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La strada d'erba (II)



Ma l'arte del lamento ben sapeva

l'ardente pecoraio: – Ebbene vada

come per giusto quello che tu dici.

Or noi dei monti che soltanto paschi

abbiamo, dove mai menar dovremmo,

quando la neve o il ghiaccio ce li copre,

le nostre buone pecore affamate

se non in Puglia, nella vostra piana?

Ciò da secoli avviene, non da ieri;

e il tratturo è la strada d'erba aperta

a noi del monte verso la pianura

dal sole arrisa, che da me, dai padri

a cui donò il benessere, fu sempre

come novella madre benedetta.

Otto mesi dei dodici dell'anno,

ben otto qui restiamo, onde la vera

casa per noi è questa; e quando in via

per l'erboso tratturo ci mettiamo,

un antico stornello in cuor ci canta:

Donna di Puglia in terra di Montagna.


Aveva l'uomo troppo caro il forno,

cui vita dar voleva oltre la propria

vita. Così che quando il giorno dopo

la moglie disse a lui: – Non si rassegna

la nostra figlia –, s'ebbe un urto al petto.

S'accasciò, si riprese e diè di piglio

ad una pala, e dalla rossa brace

scoppiarono a miriadi scintille,

sì che parve per entro vi bruciasse

il vecchio ceppo del suo rotto cuore.


Or non aveva requie fra le mura

della casa. Ma quando udì nell'ombra

rompersi dei singhiozzi, il grosso nodo

che da più giorni lo teneva stretto,

si sciolse anch'esso, e sui capelli neri

di sua figlia una lagrima depose

insieme con un bacio. Sotto voce

avvertì poi la moglie: – Il due febbraio

è festa per le case buone; e avvisa

dunque che venga per la Candelora.


Ebbero dolci tempre le campane

sulla prim'alba acerba di febbraio,

e nella casa sveglia fin nell'ombra

arse più che una lampada sui quadri,

nella soavità dell'olio biondo.

A terza che la messa fu cantata,

con l'acqua venne insiem la candeletta,

quella che brucia nelle più solenni

attese della vita e della morte;

e seco trasse aroma d'innocenza,

come se nella casa inavvertito

fosse scorso un turibolo d'incenso.

E la vergine cera a fior dipinta

di fianco al letto appesa in fila venne,

come l'altre ingiallite ormai dal tempo.

Sul muricciuolo s'erano adunati,

di fronte al sole scialbo, i passerotti

in festa, per sentire l'aura mite

del forno e per assumer le cadute

briciole con un trillo su nell'alto.


E la giovine disse al pecoraio:

– Ho fatto un voto e, prima che in cammino

si mettano le pecore, la mamma

noi due accompagnerà in pellegrinaggio

a Monte, al santuario dell'Arcangelo. –

E lui rispose: – E quando mia sarai,

meco ti condurrò a San Gabriele,

al nostro Santo che di là d'Assergi,

nella vallata opposta del Gran Sasso,

ha il santuario caro ad ogni cuore

d'Abruzzo, con la piccola fontana

che guarisce le piaghe più ribelli.

La festa è nel settembre, e tutto il mese

è un accorrer di gente. E te vicina

allora avrò per sciogliere il mio voto.


V'era dintorno come un primo vago

effluvio di viole a ciocche, quelle

che s'aprono sul muschio lungo i muri,

dove più urge il croscio violento

delle piogge. E salendo sulle balze

egli stupì vedendo già fioriti

gli orli di pratoline, nell'azzurro

velo dell'aria. Ed un mattino roseo

e molle del riposo della notte

(notte d'aprile in cielo di febbraio),

tutto il piano s'empì delle farfalle

tenere in vetta ai mandorli trapunti;

e il giovine sognava: – Profumata

neve è questa che fiocca sulla terra

al tuo precoce soffio, o primavera!


Umberto Fraccacreta




 

Fonte: U. Fraccacreta, Nuovi poemetti, Cappelli, Bologna 1934.

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