top of page

Il territorio di Capracotta: le prime cronache cittadine



Che gli ordinamenti del primo Aragonese nel 1447 in pro della pastorizia fossero riusciti di giovamento alla nostra popolazione, anzi alle nostre popolazioni montane, può argomentarsi dalla notorietà in cui vennero nell'epoca immediatamte posteriore oscuri paeselli sparsi attraverso i massicci del Gran Sasso, della Majella, delle Mainarde, del Matese; i quali presto ebbero notevole popolamento ed assetto, quali, per citarne qualcuno Scanno, Pescasseroli, Palena, Roccaraso, Pescosostanzo, Frosolone, Celano, S. Demetrio, Morcone; dai quali si levaron non soltanto per ricchezza non poche famiglie, ma a rinomanza per intelletto e dottrina, ad esempio i Cappelli, i Sipari, gli Angeloni, i Croce.

Così anche Capracotta fece il suo passo innanzi nell'incremento della popolazione, della prosperità, del progresso intellettuale. Già prima d'ogni altro emerge l'accrescimento costante della popolazione dal succedersi delle Numerazioni dei fuochi.

Nel più antico Registro di queste che mi fu dato di consultare, compiuto l'11 Novembre 1522 dal Commissario fiscale Sebastiano Di Santo da Sepino, assistito dall'Arciprete locale Arcangelo Di Rienzo e da Nicola De Cagno e Gabriele Carfagna trovansi noverati 118 fuochi. In quelle successiva del 1545 compiuta il 3 Agosto da Girolamo Brancia, Giacomo Miraglia e Alessandro Passeri, Arciprete Amico Carfagna, Salirono a 134; nell'altra del 1561 a 175; nell'altra ancora del 1575 a 248.

Dell'incremento nella prosperità finanziaria primi chiari indizi si traggono dai Quinternioni e dai Cedolari del Molise nel Grande Archivio di Napoli. Nel Repertorio ai Quinternioni di Terra di Lavoro, e Molise leggesi in: «Carovilli, Castiglionis Castri Anno 1515 Salvictus de Carphaneis de Capracotta asserì aver comperato da Bartolomeo ed Adriano Carafa suo figlio ed altri suoi fratelli le Castella di Carovilli e Castiglione e certa parte de Vassalli che tenevano nel Castello de Sangro per ducati 2.700 con tutte le ragioni di mero e misto impero ad jure baronibus».

Nel Cedolario di Molise «a 8 Gennaio 1515 prestato R° assenso alla vendita fatta da Bartolomeo Carafa padre e Adriano suo primogenito dei Castelli di Pietrabbondante, Caccavone e Pizzi a Salvitto Carfagna ad jure Baronum al prezzo di ducati 4.300. Il medesimo Salvitto vendeva il 5 Giugno 1517 ad Alfonso de Raho ducati 187-2-10 delle sue entrate sui detti Castelli».

Nello stesso Cedolario leggesi: «Per fidem D.ni Dominici Castaldi di Not. di Napoli costitutus sub die vigesima mensis Januari 1583 Fabius de Anna vendidit libere absque pacto de retrovendendo Mariæ de Buccis de terra Capracoctæ pheudum S. Mauri» e nell'altro consecutivo leggesi che dopo di Maria il feudo detto fu intestato a Francesco di Buccio.

Negli stessi Registri dei fuochi appaiono i cognomi di altre famiglie venute poi notoriamente in agiatezza, Baccari, D'Andrea, Carnevale, Di Majo, Pettinicchio, Pizzelli, ed altre.

Quanto all'incremento nel campo intellettuale indizii sicuri emergono sia dalle indicazioni ora riferite, sia da altre particolari, tra cui in preferenza son da ricordare talune riguardanti la famiglia Carfagna, dalla quale più d'uno venne in rinomanza per essersi segnalato nelle discipline giuridiche o militari. Trascrivo all'uopo prima quel che della famiglia stessa è annotato nel registro dei fuochi del 1522, "Folio 451":

  1. Capsilla de Carphaneis, in veteri Numeratione non indicatus, quia dicitur esse ad servitia Cesareæ et Imperialis Mujestatis in partibus Lombardiæ cum alios ejusdem castri Capracottæ. Est persona privilegiata et non exigitur, annorum, 53 viduus. Habet filiam nuptam in civitatem Sulmonis cujdam nobili viro Francisco Andreæ de Baccaris.

  2. Petrus Paulus ejusdem frater, solutus, qui similiter est in partibus Lombardiæ annorum 42.

  3. Joannes Baptista nepos prædictorum, ex quondam Bernardino, legum doctor eorum frater, similiter absens videtur partibus Lombardiæ annorum 32.

