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Usi e costumi di Capracotta: considerazioni generali


La famiglia di Primiano e Consiglia D'Andrea.

Giunto alla fine del mio lavoro, non posso non fare una generale considerazione. Queste vecchie costumanze, anello che ci lega ai padri, ricordo d'un passato primitivo, andrà man mano scomparendo sotto l'influsso di novelle civiltà. La qual cosa, se per un verso è buona, perché mostra che il popolo apre la mente alla luce del vero, che il paese si avvia verso un avvenire più civile e più lieto, induce d'altronde a fare una melanconica riflessione, perché i buoni costumi lentamente spariranno.

Gran bella cosa, certo, vedere i lampioni a petrolio, ricordo del passato ed il grano non più macinarsi con i sistemi patriarcali, ma chi ci ricompenserà della natìa semplicità perduta, dell'austerità di vita, della bontà, della concordia e della frugalità dei nostri padri? Non progrediremo noi per indietreggiare? Torneremo noi a quella industria armentizia, che ha sempre formata la salute e la ricchezza del paese o rinneghermo davvero le antiche tradizioni? Ricordiamoci che la capra è l'arme paesana e che perciò dobbiamo fare onore, se non a lei, alla sua affine: non aveva Genova repubblicana l'agnello di San Giovanni sulle sue bianche bandiere? L'agonìa di questa industria è causa d'emigrazione, ond'è che al borgo vengono meno le forze più vive, il sangue più gagliardo ed i costumi si demoralizzano e la razza deperisce. Né mi si parli del vantato benessere trovato dai nostri conterranei nei novelli Eldoradi dell'America. Quanti davvero vi hanno fatto fortuna? Da quelli che ritornano con qualche soldo si giudica del benefizio dell'emigrazione, perché non si vedono gli altri, che soffrono e muoiono di stenti e di fame in quei lontani paesi. Parimenti, dobbiamo difendere e accrescere i boschi, perché essi sono la nostra esistenza e la nostra ricchezza, perché ci danno la legna e l'ombra e ci difendono dalla grandine, dalle piene dei fiumi. Il faggio, l'aria e l'acqua sono i nostri capitali naturali, che noi dobbiamo in tutti i modi sfruttare per il comune bene. Solo così, Capracotta, che già tra le stazioni climatiche d'Italia gode d'una meritata fama per la bellezza del soggiorno, per l'ospitalità del suo popolo, per la cristallina limpidezza ch'è nella sua atmosfera, per l'invidiabile ed incantevole vita, darà maggiore impulso a questa industria proficua e metterà i figli, che non vogliano o non possano emigrare nelle Puglie nella rigida stagione, in condizioni di procacciarsi un pane onorato nel proprio paese.

Perché i nostri montanari, tanto intelligenti, potrebbero fabbricare giuocattoli di legno nelle lore stesso case, senza alcun lusso d'officina e di laboratorio, facendo mobili per bambini, oche, pecore ecc. dando vita ai leggendari personaggi delle nostre fiabe popolari. Vedremmo così i nostri vecchi, i nostri giovani e le donne, non più costretti ad una forzata inoperosità, lavorare per la propria famiglia e la felicità dei bambini, i quali comprerebbero i nostri giuocattoli di poco prezzo, ma graziosi ed istruttivi.

Concludendo, riaffermo che, la pastorizia la villeggiatura ed il lavoro manuale sono le tre vive speranze del nostro borgo e che, colui il quale incoraggerà o darà le sue forze perché queste speranze diventino realtà, avrà ben meritato da' suoi conterranei e da tutti coloro che intendono i meriti delle civili virtù.


Oreste Conti

 

Fonte: O. Conti, Letteratura popolare capracottese, Pierro, Napoli 1911.

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