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Il territorio di Capracotta: periodo dei primi Borboni (I)



Nonostante le turbolenze e i disagi cui restarono soggette le nostre provincie durante la dominazione spagnuola del 1600, i nostri antichi quassù tennero con sufficiente libertà l'amministrazione delle cose proprie. Vi contribuì l'assenza del Signore locale, perché fintanto che durarono i contrasti per la successione in feudalibus di Aurelia d'Eboli, anzi anche prima che costei e i suoi antenati tennero principale dimora in Castropignano e Civitanova, il territorio di Capracotta fu, può dirsi, dei Capracottesi. In questo libero svolgimento potettero raggiungere quel grado di prosperità di cui ho dato prove e la quale forse fu cagione delle grandi molestie ch'ebbero poi a sopportarne.

Allorché un diretto Signore venne loro assegnato in persona del neoprescelto Duca Andrea Capece Piscicelli, dovettero lusingarsi d'incontrare in lui un protettore o almeno un equo amministratore di giustizia, e forse in principio la signoria non fu troppo opprimente.

Il nuovo Duca volle compiacersi di dare un segno della sua paterna munificenza al popolo, inviando nel 1676 uno scarabattolo con un misterioso interno racchiudente le reliquie dei S. Martiri Costanzo, Faustina, Aurelia e Feliciano, scarabattolo che ogni anno si porta in giro nella processione del santo protettore S. Sebastiano, non senza destare un senso di compassione e di disgusto per le orrende figure delle statuette di legno dorato che lo contornano. L'Università a sua volta, nel 1691, gli ricambiò l'offerta con un annuo tributo detto per presenti et comandamenti, ossia offerta per mano d'opera e per ordini di mano d'opera e prestazione di servizi diversi che il Duca si compiaceva di esigere. Ma ben presto le cose cangiarono d'aspetto ed i nostri antichi cominciarono a sentire tutto il peso delle soverchierie e degli abusi sempre crescenti del governo ducale.

Né la loro quiete fu turbata solo da queste molestie: altre sopraggiunsero provocate dalle popolazioni delle Università limitrofe per sconfinamenti nel nostro territorio, altre ancora dal Vescovo di Trivento, che voleva ridurre alla propria dipendenza i patrimoni e le rendite costituite a favore degli enti acclesiastici locali: altre ancora dagli aggravi fiscali, e nuove angustie creava la nuova leva militare, pei reggimenti provinciali, la quale veniva a gravare solo sulla classe degli umili. Così che, sotto il nuovo dominio di Carlo III di Borbone, fu un continuo insorgere contro le prepotenze dei poteri del tempo.

Il nostro Libro delle Memorie ci ha tramandato un buon numero di documenti relativi a quelle giuste ribellioni ed agli scarsi provvedimeli emanati ad arginare le soperchierie.

Dall'esame di questi documenti sembra per prima che le contese col Duca avessero avuto principio nel 1704, col trattenere, costui il pagamento della Bonatenenza all'Università, ossia un tributo sui beni burgensatici, come eran chiamati i beni non feudali (fabbricati, bestiame, ecc.) questione complicata dall'altra dell'accertamento di questi.

Seguì il tentativo di far risorgere il diritto del Duca ai servigii reali e personali degli abitanti (prestazioni di lavoro e d'animali) che l'Università aveva creduto di affrancare col tributo d'annui ducati 52 a titolo di presenti e comandamenti.

Un formale litigio s'aperse nel 1722 innanzi al Sacro Regio Consiglio su diversi capi di contestazione sollevati dall'Università contro il governo ducale; ma quel tribunale indugiava la pronunzia, tanta era l'influenza dei Baroni anche sull'andamento della giustizia; e solo nel 1728 potette essa ottenere qualche soddisfacente risoluzione, quale il riconoscimento al diritto di proprietà delle acque della percezione della Bonatenenza, degli usi civici sui territori feudali.

Ma le controversie continuarono a sorgere e ad agitarsi sulle diverse angarie, oltre che sulle precedenti, e cioè:

  1. sul diritto preteso e imposto dal Duca di far pascere gratuitamente sui demani comunali mille delle sue pecore e venti cavalli addetti alla pastorizia, col pretesto della Bonatenenza, ch'egli pagava per ben altra causa, ed era così tenue (18 ducati) che i cittadini, per ugual numero d'animali, venivano a pagare non meno del triplo.

