Oltre l'alba delle nebbie: la "valle sorda"
- Letteratura Capracottese
- 11 lug
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Eppure quella valle, dalla quale loro avevano avvistato la colonna tedesca, l'estate si riempiva delle voci chiassose dei gitanti che, nelle calde ed afose giornate, vi si portavano per trascorrere ore serene in allegria recando seco vettovaglie per un lauto pranzo oppure per una saporita cena a base di arrosti alla brace e di gioiose bicchierate che si concluderanno con un ritorno sereno verso casa: con lentezza, perché era il tempo di intonare in coro le tipiche canzoni e i tipici stornelli paesani!
Quella valle, d'estate così amena con sottoboschi puliti e calpestabili, sui quali si ergevano splendide latifoglie che si abbracciavano dalle parti opposte della strada per costruire ombre impenetrabili, con quel fresco ristoro tanto desiderato e ambito dagli allegri gitanti, con l'aria frizzante e pulita che invogliava a respirare a pieni polmoni, era tuttavia solita a cambiamenti improvvisi quanto inaspettati, non voluti e non graditi, foriera di panico fra i paesani le cui paure restavano inascoltate sicché, proprio per ciò, era stata chiamata la "valle sorda": essa, anche quel nove di settembre, restò "sorda" alle preghiere dei due giovani che per primi avevano avvistato le truppe tedesche e "sorda" restò ancora al passaggio di quella colonna che, nel borgo, avrebbe poi portato disgrazia, sofferenza e morte!
Quella stessa valle nelle rigide giornate d'inverno, quando la neve precipitava copiosa coprendo di manto abbondante le strade, i boschi, le campagne, le montagne e i paesi, diventava odiosa, inospitale e nemica: cimitero di morti, insidiosa per le altezze innevate, del tutto "sorda" al lamento dell'uomo che, smarrendo la strada, restava sepolto per sempre fino a quando non fosse giunta la fine! Oh... tu viandante solitario che, alla prima neve cadente, ti poni in cammino nel sogno di tornare alla tua casa presso il tuo focolare, ti prego... viandante... io ti scongiuro solitario viandante, non sfidare la "sorda valle" che, con la sua bufera cattiva e furibonda, disperderà nel vento il tuo lancinante e pietoso grido di aiuto: quella "valle sorda" gelidi i tuoi resti ricomporrà in fredda bara bianca che restituirà alla tua vana speranza di ritorno!
Anche quel nove di settembre, la "valle sorda", al passaggio delle odiate truppe,cambiò rapida di umore così come nei tristi inverni di neve: seppure ancora rigogliosa, tirò fuori la sua rabbia e le foglie dei boschi si separarono dal loro abbraccio di ombra e di freschezza; il sole più penetrante abbagliò per strada la colonna e un vento impetuoso eradicò rami e cespugli in segno di protesta; come d'inverno al viandante, anche allora la "sorda valle" avrebbe voluto impedire il passaggio delle truppe ostili ma non c'era la neve, purtroppo, per seppellirle dentro bare bianche, non c'era tempesta che mandasse quella colonna al vento: pure la "valle sorda" dovette rassegnarsi alla resa e assistere impotente al passaggio del nemico!
Il borgo, ridotto senz'anima, assisteva in silenzio allo scendere voluttuoso di qualche foglia cadente mentre per strada si alzavano folate di vento, timido rumore nella piazza che, dimenticata la festa, era diventata deserta come colta da morte improvvisa: immobile anche la campanella della chiesa la quale non aveva più ragione di emettere gioiosi rintocchi!
Le case, trasformate in ruderi deserti, erano diventate, in apparenza, vuote di persone come se facessero parte di un vecchio ed antico borgo da tempo abbandonato; soltanto il vecchio cane randagio, debole e mansueto, si trascinava pesante lungo la discesa, incredulo di esser solo e conscio del preludio della fine: di tanto in tanto si fermava e guardava d'intorno, sorpreso che tutta quella gioia fosse finita in un istante; il suo abbaiare, pietoso e scostante, si disperdeva nei vicoli e tornava indietro come un'eco malinconica e sofferta!
Il sole, nascosto da una nube trasparente, restituiva alla terra raggi appena intiepiditi i quali prendevano parte attiva a quell'evento; la sfera di fuoco già pensava all'indomani, quando essa non avrebbe più illuminato una folla innocente e festante che aveva già programmato l'ascesa lungo i pendii delle montagne vicine: il percorso tanto atteso fra i sentieri degli abeti, il riposo infine meritato nel "gentil prato" sull'altura, circondato dai boschi a mo' di corona, oppure sui prati d'appresso ancora freschi di erbe settembrine; quel sole, ricoperto da una nube di tristezza, già presagiva quel giorno inutile e triste e accusava dolore per l'invano percorso che, dall'alba al tramonto, avrebbe dovuto eseguire a fatica, senza gioia alcuna per quella folla di reclusi.
Ugo D'Onofrio
Fonte: U. D'Onofrio, Oltre l'alba delle nebbie, Fondazione Mario Luzi, Roma 2024.