  4. Bernardinus nepos prædictorum Abbas tituli Monte Vetere annorum 17.

Da questo stato di famiglia risulta come più antico Bernardino addottorato in legge, come attesta il Ciarlanti, divenuto poi in questa eccellente tanto che la Regina Giovanna II gli commise la soluzione d'una importante contestazione territoriale fra Tiberio Caracciolo e la Comunità di Agnone pel Casale di Rocca Labate; e nel 1499 da Re Federico d'Aragona fu nominato Giudice ed Auditore degli Abruzzi.

Secondo fu il già nominato Salvitto, che con la raggiunta agiatezza poté competere con nobili feudatari nell'acquisto delle loro possidenze.

Terzo è più celebrato fra tutti fu Calzella, che illustrò il casato e il natio loco con la fama di supremo maestro nelle manovre guerresche e più nel maneggio dell'Artiglieria, magistero che a quei tempi poteva dirsi alla sua infanzia.

Il Calzella, o Cæcella, o Capsilla come è indicato nel Registro sopradetto, nato il 1369 era dunque vedovo nel 1522 e non aveva avuto che una figlia già maritata al nobiluomo Francesco Andrea de Baccari. Egli trovavasi in quell'anno presso il Comando dell'esercito di Carlo V in Lombardia con altri di famiglia ed anche compaesani. Il Ciarlanti afferma che aveva fatto carriera con Antonio de Leva. Poco appresso egli fu inviato in Toscana a guidare l'Artiglieria come vedremo. Infatti nel Ciarlanti troviamo inserita buona parte di un Breve indirizzatogli da Papa Clemente VII da Bologna in data 8 Novembre 1529, parte che l'autore asserisce d'aver tratta dall'originale conservato dai discendenti del Carfagna in Capracotta. Avvertasi che la prima edizione delle "Memorie storiche del Sannio" venne fuori nel 1644 in Isernia, per cui non è poco a deplorarsi che quel diploma fra altri documenti che certo dovevan rimanere di quella famiglia fosse andato disperso e distrutto come del resto ogni altro antico del paese e delle famiglie, così che nulla ce ne resta, e se non fosse stato il Ciarlanti a rievocarne qualche ricordo tutto resterebbe sepolto nel più completo oblio.

In quel Diploma il Papa, encomiando largamente lo studio, la fedeltà, la perizia addimostrate dal Carfagna con efficace profitto della Santa Sede e dello stesso Imperatore, non esita a lusingarlo con l'offerta di tenerlo solo per sé nel caso che per una qualunque ragione si fosse allontanato dal servizio imperiale. E qui credo conveniente copiare la parte trascritta dal Ciarlanti come degna di far parte di quelle Memorie di Capracotta raccolte dal Dott. Mosca e di aggiungervi qualche commento che mi sembra appropriato a completare la storica figura del celebrato guerriero.

«Dilecto figlio Calzellæ de Carphaneis nostro et S.e Romanæ Ecclesiæ Tormentorum bellicorum, seu Artelliarum Præfecto, seu Capitaneo Generali [...] Nemo se nobis obtulit nec aptior, nec magis dignus, quam tua devotio, cui curam hujusmodi demanderemus, quique, majori come studio, fide ac peritia cum nobis, tum Serenissimo ipsi Cæsari sis satisfacturus, cujus quidem Serenitas; et si a te demoveri, tuoque ministerio tam egregio, et fido si aliqua ex parte privari ab aliis non facile pateretur, pro eo tamen benevolentiæ, et amicitiæ vinculo, quod inter eam, et nos intercedit, proque perpetuo ejus nobis et S.e Romanæ Ecclesiæ, cujus optimum et observantissimum filium se præstat gratificandi studio libenter permisit, ut nos quoque et eadem Ecclesia hos tuæ virtutis fructus perciperemus».

Ora il perché quel Pontefice si fosse degnato di lodare così il Carfagna non poteva derivare che dalle ben riuscite imprese belliche guidate dalla solerte e intelligente opera di tui in quegli ultimi tempi e specialmente in quell'anno 1529 in Toscana, e nell'assedio di Firenze principalmente.

È noto infatti che, in seguito alla disfatta di Francesco I a Pavia, Carlo V poteva considerarsi padrone anche d'Italia eccetto la Toscana che schivava di riassoggettarsi alla signoria dei Medici tanto bramata dal Pontefice che era di quella famiglia (Giulio de' Medici). Ma questi, nel concordare con Carlo a Barcellona, poco innanzi alla Lega di Cambrai, ottenne l'impegno suo del riassoggettamento forzato della Toscana ai Medici.

