top of page

La Fonte del Duca e la bretella transumante


La Fonte del Duca (foto: F. Di Tella).

A vederla così, sembra una fonte anonima al pari di tante altre, sparse sul territorio di Capracotta, eppure questa è l'unica a fregiarsi del titolo aristocratico, visto che apparteneva a don Giacomo Capece Piscicelli, che deteneva il titolo feudale di duca di Capracotta, proprietario di terre molto fertili in contrada Macchia. Alla sua morte don Giacomo lasciò ogni bene a suo figlio Carlo, quindi a sua moglie Mariangela de Riso, duchessa di Carpinone, che alla fine, per i debiti accumulati e per altre vicissitudini storico-politiche tra Borboni e Francesi, i loro figli furono costretti a vendere.

La Fonte del Duca è geograficamente l'ultima fontana che si incontra sul territorio di Capracotta attraversando quella bretella transumante Castel del Giudice-Sprondasino di 29 km. che univa i due tratturi Celano-Foggia (208 km.) e Ateleta-Biferno (28 km.).

Il tratturello di terzo livello partiva da Castel del Giudice a quota 800 m., costeggiava in sequenza il Vallone Molinaro, la sorgente dell'Acqua Zolfa e, dopo un'erta ascesa, giungeva a Capracotta in località Coccia Muzzo, poi ridiscendeva alla Fonte Giù, toccando il Casino, la Fonte del Procoio, la Fonte dei Pezzenti, il pilone di Passo della Regina e, finalmente, la nostra fonte di sangue blu.

Va detto che in località Casino, dove una volta operava la trebbiatrice di Vincenzo Di Tanna "re Mulnàre", era presente una zona di sosta (re jàcce) sia per la partenza che per il rientro dei transumanti capracottesi.

Tra il XV e il XIX secolo Capracotta ha rappresentato uno dei maggiori centri della transumanza che, coi suoi 110.000 ovini, contribuì allo sviluppo economico dell'intero Alto Molise. Lungo il Verrino erano invece operativi diversi opifici che lavoravano i prodotti derivanti dalla tosa delle pecore e che crearono uno grande indotto anche nella lavorazione del latte, cosicché Capracotta vide aumentare costantemente la popolazione fino a 5.000 abitanti e la vicina Agnone raggiungere la ragguardevole cifra di 10.000 persone.

Il comparto transumante interessava in tutto cinque regioni: Abruzzo, Molise, Puglia, Campania e Basilicata, con circa 3.000.000 di capi nel 1700. Si pensi che per ogni 100 pecore occorreva un pastore, oltre al personale preposto alla lavorazione dei prodotti caseari, alla concia delle pelli e alla sorveglianza, (persone autorizzate a portare il fucile), accompagnati dai cani col collare di chiodi per proteggere il gruppo di uomini e pecore dagli attacchi dei lupi.


Il pilone di Passo della Regina (foto: F. Di Tella).

Con l'avvento dell'Unità d'Italia l'economia transumante divenne il pretesto riparatore per le spese militari sostenute, il che portò, a fianco al progresso tecnologico, alla lenta rottura di quel "giocattolo" perfettamente funzionante: nel 1950 le pecore erano ormai 250.000 e negli anni seguenti il fenomeno semplicemente scomparve. A prima vista il tramonto della transumanza peggiorò le condizioni di vita in alta quota mentre le esigue greggi che continuarono a transumare lo fecero tra mille sacrifici e difficoltà, dato che i vecchi privilegi legati alla movimentazione di quegli sterminati armenti erano ormai un ricordo.

Gli umili capracottesi, che avevano conosciuto un ininterrotto aumento demografico fino al 1900, non conobbero mai pari aumento delle condizioni igienico-sanitare ma furono sempre soverchiati da chi imponeva loro lo stato di legittimo possessore di diritti inalienabili diritti!

Tra l'800 e il '900 nacquero a Capracotta e nei territori vicini dei motti canzonatori che con fine sarcasmo raccontavano la realtà. Dopo l'avvento dei Francesi si diceva "Egalitè, fraternitè, spògliate tu e viéŝtem'a me"; con l'Unità d'Italia invece "Finita la transumanza o brigante o emigrante"; dopo la conversione dei pascoli in colture scarsamente redditizie, negli anni '30 si era soliti dire: "Date a un capracottese l'accetta, l'aratro, la zappa, la cavezza di un cavallo o di una giumenta e sarà contento". Che magra consolazione!


Tra un fiore colto e l'altro donato l'inesprimibile nulla.

[G. Ungaretti, "Eterno", 1915]


Filippo Di Tella

bottom of page