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Il vescovo Gioacchino Paglioni


Il campanile e la Chiesa di S. Antonio Abate in Agnone (foto: G. Vitolo).

C'è un vescovo nella storia di Agnone che continua a monopolizzare una parte del mio interesse. Sto parlando di Gioacchino Paglioni, nato il 20 marzo 1723 e morto tra il dicembre 1790 e i primi mesi del 1791: è giunto il momento di fare un po' di luce.

Nel libro delle memorie conservato presso il Municipio di Capracotta, nel maggio 1937 il maestro Giovanni Paglione lo annotò - col cognome Paglione - tra i vescovi capracottesi assieme al Pizzella, ai fratelli Baccari e al Falconi. Trent'anni dopo anche Attilio Mosca inserì Gioacchino nell'elenco dei vescovi di Capracotta, ma probabilmente basava le proprie affermazioni sul precedente manoscritto del cav. Paglione. Sulla scia di questi due studiosi, anch'io, per principio d'autorità, menzionai Gioacchino Paglione nel primo volume della mia Guida, per poi eliminarlo nel secondo volume con una pubblica ammenda nell'errata corrige. Tuttavia le origini del Vescovo continuano a turbarmi, per cui urge un approfondimento.

L'abate Vincenzo D'Avino, nei suoi Cenni del 1848, lo segnò, tra i vescovi di Trivento, al numero 47°, effettivamente nominato vescovo il 23 settembre 1771 e rimasto in carica dall'anno seguente fino alla dipartita, quando Gioacchino «morì in Agnone, e fu sepolto nella chiesa di S. Antonio Abate. Nella lapide della sua tomba si legge questa breve, ma espressiva iscrizione: Hic Joachim Paglione expectat diem resurrectionis».

Nella cronotassi ufficiale della Diocesi di Trivento è poi scritto che il Paglioni «ottenne per i suoi canonici l'uso della cappa magna, fu uno zelante raccoglitore di reliquie ed è sepolto in Agnone, nella chiesa di Sant'Antonio. Insieme a mons. Giuseppe Carafa Spinola e mons. Giuseppe Pitocco si preoccupò di rivalutare le prebende dei canonici e dei mansionari, di ammodernare gli arredi sacri e di curare l'aggiornamento delle linee pastorali in applicazione del Concilio di Trento». Insomma, la Diocesi non fornisce alcuna informazione anagrafica sul suo vescovo di fine XVIII secolo. Altre informazioni le ricaviamo dalla biografia di Pasquale d'Alessandro, duca di Pescolanciano, visto che il 24 dicembre 1787 ottenne il consenso dal vescovo Gioacchino a ricomporre i resti mortali di sant'Alessandro, collocandoli in una urna di vetro nella cappella ducale.

Per scoprire il luogo d'origine del Vescovo dobbiamo quindi affidarci al cosiddetto Cracas, un periodico ecclesiastico che veniva stampato a Roma nel XVIII secolo e che informava la popolazione della Capitale della Cristianità su tutto ciò che combinava il clero. In qualsiasi edizione del Cracas tra il 1775 e il 1790 il vescovo Gioacchino Paglioni risulta nato a Civita Reale in diocesi di Rieti. Questo significa che la cittadina di Cittareale (RI), a quel tempo posta sulla dogana tra lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli, produsse un prelato poi collocato a Trivento.

Ma allora perché Giovanni Paglione, che quando vestiva i panni del giornalista era accurato nelle ricerche e nelle fonti, lo inserì tra i religiosi capracottesi? E perché se Gioacchino viveva a Trivento, morì ad Agnone? Alla prima domanda è quasi impossibile rispondere, ma è probabile che Giovanni Paglione abbia consultato i Cenni del D'Avino e, vedendo quel cognome a lui familiare, abbia deciso di farlo suo. Per quanto riguarda la seconda domanda, dirò invece che Gioacchino Paglioni nutriva certamente un forte attaccamento con l'Atene del Sannio, prova ne sia l'altare maggiore della Chiesa di S. Antonio, che «reca nel retro una lapide che ricorda il restauro dell'edificio ad opera del vescovo di Trivento Gioacchino Paglioni nel 1782». Probabilmente egli era così legato a quella chiesa da volervi essere sepolto. Ma siccome non è pensabile che la sua salma sia stata trasportata da Trivento ad Agnone, o Gioacchino si trasferì nella cittadina altomolisana presagendo la fine o si trovò a morirvi per combinazione, essendo egli un instancabile pellegrino sin da quando era abate.


Francesco Mendozzi

 

Bibliografia di riferimento:

  • D. Ambrasi, Riformatori e ribelli a Napoli nella seconda metà del Settecento. Ricerche sul giansenismo napoletano, Regina, Napoli 1979;

  • V. Casale, "Perfezionare tutti li colori delle pietre": il commesso marmoreo in Abruzzo e Molise, in V. Casale, Cosimo Fanzago e il marmo commesso fra Abruzzo e Campania nell'età barocca, Colacchi, L'Aquila 1995;

  • V. D'Avino, Cenni storici sulle chiese arcivescovili, vescovili, e prelatizie (nullius) del Regno delle Due Sicilie, Ranucci, Napoli 1848;

  • G. Cappelletti, Le chiese d'Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, libro XXI, Antonelli, Venezia 1870;

  • F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, voll. I e II, Youcanprint, Tricase 2016-2017;

  • G. Moroni Romano, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, libro LXXXI, Tip. Emiliana, Venezia 1861;

  • A. Mosca, Monografia su Caprasalva (Capracotta), Lampo, Campobasso 1966;

  • N. Mosca, Libro delle memorie, o dei ricordi, Capracotta 1742-1947.

  • Notizie per l'anno MDCCLXXV, Cracas, Roma 1775;

  • F. Venturi, Settecento riformatore. La Chiesa e la Repubblica dentro i loro limiti (1758-1774), Einaudi, Torino 1998.

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