  2. Sul fatto che il Duca, oltre ad avere il monopolio della sfarinatura nei suoi molini e delle gualchiere lasciava, esigere la molitura dei cereali e la valcatura dei panni anche da coloro che le facevano eseguire altrove.

  3. Sull'abuso che così lasciava esigere la panatica, tassa sulla confezione del pane, anche su quello che forestieri venivano a vendere, e persino sul pane e sulla farina importata da cittadini in paese.

  4. Sull'impedimento frapposto all'esercizio degli usi e diritti civici, per lo scopo d'esserne altrimenti compensato e l'impedimento di lasciar pascolare gli animali occorrenti ai lavori di coltivazione di terreni nel feudo.

  5. Sulla insistenza di voler esigere dall'Università una somma fissa annuale per danni e pascoli abusivi dei cittadini per esimersi dall'esigerli dai singoli danneggiatori.

  6. Sulla vessatoria esazione delle terraggiere su qualunque vettovaglia, (cereale) anziché sul solo grano, e nella ragione di un tomolo per ogni tomolo di terreno seminato, con l'aggravio della colmatura nella misurazione del grano da consegnarsi ben concio e secco nel fondaco della casa ducale, al contrario di quanto erasi praticato per lo innanzi, che la terraggiera era dovuta pel solo frumento riscosso all'aia del prodotto della giornata e senza colmature.

  7. Sull'ingiusto diniego ai coltivatori bisognosi di grano di poter trattenere la terraggiera e pagarne il valore alla mercuriale del capoluogo distrettuale, Isernia.

  8. Sulle pretese del Governatore ducale di voler intromettersi nella imposizione dell'assise (calmiere) e nelle nomine degli agenti e impiegati della Università.

  9. Sulle pretese del Governatore, di esigere e partecipare alla Catapania (tassa comunale su generi alimentari o d'uso che forestieri venivano a vendere), alle multe per trasgressioni agli ordini municipali, e persino ai diritti d'imposizione di Portulania, Zecca, Giurisdizione di 1ª e 2ª istanza, Mastrodattia, Bagliva, Esercizio di molini ecc.

Del resto a che potessero giungere le prepotenze dei Baroni può argomentarsi dal seguente fatto. I Capracottesi sono stati sempre nella necessità di fornirsi di derrate e merci che in paese non si producono, specie vino, olio, frutta, fagioli ecc. Un giorno del 1745 alcuni d'essi, recatisi a Caccavone, comprato ciò che loro bisognava e caricate le some sulle bestie, furono fermati, nell'avviarsi da tal Domenico Antenucci Procuratore del Cardinal Petra e sottoposti a formale sequestro non solo dei carichi, ma anche delle bestie; e ciò per ordine e conto del Cardinal Petra suddetto. Stupore più facile a immaginare che a riferire!

Che è che non è, venne a galla che l'Università non aveva inviata una certa somma al detto Cardinale Vincenzo Petra, Arciprete di S. Pietro in Vincoli a Roma, fratello di Nicola Petra, Duca di Vastogirardi. Il Duca Capece Piscicelli aveva contrattato debiti con costoro ed, a cautela, aveva loro ceduto la riscossione di una parte delle entrate dei fiscali dalla Università di Capracotta, assegnandone 172 ducati al Duca di Vastogirardi e 158 al Cardinale.

L'Agente di costui in Caccavone, per ottenere il pagamenio di ciò che gli era dovuto, ricorse a questo indegno espediente, che l'Università fu costretta a denunziare alla Camera della Sommaria.

Ho già notato che il Sacro Regio Consiglio tentennò sempre a risolvere tutte queste rimostranze dell'Università. Onde nel 1732 si tentò un concordato fra Giacomo Piscicelli qual procuratore del fratello Duca e gli amministratori, ma il concordato fallì per la insistenza di costoro a farvi includere la condizione che, in caso di trasferimento del feudo ad altri, tutte le ragioni dell'Università restassero del tutto impregiudicate, e il Piscicelli si rifiutò.

