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Battute e motti spiritosi dei capracottesi (IV)


L'aneddoto dei due carbonai nell'osteria di S. Angelo del Pesco.

– È ora d'arterieàrte?

– Ma è ora de ŝta arresbìlde?

È ora di rincasare? Così diceva Fafitto padre al figlio che rincasava, da giovane, sempre tardi. È ora di stare sveglio? Così rispose il figlio al padre che lo rimproverava educatamente dicendogli di dormire a quell'ora tarda.

 

– L'hanno visto con la sigaretta bianca alle Coŝte Grìglie... e che ze créde fìgliete, ca è dun Niculìne Falcóne?

Il padre di Fafitto alla moglie e indirettamente al figlio: avevano visto suo figlio alla villa con la sigaretta in bocca, allora gran lusso! Le poteva fumare solo il senatore di Capracotta Nicola Falconi.

 

– Ch'ora è zi Cianù?

– Sò le dieci.

– Nen puóne èsse!

– Pigliati le undici.

Una donna chiese a zi Cianuccio Pietracchiéglie l'ora e ne nacque questo breve dialogo.

 

– E mi volete incomodare per tanto poco?

Così disse Fiore Mosca, quando i fascisti lo trascinarono perché si recasse a votare e appena mise piede nell'aula, gli dissero: "Già votato"!

 

– Che ze fà a Nàpule zi 'Ndunì?

– Uà... Dieci lire!

Fu chiesto ad Antonino Trotta quando tornò da Napoli. Per dire "a" ci vogliono dieci lire... a quell'epoca... Che direbbe oggi?

 

– Tenavàme pure nù nu bell'uattóne e mó addó ŝta?

– Ze re magneàrne re sùrge adàld'a ru cuatenàre.

Fra amici di Erasmo. Il gatto se lo mangiarono i topi (erano elefanti) in soffitta!

 

– Coma fieà a vénne 'l siégge a na lira e mezza l'una se ì arróbbe la paglia?

– Ì l'arróbbe fatt'e bòne.

Raccontata da Erasmo fra due fabbricanti di sedie. Come fai a vendere le sedie a quel prezzo se io rubo la paglia? Io le rubo già fatte (ossia compete).

 

– E se ru sacriŝtàne ze mòre?

E se il sagrestano muore? Così disse mastro Orazio agli amici di Sant'Angelo del Pesco quando doveva prendere la carrozza per andare in Puglia (a quei tempi) sicuro che la corriera passava quando il sagrestano avesse suonato la campana alla 21ª ora. Purtroppo il sagrestano si dimenticò di suonare e la carrozza passò, cosicché mastro Orazio dovette prendere un mulo per raggiungerla.

 

– Tìte Tìte, quanda cóse tiénghe da dìrte!

Così disse Sardanella a Tito Stabile che già da tre anni era tornato dall'Argentina e lo voleva ragguagliare sulle condizioni dei fratelli che colà avevano fatto una grande fortuna.

 

– Madonna méja, falla 'scì nétta...

– Ma ch'ara 'scì nétta se ru cuacatùre ŝta chìne?

Madonna mia fatela uscire pulita la mano. Ma non poteva uscire netta in quanto si era già tutta sporcata nel vaso da notte. Così diceva mast'Auŝtìne ru Ferràre quando vedeva una cosa che, in un primo momento, sembrava facile e che poi diventava difficile.

 

– Se ze vevésse tanda acca la vacca méja avrìa ŝcattà.

Così disse l'ostessa di Sant'Angelo del Pesco rivolgendosi a due carbonai di Capracotta (pare che fossero Cardìglie e Adriano Comegna) che, per una scommessa, bevettero tanto tanto vino.

 

– N'avàŝta ru Cuoàmbe e re Mónde pe pesà.

Non basterebbe come volume né Monte Campo né Monte Capraro a ricompensare tutti i carboni che aveva rubato C. Labbate durante la sua vita (cosa comune ai carbonai di Capracotta!), ruberie che poi se ne andavano via così come venivano. Si racconta che una volta pesarono addirittura un ragazzo al posto del carbone e che il compratore (persona autorevole) disse che aveva visto entrare due e non tre persone.

 

– Mai più Leonardo!

Così disse un notaio di Lucera a Nardo Comegna quando questi gli espresse l'augurio di fare altre forniture di carbone: pare che al posto di quattro quintali venduti, furono pesati malamente otto e per tanto pagati. Si racconta che il notaio, mentre stava pagando, sudava come don Abbondio dopo che lo avevano fermato gli sgherri di don Rodrigo.

 

– È ŝtate ru carbunàte ch'i à còtte le spalle.

È stato il bicarbonato a cuocere i fagioli. Così disse Chianuózzo alla moglie che si vantava di aver saputo cuocere i fagioli senza ingredienti.

 

– Ŝtieàne troppe dutturìsse alla Sucietà.

Vi sono troppe persone che guardano come giochiamo alla Società. Così diceva mastro Orazio quando gli amici lo invitavano in quel locale a fare la partita.


Gregorio Giuliano



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