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Il mistero del Monte Campo


Panorama di Capracotta dalla vetta di Monte Campo (foto: P. Dell'Armi).

L'indomani si tornò alle occupazioni solite: gli uomini al lavoro dei campi e al pascolo degli armenti; le donne a filar la lana, a sfarinare i legumi, a riassettare la casa, a pulire le madie e i forni per il pane. Erennio e suo padre con alcuni garzoni andarono verso le pendici della montagna più alta della zona, il Monte Campo, in una località chiamata ancora oggi "Procuoio", ove si era soliti radunare le pecore in speciali stazzi durante la notte per difenderle dai lupi.

La famiglia Ponzio possedeva un numeroso gregge, che dopo lo svernamento nella terra più mite dei Dauni stava per tornare ai pascoli di montagna per la stagione bella: occorreva preparare le palizzate del procuoio per ospitare le oltre tremila pecore transumanti, divise in tante mandrie con seguito di cani, cavalli, muli e di carri carichi di attrezzature per la lavorazione del latte e del formaggio. Bisognava affrettarsi poiché l'arrivo del gregge si annunciava imminente dal tratturo di Duronia, tanto più che bisognava partecipare alla prossima festa della dea Perna, protettrice degli armenti. La giornata trascorse in questi preparativi, così il giorno seguente; al terzo Erennio girovagò col padre ai piedi di Monte Campo, il monte che assomigliava a un felino accovacciato, curiosando fra le rocce e i cespugli. Fu attratto da un particolare ben visibile sulla parete rocciosa del monte nella parte posteriore che guarda a mezzogiorno.

Gli sembrò di vedere sulla fiancata liscia una grotta incavata a forma di capra, molto ampia ma poco profonda. Continuando a osservarla, si convinse sempre più che fosse veramente una capra accovacciata con la testa rivolta a osservare tutto ciò che accadeva nella distesa sottostante fino all'altra montagna dirimpetto. Incuriosito, chiese al padre chi avesse scavato quell'anfratto e perché poi questo avesse la forma particolare di una capra.

Il padre, che conosceva l'antica leggenda intorno a quel segno particolare incavernato nel fianco di Monte Campo, si meravigliò del modo come Erennio l'avesse scoperto da solo, rivelando spiccato spirito d'osseriazione, e tentò di dargli la spiegazione nata dall'esaltante fantasia degli antenati.

– Una leggenda – disse – tramandataci dai nostri avi racconta di una capra che si avventurò sola, inerpicandosi tra le rocce, per recidere i freschi germogli delle piante di rovo. A un tratto il cielo si oscurò come avviene spesso in montagna, dense nubi avvolsero il Monte Campo annunciando un forte temporale con lampi e tuoni; la pioggia cominciò a scrosciare, aumentò poi con forte intensità battendo sulla fiancata come se volesse lavarla e levigarla; un fulmine guizzò all'improvviso e incenerì la capra, poverina!, incidendo nella parete precipite la sagoma incavata della stessa bestiolina, quasi a formarne della grotta visibile da lontano uno dei misteri della natura. Il "mito della capra incenerita da un fulmine" è il mistero che il Monte Campo nasconde da secoli. Con questo racconto, amplificato ed esaltato dalla fantasia dei nostri avi, s'intese attribuire a quei luoghi una caratteristica indelebile.

Erennio, meravigliato e convinto della spiegazione del padre, seppe intendere da quelle parole il significato che «ove le montagne presentassero qualche particolarità nella loro configurazione, era necessario cogliere quella stessa configurazione come il segno di un mistero della natura, capace di persistere oltre i limiti del tempo», così concludeva il genitore. Tale segno è visibile da lontano, ancora oggi, sulla parete del Monte Campo.

Erennio volle per questo fare l'ascesa di quella montagna "incantata", perché nascondeva il mistero della capra incenerita. Così in un'ora di cammino, per una

sequela di sporgenze di duri massi pietrosi, intersecate da solchi e da vuoti diseguali, padre e figlio raggiunsero la cima, sulla quale, ai nostri tempi, svetta da ormai cento anni una croce di ferro.

Quale spettacolo stupendo si aprì al loro sguardo! Monti, valli, fiumi, boschi tutt'intorno: un paesaggio che sfumava all'orizzonte perdendosi in una nebbiolina azzurrognola.

Il territorio che si scopriva, dall'Adriatico al Tirreno, dal massiccio della Maiella alla terra dei Dauni, era abitato dalle tribù dei Carecini, dei Pentri, dei Frentani e poi, oltre il Tiferno e il Taburno, dalle tribù dei Caudini, degli Irpini, dei Lucani, che avevano la stessa origine sannitica, la stessa religione, usi e costumi comuni e la stessa lingua; occupavano quella zona dalla notte dei tempi. Assorti per alcuni minuti nello spettacolo del paesaggio, furono attratti poi da un'altra particolarità della montagna: dalla cima dirupata vedevano ai loro piedi un ammasso di blocchi calcarei provenienti dalla stessa cima, che scendeva giù per oltre un chilometro.

Il ragazzo chiese spiegazione al padre, come di solito, ma il genitore questa volta non seppe rispondere. Si trattava, e si tratta, di una frattura del crinale causata, durante il cretaceo superiore, da un terremoto che aveva dato luogo a un lento scorrimento dei massi, giacchè questi giacevano su un terreno franoso e che tutt'ora impercettibilmente continuano a scorrere, secondo quanto stabilito dai moderni geologi. Da ciò si può arguire che il Monte Campo, prima della suddetta frattura, avesse altezza e forma diverse da quelle attuali. Lo stesso fenomeno si era verificato là, sulla fiancata che guarda a occidente, ai piedi della nicchia a forma di capra di cui abbiamo parlato.


Antonio De Simone

 

Fonte: A. De Simone, Il Sannita. Il coraggio di un popolo, L'Autore Libri Firenze, Scandicci 2009.

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