Nel Libro delle Memorie non vi è documento e notizia del modo come fu definita quella controversia; ma la rinvenni nell'Archivio di Stato a Napoli fra i processi avanti la Camera della Sommaria. Si addivenne a concordato definitivo nel Settembre del 1747 fra gli amministratori della Terra D. Mattia Pizzella, Dott. Salvatore Castiglione, Dott. Felice Mosca, Not. Ignazio Vizzoca, Alessandro Campanelli e Nicola Carugno (che nominarono poi Procuratore l'avv. Nicola Pallotta) da una parte e il Procuratore del Duca dall'altra.

La redazione del concordato seguì innanzi la detta Camera il 23 Gennaio 1748 - Presidente Mazzucca, relatore Nicola Cavallo e si stabilì:

  1. L'Università assolta dal pagamento dei 52 ducati annui per presenti, donativi e comandamenti.

  2. Non contrastato al Duca il pascolo di due morre di pecore (n. 700), pagando però 10 ducati annui.

  3. Escluso il Duca dal jus prohibendi dei molini e gualchiere; obbligo suo di tener il mugnaio obbligatoriamente dal Giugno a Novembre a spese sue per due parti e una dell'Università, senza potersi impedire ai cittadini di macinare o gualcare altrove, né esigersi panatica dai forestieri.

  4. Tenuti i coltivatori di terre ducali alla terraggiera di un tomolo per tomolo; e non potersi ritogliere i terreni ai coltivatori stessi (Colonìe inamovibili) e dovere la colmatura del 10% non altro.

  5. Dover pagare l'Università gli annui ducati 80 di Bagliva per gli inventerati usi civici senza diritti ad aumenti o diminuzioni.

  6. Esonerata l'Università dal pagamento di annui 69 per danni dati o possibili, potendo il Duca esigere carlini 2 (cent. 85) per pascolo abusivo di ogni animale grosso, ed almeno dieci piccoli.

  7. Tenuta l'Università al canone di annui ducati 7 per Mastrodattia. Obbligato il Duca a pagare a sue spese il Governatore e suo Luogotenente.

  8. Facoltà ai coltivatori di pagare la terraggiera in danaro alla mercuriale di Isernia.

  9. Facoltà al Duca di far pascere in autunno in promiscuo col bestiame della Terra i suoi cavalli e vaccini.

  10. Sulle altre contestazioni la Camera della Sommaria stessa già aveva messo i suoi provvedimenti conforme ai reclami dell'Università.

Terminarono così circa 80 anni di controversie, di prepotenze e di litigi tra feudatario e popolazione.

Ripetute molestie sopportò in secondo luogo dai preti locali l'Università, i quali insistevano nella conservazione del privilegio di pascolo gratuito pei propri animali sia per uso domestico che per scopo di industria che godevano nel 1600, come è asserito nella relazione Cafaro; ma i reggenti dell'Università lo tolsero e tennero duro contro tutti i loro reclami.

Quanto ai turbamenti più gravi e più duraturi inferti all'Università per fatto delle popolazioni contermini una contesa si aprì da Pescopennataro che fin dal 1610 avanzò la pretesa della proprietà d'una notevole zona selvosa stendentesi alle falde del Monte Campo verso nord-est superiormente al bosco d'abeti di quel Comune, denominata Difesa di Prato Gentile. Nel 1728 fu dato incarico a 4 fabbricatori di Casteldelgiudice per rintracciare gli antichi termini di delimitazione dei due territori ma senza soddisfacenti risultati, e allora il Sacro Regio Consiglio delegò la Corte di Agnone per l'istruttoria della contestazione, la quale chiamò alla perizia Venanzio Del Sole e Nicola Tollis da Pescocostanzo, riuscita pure inefficace. Nel 1736 una nuova ricognizione fu eseguita da Periti Liberatore e Berardinelli; ma le contestazioni continuarono senza risultato presso il Sacro Consiglio, finchè nel 1751 le due Università le rimisero a tre arbitri ciascuna nominando il suo, ed entrambi il terzo. Capracotta scelse ad arbitro Luigi De Geronimo, Pescopennataro Andrea Mazzucca, e costoro il R.° Tavolario Gennaro dall'Aquila. La Linea delimitatrice fu tracciata dall'ingresso dello speco dedicato alla venerazione di S. Luca ai due culmini denominati Montetti di Carovilli.

