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Il paese dei balocchi


Mahmood
Mahmood vincitore del 69° Festival di Sanremo.

Piccoli saggi di democrazia diretta.

"Soldi", la canzone con cui Mahmood ha vinto l'ultimo festival di Sanremo, è diventata la più scaricata su internet della storia d'Italia: solo su YouTube è stata ascoltata oltre cento milioni di volte.

Per intenderci: "I giardini di marzo" di Lucio Battisti sta sui dieci milioni, "Volare" di Domenico Modugno sui dodici.

Non fosse per l'accidente che "Soldi" vinse coi voti della giuria di qualità, cioè delle élite radical chic di Capalbio (a conferma che poi tira lo stesso vento per tutti, a Capalbio o a Capracotta), e non fosse per l'altro accidente, che Mahmood è un immigrato di seconda generazione, quindi in sé disarmonico al sovranismo, e fosse invece soltanto per assecondare la sacra volontà del popolo, "Soldi" potrebbe assurgere a inno nazionale, per di più con quel titolo corrispondente all'unanime aspirazione.

Se pensate si tratti di sarcasmo, siete fuori strada: com'è risaputo, dalla maturità è stata abolita la traccia di storia col motivo che lo scorso anno era stata scelta soltanto dall'1,7 per cento dei candidati.

L'introduzione del gusto degli studenti nello svolgimento degli esami è un passo deciso lungo il cammino che conduce al paese dei balocchi, nostra inevitabile meta.

E l'attestato s'è avuto ieri, quando hanno chiesto al presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra, se condivida Di Battista quando propone di derogare dalla regola dei due mandati in Parlamento.

È meglio di no, ha risposto Morra, ma se gli attivisti diranno di sì a me va bene.

Cioè, se i miei elettori vogliono una cosa sbagliata, io gliela do: sintesi insuperabile di un suicidio collettivo.


Mattia Feltri

 

Fonte: M. Feltri, Il paese dei balocchi, in «La Stampa», Torino, 20 giugno 2019.

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