Scrive il Guicciardini: «Carlo, subito ch'ebbe fatto l'accordo col Pontefice, commesse al Principe d'Oranges che, a requisizione del Pontefice, assaltasse con l'esercito lo Stato dei Fiorentini; e composero che il Pontefice gli desse prima 30.000 e poi 40.000 ducati per ridurlo a restituirlo alla famiglia dei Medici. All'Oranges si unì a Spello il Marchese del Vasto, e, occupate diverse città e borgate, posero l'assedio a Firenze. Io non dubito che l'Artiglieria del Marchese d'Avalos fosse da allora comandata dal Carfagna, e che, nell'assedio detto, le ben riuscite prove dei cannoni e delle colubrine, come dice il Guicciardini, contro parecchi forti e contro il palazzo dei Signori fossero state dirette dal Carfagna. Ma l'assedio durava a lungo e poiché la risoluzione dei Fiorentini era di difendere Prato, Pistoia, Empoli, Livorno, nelle quali avevano messi presidi sufficienti, fu deliberato dagli assedianti di occuparle». E a questo punto la parola al Giovio: «Francesco Ferruccio, fiorentino era a guardia di Empoli desideroso d'acquistar lode nella nuova milizia. Diego Sarmiento fu mandato dal Principe di Oranges a espugnare Empoli, e il Marchese del Vasto gli diede alcune compagnie di soldati vecchi spagnuoli e provvide di buona artiglieria. Giunte queste, le piantò il Sarmiento fra Arno e terra, e ordinò di battere le muraglie a due lati diversi. Resisteva Alessandro Vitelli con le fanterie italiane. Da la parte del Sarmiento, per la prima e principal cosa Calcella pugliese, maestro dell'artiglieria, in pochi colpi ruppe le mulina et le spezzò in modo che, apponendosi uno margine, rivolse a mano manca un canale di acqua corrente, il quale voltava le rote et le macine, et perciò le fosse, essendogli tolta tutta l'acqua del fiume, si seccarono, e i soldati spagnuoli si confidarono di potere entrare dentro da quella parte. Ma l'argine di terra molle cedeva sotto i loro piedi. Allora furono sparati più di 200 colpi di artiglieria grossa contro la muraglia e questa s'aperse».

Così fu presa Empoli. Ma il Ferruccio già era accorso a Volterra che era fortezza assai importante e munita, e contro cui era accampato il Maramaldo. Da Empoli il Carfagna passò a questo terzo assedio. Quindi, segue il Giovio «il Marchese del Vasto, preso e saccheggiato Empoli, col Sarmiento andò a Volterra, perché il Maramaldo (Maramaus lo chiama l'autore) aveva fatto chiedere rinforzi e buon apparato di artiglieria non essendo a nulla riuscito con la propria. Il Marchese aveva piantato pezzi grossi parte per diritto parte per fianco, e foce battere la muraglia con tanta furia che fu aperta con 400 colpi di palle di ferro. Più ancora ne fu gettata in terra dalla parte dove era Maramaldo, onde Ferruccio fu costretto a ritirarsi».

E prosegue narrando le vicende furiose degli assalti dati e ripetuti dagli essedianti traverso le mura cadenti in cui trovavansi infisse punte di ferro aguzze, assalti guidati dai capi in persona, e della difesa disperata degli assediati, paurosi forse della inesorabilità del Ferruccio, intenti a rotolare persino botti colme di sassi. Il Sarmiento pel primo cadde per archibugiata, poi il Duca di Navarra, che l'autore chiama Macicao, poi il Carfagna. Scrive testualmente il Giovio: «In questi assalti morirono molti valenti uomini e fra gli altri Calcella pugliese, maestro dell'artiglieria, il quale era reputato il più valente uomo che fosse in quell'esercito, sì come quegli che nelle guerre passate aveva servito benissimo il Signor Antonio de Leva. Vi fu ammazzato ancora Donato da Trani, il quale per essere sufficiente in quella arte era succeduto al Calcella.

Tenendo ora innanzi, che questi fatti per la resa di Empoli e di Volterra avvennero nel 1530, e che il Breve di Clemente VII era del Novembre 1529, non rimane dubbio che il Carfagna avesse già preso parte all'assedio di Firenze, si fosse segnalato in esso, nonché nelle precedenti occupazioni di Arezzo, Spello, Pietrasanta, S. Gimignano e altre fortezze toscane, con evidente compiacimento di Sua Santità, il quale glielo esprimeva con quel diploma. Si argomenta bene che il Carfagna doveva essere dottissimo ed espertissimo in balistica.

