sgaurdo, e su la Madre
l'arresta alquanto, e non però s'avvede
che già feo col pensier ritorno in terra.
Ippolito Pindemonte
Fonte: I. Pindemonte, Le poesie originali, a cura di A. Torri, Barbèra e Bianchi, Firenze 1858.
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