I pescolani peraltro non s'acquetarono. Nel 1798 irruppero un'altra volta nella zona contrastata, onde nuovo giudizio. Il Sacro Regio Consiglio, relatore il Consigliere Gorgoglione, con sentenza 14 Luglio 1798, ordinò la manutazione in possesso dell'Università di Capracotta, delegando il Governatore della Corte di Rionero Nicola Francesi all'esecuzione ed osservanza del dispositivo.

Altre contese seguirono con Casteldelgiudice, i cui popolani nel 1712 invasero un buon tratto del territorio detto di Vallone Ricotta. Il Sacro R. Consiglio ordinò il 5 Ottobre di quell'anno la reintegra in possesso di Capracotta. Nel 1749 nuova contestazione sorse pei confini sulle alture sovrastanti al torrente Molinaro; ma il 31 Ottobre si addivenne alla fissazione del termine di delimitazione al punto detto Crognale Paolone. Una terza questione si agitò nel 1751 pei confini fra il bosco Cerritelli di Casteldelgiudice e difesa di Capracotta fin verso la fonte del Sambuco. Il S. R. Consiglio delegò per l'istruttoria il Regio Tavolario Luca Vecchione, il quale presentò una Relazione, con la relativa mappa topografica il 28 Maggio 1755. Ma, il tracciato di confine, proposto in questa, apparve poco soddisfacente ai capracottesi: i quali «con tumulto ed armamento nei giorni 5 e 6 Giugno s'introdussero con violenza nel territorio assegnato a Casteldelgiudice». Il Consigliere Iannucci autorizzò l'Università di Casteldelgiudice a tenere la zona controversa fino al Muro di D. Giulio e alla fonte del Sambuco, ed alla nuova istruttoria e perizia delegò il Regio Tavolario G. Volpicelli, il quale presentò la sua Relazione il 21 Aprile 1787, conchiudendo che la linea di confine doveva tracciarsi congiungendo varii punti segnati sulla mappa topografica determinati come qui trascrivo:

  1. dalla cima non controversa dei Tre Confini (S. Pietro Avellana, Capracotta, Casteldelgiudice) al termine già fissato del Crognale Paolone;

  2. da questo seguendo il torrente Molinaro sotto le Costefiadine alla confluenza del Molinaro e del Vallone grande;

  3. da questo punto di confluenza rimontando il Vallone grande per passi 40;

  4. da questo punto volgere salendo la Scrima dell'Oppieto fino al Muro di D. Giulio;

  5. dal Muro di D. Giulio al Sasso Croce segnato sulle Cime alte;

  6. di qui alla fonte del Sambuco. Rimanere però in territorio di Capracotta un terreno di 11 tomoli pertinente alla famiglia Baccari, rimasto fuori la linea retta di delimitazione presso il Muro di Don Giulio.

Maggiori strapazzi più che molestie ebbero l'Università e la popolazione dalla Curia Vescovile di Trivento. Nel 1736 era stato chiamato a reggere la detta Curia il Vescovo Fortunato Palumbo da Mordano (Lecce), il quale, venuto a conoscenza del ricco patrimonio costituito al nome della Cappella di S. Maria di Loreto e delle altre Cappelle pensò bene di stenderci lo zampino. All'uopo ne commise gli approci nel l741-42 al sacerdote di qui Ermogene Bucci, nominandolo sul Vicario foraneo, e questi cominciò con le pretensioni che le rendite dovessero destinarsi, secondo prescrizioni indicate dalla Curia. Ma incontrò l'osso duro degli amministratori. Visto che costoro non si piegavano ad imposizione di sorta, tentò, nientemeno, che di far imprigionare due dei più resistenti, Carmine Ferrelli e Liberatore Di Loreto.

Ma tutto fu inutile e da allora le ire e i dispetti del Vescovo non ebbero più limite né tregua, e tanto apertamente che ci fu un «generale parlamento il 1° Settembre 1742, per ricorrere ad pedes S.S. (Suæ Sanctitatis) rappresentando l'astio e l'odio del Vescovo contro questo popolo, e mandi un Visitatore apostolico».