Di Giambattista, quarto dei Carfagna, scrive il Ciarlanti desumendolo dal Chioccarello, come «militando nel 1517 in Lombardia con Antonio de Leva, con carichi al suo valor convenienti, infermatosi nella città di Pavia, dopo ch'ebbe ricevuto dal suo Generale ogni grande onore, vi venne a morire e nel suo funerale furono fatte quelle dimostrazioni che a gran soldati far si sogliono e, volendo in parte mostrarsegli grato fè subito nel medesimo luogo e grado assentare (?) un nipote di quello per nome Desiderio quantunque giovane che ivi esisteva».

Desiderio adunque, un quinto della famiglia. Quanto al sesto, ossia Bernardino, il giovane abate di Montevetere, non resta che il suo nome. Come è riferito nella Numerazione la famiglia veniva considerata privilegiata pari alle grandi feudatarie, onde era esente dalla tassa del fuoco.

Nello stesso Registro del 1522 e nelle altre Numerazioni del 23 Agosto 1545 e del 10 Marzo 1561 si incontrano i cognomi di famiglie tuttora sopravviventi, in mezzo a molte scomparse, ovvero esistenti in paesi contermini.

Occorre qui notare che fino al 1644 nessun Registro o Annotazione si stendeva in paese della Popolazione, né, per quanto si sappia, si conservava copia delle suddette Numerazioni ordinate dagli Aragonesi e continuate sotto i Viceré Spagnuoli. Soltanto in seguito ad ordinanze pontificie i parroci dei nostri luoghi furon tenuti a segnare i battesimi, le cresime, i matrimoni, le morti con le singole date rispettive ed anche le somministrazioni dei sacramenti. Nel 1644 appunto il nostro arciprete Pietro Paolo Carfagna imprese a compilare queste registrazioni in un volume che intitolò: "Catalogus rerum notabilium juxta rituale romanum ad curam animarum pertinentium inceptus ab anno 1644 ab Archipresbitero Petro Paulo Carphaneo" col quale si proponeva dunque anche qualche cenno di fatto memorabile relativo alle anime ed alla comunità.

Frattanto, e cioè tra la fine del 1400 e il 1505, l'accrescimento della popolazione aveva portato seco il bisogno di nuove costruzioni fuori della cerchia delle antiche, per cui nuove case si stesero verso settentrione formando, il nuovo quartiere intitolato a S. Giovanni Battista, ed a S. Antonio Abate, altre verso mezzogiorno e ponente, biforcandosi, generarono gli altri intitolati a S. Antonio da Padova e a S. Maria delle Grazie, altre ancora verso oriente e mezzogiorno formarono un gruppo che fu detto quartiere di Celano o dei Rinforzi. Più ampi fabbricati erano sorti in questi piccoli sobborghi. Dei Di Majo, dei Carnevale, dei Pettinicchio nel primo; dei Pizzella, dei Melocchi, dei Baccari, dei Di Tella nei secondi, Chiesette e Cappelle in onore di quei Santi avevano accompagnato la denominazione dei sobborghi e delle vie.

Noto che il quartiere verso nord-est dove era l'ampia casa dei Pettinicchio prese nome da una Chiesetta dedicata a S. Antonio Abate di Vienna, protettore dalle epidemie pestilenziali, dal fuoco ecc. Aveva un patrimonio questa Chiesa di diversi beni tra cui una casa presso la Torre dell'Orologio che esisteva ancora nel 1671. Un'altra Cappella al nome di S. Maria delle Grazie era situata poco discosto dal palazzo Baccari (poi Fantozzi, poi Mosca) edificata forse dalla detta famiglia. Questa chiesetta aveva soprastante un piccolo Convento o rifugio di frati Francescani, fondato da Donato Baccari nel 1546.

Di queste due Cappelle trovasi ultimo ricordo nella Relazione stesa da Donatantonio Cafaro alla Camera della Sommaria il 15 Aprile 1671 per la valutazione feudale di Capracotta.

La Chiesetta e i1 Borgo di S. Antonio da Padova sorsero un po' appresso ma l'epoca precisa non è nota.

Quanto ad altre famiglie salite in onori e in agiatezza nel 1500-1600 nulla di meglio che inserire fra questi ricordi quel che ancora resta scritto sui meriti di alcuni individui eminenti venuti da quelle. L'Ughelli cita fra i Vescovi: «Nuntius de Baccariis. Trivientinæ Diocesis Præsbiter. I. V. D. Vicarius primum generalis Beneventi Auditor deinde Cardinalis Thomasi: Cardinalis denique de Comitibus Episcopi Viterbiensis Vicarius generalis. Agnello Rendina Beneventanus successor datus est 14 Martii 1718». Era nato nel 1667 a Capracotta da Filippo Baccari. Da Benedetto XIII fu elevato all'Ufficio di Vice-reggente in Roma, ufficio che tenne anche sotto Clemente XII dopo che Clemente Xl nel 1718 lo aveva nominato Vescovo di Boiano. Morì in Roma il 1735, o il 1736, come afferma il Corsignani, con dispiacere di tutti.