Tutto lascia supporre che il Vescovo, oltre che al negare una Santa Visita, facendo mancare le cresime, in quei tempi assai in voga per le parantele spirituali, avesse intrapreso l'ostruzionismo ai matrimonii, rifiutando ed elevando a caro prezzo le dispense per ragioni di parentele di sangue che nei nostri paeselli erano e sono numerose e numerosissime furono nel secolo che seguì alla peste del 1656, rifiutando inoltre la nomina del predicatore quaresimale, del panegirista designato per feste solenni ecc.

E quì cade in acconcio rifare una certa cronaca della Chiesa.

Ho già rilevato che i due funestissimi avvenimenti della peste del 1656 e della uccisione sull'altare in Chiesa del sacerdote Tobia Campanelli perpretata dai banditi nel 1657 avessero indotto, oltre all'antichità dell'edificio, i nostri antichi a ricostruirla intieramente. È strano che i Libri parrocchiali né il Libro delle Memorie ci abbiano tramandato i particolari di questa rinnovazione.

Topografia del territorio in contestazione.

Racimolando qua e là si può credere che il disegno ne fosse fatto dall'Architetto lombardo Piazzoli; si può affermare che i fondi furon somministrati in parte dall'Università e dal popolo, ma nella parte massima dall'amministrazione della Cappella di S. Maria di Loreto, del Carmine, di S. Antonio ecc. Resta sconosciuta l'epoca precisa in cui fu data mano ai lavori e in quale maniera, ma possiamo fissarne l'inizio nel primo quarto del secolo 1700 (Arcipreti Giuseppe di Rienzo 1691-1710 - Francesco de Baccaro 1711-1733) perché quest'ultimo invocò ed ottenne la benedizione dell'altare maggiore primo eretto dall'eminente prelato compaesano Mons. Francesco Baccari, allora Vescovo di Telese, benedizione impartita il 7 Ottobre 1723. La struttura grezza fu completata nel 1725. Infatti il 15 Agosto di quell'anno venne in Santa Visita a benedirla intera il Vescovo titolare di Trivento il nobile Mons. Alfonso Mariconda rinnovandone la intitolazione a S. Maria in Cielo Assunta, quale era già prima. Ma i lavori interni di completamento e di ornamentazioni, intonachi, cornici, stucchi, dorature, commessi nel Maggio 1735 all'impressario Venanzio del Sole da Pescocostanzo furono completati nella primavera del 1744. Fu allora che l'Arciprete del tempo, Giuseppe Campanelli (1734-1765) credette suo dovere invocare dal Vescovo la definitiva e canonica consacrazione. Ma con sommo stupore di tutti se n'ebbe uno scortese ed ingiusto rifiuto, che sollevò un generale risentimento. Ne fu steso ricorso al Re che trasmesso alla Regal Giurisdizione, fu da questa spedita insieme alle giustificazioni dal Vescovo, al Tribunale di Nunziatura a Madrid, mancando presso il governo di Carlo III un potere costituito, competente a derimere simili controversie. Quel Tribunale accolse il ricorso e, quantunque fosse trascorso un biennio, con Regal Dispaccio del 20 Aprile 1746 da Madrid, fu dato ordine al Vescovo d'adempiere alla domanda di benedizione, che fu dovuto notificare legalmente al Palumbo per ministero di Notaio nella residenza abituale di lui in Agnone. E nondimeno il Palumbo, testardo e prepotente sempre, non se ne dette per inteso, onde nuovi ricorsi alla Delegazione della Regal Giurisdizione e rinnovati rifiuti. In ultimo, a tagliar corto, il Titolare della Delegazione Brancone dovette dare l'incarico della consacrazione solenne ad altro prelato, che fu D. Donato Sammartino d'Agnone, il quale la impartì il 23 Dicembre del 1748 e l'Arciprete poté esprimere con fine ironia la generale soddisfazione annunziando al popolo convenuto alla messa solenne, «esser quella una vittoria stentata dopo 4 anni di contrasti, dovuta a Santa Vittoria ricorrente quel giorno appunto». Crebbero allora i dispetti di Monsignore da parere inverosimili. Proibì al Sammartino la consacrazione degli altari minori, la benedizione del fonte battesimale; delle fosse nei sotterranei della Chiesa destinate al seppellimento dei cadaveri (mancava allora un cimitero), inibì la predicazione! cose per ottenere le quali trascorse un'altro anno.


Luigi Campanelli




 

Fonte: L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Tip. Antoniana, Ferentino 1931.

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