Il Corsignani stesso cita Francesco Baccari, Vescovo di Telese e Giovan Prospero Baccari fratelli del Predetto Nunzio e aggiunge che il primo morì in buona opinione nel 1737, e l'altro aveva sposato Antonia Porpora, figlia del gentiluomo napoletano Diego Porpora, Tesoriere di Chieti. Nel nostro Libro delle Memorie sono ricordati entrambi i Vescovi su detti; con l'aggiunta ch'essi avevano conseguito le lauree in Legge ed in Teologia a Napoli e quindi eransi trasferiti a Roma: che Francesco nato in Capracotta il 1673 morì in Cerreto nel 1737 dopo aver predetto il giorno della propria morte come attestò il Canonico Rossi, nel Catalogo dei Vescovi Telesini. Di Francesco abbiamo anche ricordo in una lapide sulla parete sinistra dell'ingresso nella Chiesa che rammenta la benedizione da lui impartita nel 1723 al compimento dei primi lavori di restauro della Chiesa stessa.

I Di Majo costituiron pure cospicua famiglia fra cui Innocenzo che censì dai PP. Celestini di Agnone il piccolo feudo di S. Croce, del quale ho fatto parola innanzi.

Le due famiglie Baccari e Di Majo però dovettero allontanarsi da Capracotta. Sussiste la tradizione ch'esse vennero a trovarsi in forte antagonismo; e le contese presero una piega minacciosa al segno che d'ordine superiore, non so se civile o ecclesiastico, fu stabilito l'esodo di entrambe. Quella dei Baccari si fermò a Bonefro, quella dei Di Majo a Deliceto, e tutte due le famiglie conservano tuttora il prestigio dall'antico casato nelle dimore elette. Raccontasi che sulla via dell'esilio presso una fontana del Molise, si fossero incontrati due degli antichi contendenti, che ivi si fossero rappaciati fra le lagrime del pentimento, e del dolore d'aver dovuto lasciare i tetti natii; che a quella fonte perciò fosse restato il nome di Fonte del pianto.

Dei D'Andrea si ha memoria di Giulio, che, o per aver preso parte al commercio, ovvero alle armate verso l'oriente contro i turchi ritornò in paese nel 1660, conducendo un domestico bosniaco, che egli aveva riscattato dalla schiavitù e che volle far battezzare, come è scritto nel Catalogus rerum notabilium, Leone D'Andrea, fu citato come fra i più agiati della Università; e, per questo stato di agiatezza, lasciaron buon nome Amico Pettinicchio, Fabrizio Carnevale, Antonio Di Tella, Mattia Pizzella.

Dalla famiglia Pizzella venne un illustre prelato, Bernardantonio nato qui da Giovanni e Vincenza Polce nel 1687, del quale un cenno biografico è inserito nel nostro libro delle Memorie e che mi piace trascrivere: «Mons. D. Bernardantonio Pizzella, Dottore dell'una e l'altra legge, pei suoi meriti e costumi lodevoli, fin dall'età di 18 anni fu familiare del sommo Pontefice Benedetto XIII, in tempo che era Arcivescovo di Benevento, dal quale fu poi eletto Canonico di quella Chiesa Metropolitana e Cancelliere maggiore. Nei primi anni di ponteficato del detto Papa fu creato suo cubiculario d'onore. Fu decorato anche delle dignità di Canonico di S. Pietro. Dopo fu nominato Vescovo di Costanza in Telesinia, avendo rinunciato alla Diocesi di Melfi, e dichiarato Plenipotenziario dell'archivio di Benevento, assistente al soglio pontificio con altre prerogative. Ebbe facoltà d'inserire nel suo stemma lo stemma degli Orsini di Gravina, e infatti ne prese una parte, la Rosa rossa in campo d'argento». Morì in Roma nel 1760 e sul sepolcro in S. Pietro v'è una lapide che ne ricorda il nome e la Patria. Avrebbe avuta la nomina di Cardinale se la morte non lo avesse raggiunto. D'altre famiglie antiche infine potremo intrattenerci in prosieguo, bastando questa digressione su quelle che ho nominate.


Luigi Campanelli




 

Fonte: L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Tip. Antoniana, Ferentino 1931.

bottom of page